Coelho ci dice che quando si fa l'amore con chi è frammento della nostra anima si è costantemente immersi in un dialogo amoroso con suo corpo.
Un blog nato per farvi appuntare l'attenzione su alcuni aspetti della realtà sociale economica e perchè no? dell'anima...attraverso le mie parole. E per assaporare gioie e dolori, confortandoci e confrontandoci, sempre e comunque. Perchè il confronto è la chiave di un reale sviluppo...
martedì 8 dicembre 2020
Il tatto delle cose sporche: la poesia e la delicatezza insite in una "feroce" carnalità
sabato 31 ottobre 2020
Storia di un (quasi) amore in quarantena. Racconto di una passione ai tempi del lockdown
Il libro Storia di un (quasi) amore in quarantena di Davide Gambardella, edito da Graus, può sembrare banale come sono divenute banali e piatte le giornate durante la lunga fase del lockdown.
Tutte uguali a se stesse, sospese sul baratro della noia, tese tra ansia e disperazione, uno spettro che ora si riaffaccia.
Una banalità che ci fa rabbia ed invidia insieme: perché tutto nasce da una violazione delle trincee, dei confini, delle limitazioni, tra due anime e due corpi che hanno voglia di evadere e di esplorare l'altro e quel che resta di una quotidianità depauperata e ne trovano il coraggio.
Ma è anche un libro che, a tratti, sa stupire. Perché ci riporta pezzi del nostro vissuto che già si trovano ad intersecare la grande storia e che, nella circolarità dei corsi e ricorsi storici, già ci stiamo ritrovando a rivivere.
Le attività commerciali chiuse, o in forte sofferenza, la normalità alterata, le canzoni ai balconi quale strumento di contatto, la socialità rubata che assume toni e forme grotteschi, il futuro incerto, inghiottito da una nube tossica nera e densa che stringe alla gola.
Il divario stridente tra chi è tutelato e chi no. Tra chi è, giocoforza, appiattito sul presente, in corsa per la sopravvivenza e chi può guardare al futuro con maggior speranza.
Davide Gambardella mostra tutta la sua passione di cronista d'inchiesta e di strada. A un gergo banale o che non risparmia volgarità lessicali che ricordano un po' il primo Fabio Volo, alterna un accostamento inusitato e ricercato delle parole, capace di attirare il lettore.
Per il finale ci si ritrova nella stessa contraddizione che ha attraversato tutta la narrazione. Banale o spiazzante? Non vi resta che leggerlo allora!
domenica 23 agosto 2020
Con Vincenzo Ferrieri e SfogliateLab arriva l'aperitivo must have dell'estate
Vincenzo Ferrieri rappresenta la terza generazione di una famiglia il cui nucleo ruota intorno alle sfogliatelle ed alle tipicità dolci partenopee come la terra intorno al sole.
lunedì 10 agosto 2020
Hypàte: un inno alla libertà di pensiero ed al legittimo desiderio di esistere di Ipazia
Una rappresentazione magica e suggestiva, quella di Hypàte, a cura di Teatri di seta e Teen Thèatre, svoltasi lo scorso 30 luglio nella splendida cornice del Giardino Romantico di Palazzo Reale, nell'ambito del Napoli Teatro Festival edizione 2020.
Nonostante le restizioni, legate agli obblighi di distanziamento sociale ed alla condizione di grande difficoltà in cui versano i lavoratori dello spettacolo, lo spettacolo, scritto e diretto da Aniello Mallardo, con l’aiuto di Mario Autore, che firma anche le musiche originali, crea un alone mitico e mistico attorno alla figura di Ipazia, capace di riportare lo spettatore indietro di millenni.
A guidare lo spettatore in questo percorso a ritroso nel tempo sono: Serena Mazzei, Giuseppe Cerrone, Luciano Dell'Aglio e Andrea Palladino
Filosofa, astronoma, matematica si racconta che Ipazia d'Alessandria avesse scritto opere di pregio e fosse tenuta in gran conto anche da uomini colti, ma in realtà, come ci racconta lo stesso regista, su di lei non vi sono dati storici.
Questo fa sì che ella sia stata fatta oggetto di un processo di costante manipolazione, con livelli interpretativi multipli, che l'ha etichettata ora come guida razionale eccelsa, ora come strega, ora come martire e santa, tant'è vero che quella stessa Chiesa che ne decretò, nei fatti, la fine alla sua figura ha ispirato, quasi totalmente, quella di Caterina D'Alessandria.
"Mi sono ispirato - racconta il regista - anche alla rivisitazione letteraria e teatrale operata da Mario Luzi. La mia Ipazia, però, vive il cruccio di ogni personaggio storico: quello di essere stata trasformata in altro da sè".
La scenografia è minimale, ma tutti gli elementi contribuiscono a dare ulteriore forza all'opera. Ipazia raccoglie e lascia scorrere continuamente tra le dita della sabbia.
Sono le ceneri della memoria, delle opere, di ciò che siamo stati e che sembra riconfermare l'essenza effimera dell'esistenza umana ed anche di qualsivoglia gloria e vanagloria.
lunedì 27 luglio 2020
O' professore do' pallone, un racconto per contrastare l'omofobia a firma di Sonia Sodano
sabato 25 luglio 2020
SfoglieteLab: Vincenzo Ferrieri bissa in gusto e creatività a piazza Dante
Per Vincenzo Ferrieri ed il suo SfogliateLab uno è stasera, sabato 25 luglio, con un aperitivo davvero invitante, organizzato nel nuovo punto aggregativo di piazza Dante, sotto lo sguardo benevolo e protettivo del sommo poeta. Orologi puntati per le 19.00.
Una tradizione familiare solida, in grado di rinnovarsi, ma anche di rimanere fedele a sè stessa, in soluzione di sostanziale continuità.
Le radici affondano in una laboriosità lