mercoledì 27 marzo 2019

A un metro da te: quando l’amore si misura in respiri (negati)



A un metro da te, il film interpretato da Haley Lu Richardson e Cole Sprouse (rispettivamente Stella Grant e Will Newman) è uscito nelle sale da una manciata di giorni ed è già schizzato al primo posto nelle classifiche.



Il regista Justin Baldoni  ha avuto modo di conoscere più da vicino la fibrosi cistica nel corso di una serie di documentari, My last days, che racconta la vita di malati terminali, una puntata delle quali era dedicata proprio a questa patologia, ed ha ispirato il personaggio femminile alla figura di Claire, purtroppo scomparsa di recente, lo scorso 2 settembre, a causa di alcune complicazioni sorte dopo il trapianto di polmoni.

La ragazza, con cui il regista aveva stretto amicizia, era diventata un’importante youtuber ed influencer, grazie alla battaglia condotta attraverso il web per far conoscere la fibrosi cistica, umanizzando la malattia. Tra le sue riflessioni un posto nevralgico aveva assunto anche la sfera affettivo-sessuale e le riflessioni sorte dalla difficoltà di rapportarsi ai propri coetanei in quest’ambito.
Forse Justin Baldoni ha anche voluto, attraverso questa pellicola, ipotizzare e rappresentare un destino diverso per Claire.

Il film è indubbiamente congegnato per carpire l'attenzione di un pubblico adolescenziale (che però si divide tra schermo cinematografico e schermo del cellulare e spesso quest’ultimo sembrerebbe avere la meglio) per toccare le corde delle emozioni, battendo su alcuni tasti ben troppo noti e già visti del teen drama, come Colpa delle stelle ed Il sole a mezzanotte, pur introducendo elementi di riflessione nuovi. 

Amare, infatti, vuol dire sfiorarsi corpo ed anima. Vuol dire abbracciarsi e, con quell'abbraccio, trasmettere accoglienza e presenza, conforto e vicinanza. In un abbraccio, in un tocco, è racchiuso il proprio mondo, fatto di gioie, paure, trasporto, trepidazione, che si decide di condividere con l'altro, senza distanze e cesure, attraverso il contatto pelle a pelle. 



Ma quando questo è precluso, per le più svariate ragioni, in questo caso a causa della fibrosi cistica, entra subito in gioco, per chi lo permette, il contatto dei pensieri, delle esperienze, la possibilità e necessità di guardare l'altro negli occhi per ritrovarsi vicini, ma lontani, simili e differenti. Perchè abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi davvero, senza paura, e ci riconosca al di là delle etichette, degli stereotipi, delle ferite e dei graffi, quelli che abbiamo sul corpo e sull’anima...
"Non siamo ragazzi normali - dice Poe - a noi alcune cose non capitano tutti i giorni". Ma le relazioni, le emozioni, lo spazio condiviso, ci restituiscono la possibilità di decidere per la nostra vita e di essere davvero nel mondo. 



La distanza emotiva e psicologica che da sempre scandisce il ritmo del progressivo allontanamento dal partner, trasformando l’attrazione in distanza, creando tensioni, incomprensioni, rotture, ed inasprendo le logiche dell’amore e persino quelle del desiderio, che di solito riesce a tacitare le obiezioni della ragione, qui viene resa tangibile. 

Non si può stare insieme, e non lo si deve fare, perché si è distanti non tanto nella visione delle cose e nell’approccio al mondo (e lo si è dato che Stella è metodica e con l’ansia del controllo, tant’è vero che lei stessa ammette di essere un tantino ossessivo-compulsiva, proprio per riequilibrare la mancanza di controllo sul presente e sul futuro impostale dalla malattia, mentre Will sembrerebbe essere allergico a tutte le regole ed ha l’unico scopo di diventare maggiorenne per poter finalmente decidere della propria vita, sospendere qualsivoglia cura e viaggiare per il mondo), quanto perché la distanza fisica è necessaria a garantire la salute residua e quindi la sopravvivenza.



Non è più un problema di differenze caratteriali,  di scontri di visioni, di sensibilità e di aspettative, bensì il nodo critico è marchiato, impresso indelebilmente, nel corpo e passa attraverso il respiro che, se da una parte permette all’essere umano di rimanere in vita, ed è quindi necessario salvaguardarlo strenuamente, nel caso di due ragazzi, malati di fibrosi cistica, che rischiano di “passarsi i batteri”, ed uno, il B- cepacea, appare particolarmente resistente tanto da impiantarsi stabilmente nel corpo-ospite, cronicizzando, diviene vincolo, confine invalicabile, privandoli del contatto vitale con il corpo dell’altro. 

Il paradosso che la pellicola propone, dunque, è quello di una distanza necessaria a preservare la vita che finisce, però, per privare l’individuo del proprio legittimo slancio vitale, di quella linfa che sgorga dal contatto con l’altrui corpo.



Probabilmente, però, sembrerebbe esserci anche un altro motivo per cui un film che per troppi versi preme l’acceleratore su toni emotivi scontati, onde favorire la lacrimuccia, piace. L’idea che in un’epoca di intercambiabilità e relazioni usa e getta, come denunciano alcuni sociologi contemporanei, con in testa Zygmunt Bauman, caratterizzata da un’estrema sessualizzazione delle relazioni e dalla ricerca quasi ossessiva di interazioni semplici, che non diano pensieri, due anime e due corpi possano riconoscersi simili e complementari a tal punto da sfidare le logiche avverse, persino quelle inscritte nella loro malattia.

Questo potrebbe essere definito come un film “a rilascio lento”. Infatti, mentre lo si guarda, soprattutto se l’occhio non è quello di un adolescente, spiccano subito tutti i difetti: la trama che in certi punti cede rovinosamente, alcune comode banalizzazioni, il voler creare l’effetto dramma, spesso in maniera davvero eclatante, lo spingere con forza su alcuni tasti emozionali , fino ad arrivare ad alcune incongruenze, crepe e salti temporali. 



Il lavorio emotivo, però, erompe nei giorni successivi, quelli in cui le emozioni sembrano ritornare sul cosiddetto luogo del delitto e non si riesce a non ripensare a quei due ragazzi, rappresentanti di tanti altri possibili teenager: così ci si ritrova a cercare informazioni sulla fibrosi cistica in rete, ad informarsi su quel batterio tanto resistente, sperando che non sia poi tanto pericoloso e cattivo, che gliela si possa fare, ed a sperare che tanti adolescenti come quelli interpretati dai due attori, senza dimenticare l’amico del cuore, Poe, interpretato da Moisés Arias, possano davvero vivere appieno la propria occasione di esistere ed amare “a pieni polmoni”.

domenica 24 marzo 2019

Il coraggio di guardare avanti: fotografia della crisi, tra dolore e speranza

Il coraggio di guardare avanti. E' questo il nome del cortometraggio scritto, diretto ed interpretato da Diego Macario, presentato  lo scorso 21 marzo al cinema Plaza.

In dieci minuti è condensato il dramma di un imprenditore virtuoso, che porta avanti le attività di un'impresa sana godendo della fiducia dei clienti e dei vari stakeholder .



Ma ad un tratto nuvole scure, cariche di pioggia e di cattivi presagi, si addensano all'orizzonte. Spira forte il vento della crisi e gli strali di questa bufera non risparmiano nessuno.

"Raccontare tutto in dieci minuti non è facile - spiega l'attore e regista -. La crisi, cominciata agli inizi degli anni 2000, travolge tutto e tutti. Nel corto sono trattati diversi aspetti. Si accenna anche al fenomeno delle tangenti, ai soldi che è necessario dare agli 'amici' per poter lavorare tranquilli".

Una tempesta che non travolge e distrugge solo la vita professionale, ma investe anche la sfera personale e familiare, troncando legami, apparentemente solidi, ispirati a sentimenti di fiducia e credibilità.

"Il protagonista - continua Macario - racconterà anche di quando è stato costretto a licenziare i propri dipendenti e di come si sia amaramente reso conto dei voltafaccia: ormai tutti gli oppongono, proprio malgrado, un no, gli dicono che non è più possibile".



Di fronte ad un muro di rifiuti e di impossibilità sopraggiunte, il protagonista è assalito da pensieri suicidi, mentre le spire della disperazione lo avvolgono, spingendolo su una strada pericolosa e sdrucciolevole di non ritorno.

Ma ecco che, tra le nuvole temporalesche, si fa spazio un raggio di sole: quello della speranza e del coraggio di non darsi per vinti.

"La speranza trova sempre posto: non a caso il corto si chiama Il coraggio di guardare avanti. Ci vuole quella che possiamo definire fortuna, ma anche e soprattutto la determinazione di cambiare prospettiva e vita. Nel caso del protagonista, ciò è reso possibile dalla sua passione per il teatro, che egli trasforma in un lavoro".

Traendo ispirazione dalla vicenda autobiografica di Diego Macario, il corto è realizzato in collaborazione con l'associazione Angeli della Finanza, che sostiene, offrendo assistenza e supporto psicologico, famiglie ed imprenditori in difficoltà (per conoscere le attività dell'associazione clicca qui) e con il patrocinio morale del Comune di Napoli. Tutto è reso più intenso dalle musiche di Luigi Scialdone, già premio Raffaello per la colonna sonora di Gatta Cenerentola. A tratteggiare gli scenari della crisi anche gli attori Marilù Armani (che, durante la presentazione, ha letto alcune toccanti testimonianze di persone disperate che si sono rivolte ad Angeli della Finanza), Carmine Imbimbo, Nino de Santis e Paolo Perrotta, che hanno offerto la loro amichevole partecipazione.

L'espediente narrativo è quello che vede il protagonista affacciarsi al balcone e, in attesa di ristorarsi con il sapore ed il profumo di una tazzina di caffè, raccontare l'accaduto ad un vicino.

Le atmosfere strizzano l'occhio a quelle della scena "del caffè" che vede protagonista il professore interpretato da Eduardo De Filippo in Questi fantasmi, che Diego Macario ha voluto omaggiare, ricordando l'umorismo pirandelliano, dal retrogusto profondamente amaro, del grande maestro del teatro non solo partenopeo, ma italiano.



Macario, mentre parla, guarda l'orizzonte reso plumbeo da una pioggia copiosa ed insistente. Solo alla fine riuscirà ad avere la meglio il sole, simbolo di speranza e di una rinascita possibile, rischiarando l'orizzonte ed il futuro.

Per vedere il trailer clicca qui

Per vedere l'intervista (con videoriprese a cura di Bruno Ciniglia) clicca  qui



LO SCENARIO DELLA CRISI

I numeri del primo semestre del 2018 descrivono un fenomeno drammatico, che non parla solo  il linguaggio dei massimi sistemi, dei flussi economici e finanziari, ma che descrive soprattutto la disperazione di imprenditori e famiglie la cui vita è sospesa su un baratro.

Nove aziende chiuse in un anno e 350 suicidi di imprenditori.

"Il nostro scopo associativo - spiega Domenico Panetta, presidente e fondatore - è quello di offrire uno spiraglio di luce a chi è in una difficoltà tale da non percepire alcuna via d'uscita. Questo si è  tradotto, tra il 2015 e il 2018, in 7 suicidi evitati, circa 1300 persone aiutate, e 1500 richieste di aiuto giunte durante gli eventi, via telefono ed e-mail. Prima di agire, l'associazione richiede l'estratto conto della famiglia, così da sincerarsi della veridicità di quanto affermato nelle e-mail".




Il problema, secondo Panetta, risiede nella mancanza di una sana educazione finanziaria, che cominci dalle scuole primarie.

Ai ragazzi dovrebbero essere trasmesse, poi, non solo nozioni teoriche ma anche pratiche.

"Spesso - continua Panetta - vengono venduti ai clienti prodotti finanziari inadatti alle loro esigenze, che fanno solo budget per l'istituto bancario e finanziario".

Uno dei settori imprenditoriali più colpiti è quello dell'edilizia, come evidenzia Federica Brancaccio  presidente dell'Acen, l'Associazione dei Costruttori Edili di Napoli, che negli ultimi dieci anni ha subito durissime ripercussioni e che tuttora non sembra assistere a reali segnali di ripresa. 

Il settore, a conti fatti, ha perso circa il 30% delle imprese, secondo gli addetti ai lavori, e 700mila posti di lavoro.

"Il tessuto economico italiano - spiega la presidente Acen Napoli - si è sempre retto e si regge tuttora, seppur malamente, sulla piccola e media impresa, spesso a conduzione familiare. Sono queste, infatti, che nelle loro azienda ci mettono la faccia ed i loro beni, persino la casa. In questi ultimi anni si sono favoriti i grossi gruppi finanziari: attualmente si fanno i conti con i cosiddetti crediti deteriorati, vale a dire che le banche devono liberarsi di tutti quei crediti che non abbiano alte possibilità di rientro".




Come fare, dunque? Secondo i rappresentanti di categoria, i gruppi bancari svendono questi crediti dal destino molto incerto a fondi speculativi, perlopiù esteri, che, a ben vedere, sono assistiti dallo Stato.

"Si tratta per la maggior parte - continua Brancaccio - di crediti assistiti da garanzie reali, il che vuol dire case e palazzi, cui corrispondono vite in difficoltà. La nostra proposta, per ora rimasta inascoltata, è stata quella di spostare l'asse dalle garanzie di Stato dai fondi speculativi ai piccoli e medi imprenditori. Siamo riusciti ad ottenerlo, purtroppo, solo per quei crediti non ancora in sofferenza, ma che risulta possano incorrere in un alto rischio di sofferenza".

Gli addetti al settore, evidenziano come i provvedimenti politici di lungo respiro siano diretti alla salvaguardia dei grandi gruppi finanziari.

"Non è nostra intenzione - ribadisce la presidente Acen Napoli - criminalizzare le grandi imprese, ma di fatto, da noi non ce ne sono. Quelle che, comunque, sono a rischio fallimento verranno salvate dallo Stato, ma a valle c'è tutto il microcosmo delle imprese piccole e medie, dei fornitori, che attualmente sono in grande difficoltà e che naufragheranno".

A farle eco Angelo Pisani, presidente di Noi Consumatori, autore, assieme a Massimiliano Toriello, del libro Rottamati e scudati: "Nell'economia reale ciò che conta è l'attenzione posta in merito alla pressione fiscale ed alle imposte che crescono. Quel che è certo è che occorre vigilare ed intervenire ai primi campanelli d'allarme,senza aspettare di cadere nel baratro. Esempio virtuoso  è quel che è accaduto nel quartiere Vomero, dove è nato un tavolo di vigilanza sulla rivalutazione degli immobili. Quando vi è un debito occorre guardare subito all'interno dello stesso, per capire se nasce dall'errata applicazione di una legge o dalla riduzione della capacità reddituale".



Secondo gli addetti ai lavori, all'interno del tessuto economico e sociale occorre che gli sportelli antiusura e le associazioni antiracket facciano fronte comune.

UNA GUERRA INVISIBILE CHE SI COMBATTE SUL FRONTE FINANZIARIO ED ECONOMICO

Non usa mezzi termini Francesco Amodeo, autore del libro inchiesta, vittima di un destino di censura, Matrix Europea.

"Il fallimento europeo e dell'euro è frutto delle azioni di gruppi ed organizzazioni di natura finanziaria - dice - . Si sta assistendo ad una vera e propria macelleria sociale, dove le Costituzioni vengono imbavagliate e modificate ad hoc, onde consentire un cambiamento deliberato del sistema economico, con uno spostamento di potere dal popolo e dalle democrazie alle tecnocrazie finanziarie. Uno svuotamento delle sovranità nazionali a favore del rafforzamento della finanza speculativa e delle oligarchie finanziarie".

Secondo quanto sottolineato con forza da Amodeo la crisi è un affare molto vantaggioso per le grandi multinazionali, che vedono il costo del lavoro abbassarsi vertiginosamente.

"Si tratta di organizzazioni ufficiali, ma che lavorano, di fatto, a porte chiuse - ribadisce Amodeo - come nel caso della Commissione trilaterale, che hanno letteralmente cambiato il sistema economico, togliendo potere alle democrazie e ai popoli. Si tratta di un golpe finanziario: nei loro documenti è possibile leggere, ad esempio, che le Costituzioni, di per sè troppo democratiche, non sono sempre applicabili. Queste organizzazioni comprano titoli di Stato stranieri ed i loro investimenti vengono salvati da un utilizzo ad hoc dei Trattati, delle misure di salvaguardia e del meccanismo di vigilanza preventiva e di quello di stabilità europei".


 **Le foto relative all'evento e le videoriprese sono a cura di Bruno Ciniglia

venerdì 22 marzo 2019

La sentinella di Elsinore: in scena il complesso rapporto con l'aldilà

Un percorso laboratoriale di un anno, in cui i ragazzi imparano le tecniche nevralgiche che deve padroneggiare un attore. Impegno e dedizione, che, sia ben chiaro, non si esaurisce qui, ma che durerà almeno 10 anni, in un percorso progressivo, per chi voglia intraprendere la carriera attoriale. Lezioni di training fisico e vocale, per perfezionare non solo la dizione, ma per vibrare al ritmo del respiro del personaggio da interpretare e per sentire nel profondo ed autenticamente emozioni e sentimenti.

A condurre i ragazzi in questo viaggio Giuliana Pisano e Salvatore d'Onofrio dei Quartieri Airots.

Quattro le fasi laboratoriali: la prima dedicata allo studio del personaggio scelto, con il testo nella sua versione originaria  (l'anno scorso l'Antigone e, da martedì 19 marzo, l'Elettra), la seconda dedicata alle varie versioni del testo, rielaborato nel corso del tempo da numerosi autori, mentre negli ultimi tre mesi si sceglie la specifica versione da reinterpretare e riadattare e poi, come fase finale, arriva la messa in scena ed il confronto "in vivo" con il pubblico.

Nello spettacolo La sentinella di Elsinore, rappresentato nel Teatro dei 63, ospitato negli ambienti della Chiesa del Carminiello a Toledo, ci si è confrontati con Shakespeare ed il suo Amleto, trasposto in atmosfere contemporanee.

In scena Nicola Conforto, Ivan Iuliucci e Mariano Savarese. Il testo e la regia sono di Giuliana Pisano. L'aiuto regia di Lorenza Colace. L'allestimento scenico di Salvatore D’Onofrio. Le musiche di Alessandro Cuozzo, mentre la consulenza costumi è di Alessandra Gaudioso.

La sentinella di Elsinore conta le stelle per fugare inquietudini e malinconie, per scacciare pensieri tormentosi e per evitare di impazzire. Suo fido amico Amleto, il suo "Lord", inizialmente incredulo sulla reale esistenza dello spettro del padre, ma poi sempre più consapevole della sua missione di riscatto del nome e della dignità paterne.



Ad alternarsi sulla scena vari spettri: quello del re morto prima di portare a termine il suo mandato. Quello di una sposa che non conoscerà mai le gioie del matrimonio, in vista del quale intrecciava ghirlande profumate. Quello di una bimba che cerca ancora i dolciumi, quale premio del suo essere stata brava.

Grande assente Tecla, lo spirito della donna e sposa amata da Bernardo che, seppur invocata varie volte, non si presenterà mai, dato che non prova i medesimi sentimenti per il marito, cui la legavano solo il senso del dovere ed il rispetto delle convenzioni sociali.

"Ad essere centrali tanto nella versione originaria di Amleto quanto in questa rivisitazione - spiega l'autrice e regista Giuliana Pisano - sono il desiderio e la manipolazione, ed attualmente esistono tanti manipolatori e fanno danni, nonchè lo spettro, la cui esistenza viene assunta come un dato di fatto".

Una rivisitazione in cui trovano spazio gli stessi dubbi dell'autrice, ma anche incursioni e riflessioni sull'attuale situazione politica.

Con l'avanzare dell'interazione sulla scena, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia sempre più, fino a generare nello spettatore una confusione pervasiva su chi sia ancora in vita e chi no.



Nel frattempo, si dipanano i dubbi dei protagonisiti su cosa ci sia nell'aldilà, frammisti ai sentimenti di tenerezza per chi non c'è più, dai nonni al piccolo animale domestico,  con i quali si vorrebbe instaurare un "colloquio di amorosi sensi".

"Nel aldilà - continua la regista -  si troverà la verità. La verità vince sempre ed è l'unica speranza. Ma mentre siamo da quest'altro lato la verità può essere solo cercata ed intuita . Solo dall'altra parte tutti i dubbi verranno definitivamente sciolti".

Il teatro diviene non solo specchio della vita, ma anche magistra vitae, palestra in cui allenarsi alla tenacia, alla disciplina, ed all'autenticità del sentire.

"Ai miei allievi - evidenzia Giuliana - dico sempre che possono e devono sbagliare. Siamo in un'epoca di perfezionismo esasperato, in cui tutto dev'essere perfettamente padroneggiato, ma durante le prove è necessario sbagliare. Non a caso si chiamano così".

I diktat tirannici dell'epoca contemporanea non abitano il palco del teatro e non sono neanche ospiti graditi. Su quelle tavole, invece, sbagliare, procedere per tentativi ed errori, diventa utile e necessario per migliorarsi ed approcciarsi al personaggio quasi come se si fosse senza pelle. Un percorso lento e faticoso, per apprendere competenze e tecniche nevralgiche.

Dalla bocca del re padre, poi, arriva una frase ,declamata in lingua napoletana, che suona come un monito " Della vita, così come del porco, non si butta niente".

Il dolore, le gioie, gli errori.... tutto può essere fonte di arricchimento se guardato e vissuto nella giusta prospettiva. Tutto è utile per vivere pienamente e fino in fondo il tempo che ci è concesso.

Ne La sentinella di Elsinore, il rapporto con i morti sembrerebbe essere diretto, senza bisogno di intermediari. Un rapporto in cui pare riecheggiare il nostrano culto delle capuzzelle, in cui un vivo ed un morto dialogano "alla pari", si aiutano e si scambiano favori.

"Non si tratta di un riferimento intenzionale - dice Giuliana - ma io sono partenopea e forse un'eco della spiritualità e della ritualità tipicamente nostrane è trapelata comunque".


Il viaggio della rassegna teatrale Allegati continua:


In calendario     
L’ora blu
22-23-24 marzo – Quartieri Airots
Human Animal
26-27 aprile – Teatro dei 63
Rosa Balestrieri
10-11-12 maggio – Quartieri Airots

mercoledì 20 marzo 2019

In due libri il corpo della città e quello violato delle donne e di un credo religioso. In dialogo Valentina Staffetta ed Agnese Palumbo

Nelle atmosfere suggestive di palazzo Zevallos, tra arredi lignei, l'imponente orologio che tutto domina, scadendo il tempo, e la consapevolezza che in quel luogo siano custoditi quadri di pregio, testimoni dell'avvicendarsi delle epoche e degli stili, sono stati presentati due libri:  I love Napoli di Agnese Palumo, edito da Newton Compton, e Il corpo del peccato di Valentina Staffetta, edito da Guida Editori, nell’ambito degli Eventi Off di Napoli Città Libro, seconda edizione del Salone del libro e dell’editoria.



Trait d'union l'idea del corpo. Il corpo della città, nata dalle spoglie di una Sirena, una città ricoperta di luoghi comuni,al pari di squame dure che ricoprono una pelle morbida,  ma che, al di là delle apparenze sa rivelare, a chi a occhi per vedere e riconoscere bellezza ed incanto, un sè tutt'altro che comune e banale; ed un corpo che viene associato al peccato: è questo il corpo violato delle donne, ma anche il decadimento, frutto di un dileggio feroce, di un ideale religioso.

Il corpo del peccato è il secondo nato dalla penna di Valentina Staffetta, profondamente diverso dal primo, che era un romanzo "in rosa". Qui, infatti, le tinte divengono gialle ed addirittura nere, per un thriller psicologico che attraversa tre ambientazioni ed altrettanti luoghi della mente e dell'anima.

Valentina, infatti, ambienta il suo romanzo nella realtà di un piccolo e tranquillo paese della Locride tra gli anni '50 e '60.  Il romanzo appare come spaccato in due segmenti temporali ben distinti: quello dell'adolescenza delle due sorelle, caratterizzata da paesaggi campestri quieti ed ariosi, in grado di recare riposo e ristoro allo spirito; e quelli angusti, cupi, claustrofobici dell'età adulta, che corrispondono ad uno stato psicologico di sofferenza, deprivazione e, infine, di rassegnazione, simile all'atmosfera che regna in un convento di clausura ed in un secondo convento in cui la vita è solo apparentemente più libera ed autodeterminata, ma ugualmente frutto di scelte imposte da altri, che si finisce per accettare, quasi ci si riepigasse su se stesse e contemporaneamente ci si lasciasse andare all'oblio in quei luoghi.



Tra l'adolescenza e l'età adulta si snodano 10 anni vissuti come in apnea, senza ricordi, in un blackout emotivo e della memoria.

"Si tratta di un romanzo intenso dai contorni del giallo, ma c'è molto di più - evidenzia Antonello Perillo, che ha moderato l'incontro -. Nel modo di pregare, ad esempio, possiamo ritrovare la ricerca di un genuino senso di solidarietà tra gli esseri umani e di valori socialmente condivisi ed applicati".

Un romanzo in cui, attraverso il filtro delle emozioni e del ricordo, trovano spazio tanti luoghi della Calabria, ma anche lo spirito di un popolo e le radici di una cultura, fiera, energica, impetuosa, sanguigna.

Piano piano, poi, parrebbero farsi spazio, tra le trame del racconto, tanti altri tasselli nevralgici: i dubbi della fede, fugati grazie al ritrovamento di una rinnovata forza spirituale, il dolore e la profonda dignità dei malati, tra i quali la stessa madre della protagonista, e la consapevolezza che l'età della vecchiaia non corrisponda ad un tempo dell'esistenza connotato dalla "perdita, bensì a quello del raccolto, frutto della piena maturazione dell'esperienza".

"Valentina Staffetta - sottolinea Antonio Parlati, che ha co-moderato la presentazione assieme ad Antonello Perillo, in un gioco di squadra - ci racconta di esperienze apparentemente lontane dalla sua vita e dalle sue esperienze quotidiane. Luoghi conosciuti ed amati, ma distanti temporalmente dal tempo della sua vita, resi vicini ed attuali attraverso un processo di scavo nelle sue emozioni e nei suoi sentimenti".



Agnese Palumbo, invece, con il suo I love Napoli mette al centro il corpo della città, con i suoi vari organi, costituiti da luoghi, usi, tradizioni, personaggi-simbolo, miti e leggende.

Luoghi e racconti apparentemente noti, ma che Agnese riesce a mostrare in una luce nuova e in una chiave di lettura inedita, mettendov in atto un processo che va dal noto al meno noto, fino ad arrivare all'ignoto, facendoci volgere nuovamente lo sguardo su quei luoghi con un moto di viva sorpresa, come se li vedessimo realmente per la prima volta.

In questo modo si riesce a passare, con una fluidità soprendente, dal parlare di calcio, ambito e momento in cui il famoso Cogito ergo sum cartesiano, per i Napoletani, è legittimato ad essere sospeso, così come è consentito abdicare ai toni contenuti del bon ton in favore di espressioni più boccaccesche,  all'analizzare lo splendido affresco esposto nella stanza della Flora danzante e del presunto ritratto di Saffo, del Mann, testimonianza del primo Daspo dato ai tifosi.

"Questo libro - spiega Agnese Palumbo - in qualche modo è un percorso che si snoda attraverso le mie ossessioni. Esso ha lo stesso impianto di una passeggiata per Napoli, durante la quale sei letteralmente travolto da varie suggestioni. Così, mentre sei rapito dai fasti del Barocco, ti trovi a fare i conti con il profumo invitante di una pizza fritta. Non si potrebbe davvero conoscere Napoli se non si assecondasse questo salto temporale ed esperienziale".

Come ricorda l'autrice, Napoli da sempre perpetra un inganno: tutto sembra leggero, fruibile, a portata di mano, ed invece, andando un po' al di sotto della superficie, si ci inoltra in meandri bui, complessi, ostici, difficili da percorrere perchè pieni di misteri.



Napoli con i suoi patroni ufficiali, tra i quali spiccano San Gennaro e Santa Patrizia, ma che a ben vedere, ne possiede di più antichi, tra i quali Virgilio, che consegna alla città, affinchè ne venga protetta, potenti amuleti come Castel dell'Ovo.

Un importante tassello del flusso di pensiero di Agnese Palumbo è dedicato a Pompei, che consegna ai posteri non solo un ricco patrimonio archeologico, ma anche uno scrigno di grande ricchezza antropologica ed umana.

"L'operazione compiuta da Fiorelli - continua l'autrice - fu davvero avanguardistica. Egli, infatti, riuscì a vedere pieni dove gli altri vedevano solo vuoti, rivelando dei corpi custoditi in quegli spazi. In questo modo Pompei diviene non solo un luogo archeologico, ma anche un luogo abitato da corpi".

Corpi che in quel luogo hanno lasciato la loro impronta, così come la si lascia su un letto o nella sabbia, e frammenti della loro storia, che oggi trova posto in questo libro dove Napoli si mostra in tutta la sia complessità, che conferma che si tratta di una città "non comune". Un libro che si snoda attraverso flussi di pensiero e di coscienza, che incrociano i flussi quotidiani dello scorrere della vita, in un continuo rimando tra interno ed esterno.



sabato 2 marzo 2019

Soulbook di e con Fabiana Fazio: è vera gloria? La risposta ai leoni da tastiera

Oggi ho visto un video, il cui autore riflette su come come i social abbiamo modificato il nostro modo di relazionarci (guarda il video qui), disabituandoci a riconoscere le emozioni,  nostre ed altrui.

Chi sta messo peggio, sembrerebbe, sono i cosiddetti "nativi digitali", nati quando i social media già esistevano e cresciuti, quindi, a merendine e colpi di like e click.

Infatti, sono proprio loro i più esposti ad un rischio di mancato riconoscimento o peggio ancora misconoscimento delle emozioni.

Gli stessi adolescenti ammettono di essere abituati a rapporti superficiali e di superficie, di non avere reale fiducia nelle relazioni e di essere consapevoli che i loro amici , qualora avessero qualcosa di più bello e divertente da fare, li lascerebbero soli senza alcun problema o remora.

Parte proprio da questi presupposti la piece teatrale Soulbook, scritta e diretta da una Fabiana Fazio al vetriolo.

Con lei Annalisa Direttore, Valeria Frallicciardi e la stessa Fazio.

I contributi video sono a cura di Giulia Musciacco, l’aiuto regia di Angela Carrano, in collaborazione con Asci cinema.



Un sottotitolo calzante, dal sapore vagamente hitchcockiano, potrebbe essere: signori la pervasività è servita.

Già... perchè Soulbook è il vero colonizzatore contemporaneo, in cerca di sempre nuovi territori da trasformare in strade intricate della rete sulle quali "non incontrarsi" e di anime da dannare a colpi di click, like e dislike, tra una profusione di emoticon, emoji e cuoricini pulsanti.

Ognuno, su Soulbook, cerca di guadagnarsi il suo posto in evidenza, in una sorta di captatio benevolentie o, al contrario, in un'acida battaglia a suon di commenti in ostinata controtendenza, come capita al Genio (Vi odio tutti... Siete delle capre.... Siete Bestie!!).



Con lei, in un dialogo a tratti paradossale, una fashion blogger di tendenza ed una remissiva laureata in sociologia, che cerca a tutti i costi di farsi notare ed accettare dal popolo delle piattaforme social.

Se il prezzo da pagare è una reale perdita di identità e di autenticità, il falso guadagno sembrerebbe essere una potenziale orda di followers al seguito.

Con un vantaggio: su Soulbook c'è posto davvero per tutto e per tutti. Ormai non si consultano più i tomi enciclopedici, ma si interpella la nuova autorità, l'oracolo dei tuttologi da tastiera, pronti a disquisire su affari di politica, di economia mondiale e globale, di crisi e controcrisi, ma anche a piangere per persone morte, di cui il giorno prima si ignorava del tutto l'esistenza ed a dettare le nuove tendenze di stile e moda.



Mentre il proprio profilo viene inondato di pollici su e di cuoricini (love, love, love...), che sostituiscono gli abbracci de visu, il cervello parrebbe diventare vittima di un meccanismo pervers,o a causa della dopamina liberata, sviluppando una dipendenza, ma anche esponendosi ai rischi subdoli di una maggiore depressione.

A latere un gustoso e sapido sberleffo dell'uso ed abuso improprio dei tutorial, che sollevano una domanda tanto inquietante quanto inevitabile: servono davvero e ci insegnano le mosse giuste per nuove attività o ci inebetiscono, facendoci disapprendere azioni ovvie?




Ai posteri... forse... l'ardua sentenza! Quello che è certo è che questo spettacolo pensante ha riportato un doppio meritatissimo successo, prima al Caos Teatro di Villaricca e poi nello spazio partenopeo dello ZTN.

Ed ora facciamo quattro chiacchiere con Fabiana Fazio, tra sorrisi (veri) e qualche inquietante dubbio, altrettanto autentico, che proprio non si riesce a scacciare:



Com'è il ritratto dei social che emerge da Soulbook?
Suppongo sia grottesco e ridicolo. Tutto è portato all'estremo e all'eccesso... ma neanche più di di tanto. Di fatto quello facciamo è davvero rispondere con dei "pollicioni" a delle foto o affermazioni e stare attenti attenti a quante persone ci "visualizzano". C'è qualcosa di più triste e grottesco di questa nuova realtà? 



Le protagoniste rappresentano una giovane donna sempre indecisa perché non riesce a trovare il suo posto nel mondo. Una donna apparentemente cinica e ostinatamente controcorrente, ed una donna tutta dedita a seguire (ed indirizzare) le mode ed a curare la propria bellezza. Perché proprio questi tre tipi?
Semplicemente sono i primi che mi sono venuti alla mente per esperienza personale forse.Tutte sono vittime dalla prima all'ultima.

Di fronte ad un Soulbook, moderno colonizzatore che crea alter ego, che appaiono necessari, quali sono i modi in cui si può (re)stare in questo mondo parallelo?
Se avessi una risposta sarei salva dal.meccanismo social. E invece, a modo mio, ne sono vittima come tutti. Ogni tanto staccare la spina nel vero senso del termine sarebbe l'unica soluzione. 




All'interno di molti tuoi spettacoli trova spazio e diventa protagonista la nevrosi, associata a paure ed aspettative ipertrofiche. Perché?
Non siamo forse oggi di fronte ad una grande nevrosi collettiva? Un delirio di massa che colpisce a vari livelli e nei vari aspetti della vita.Questo è quello che osservo... e mi limito a raccontarlo, forzando un poco la mano forse... oppure con estrema lucidità.

**le foto di scena degli allievi di Andrea Scala coordinati da Andrea Falasconi.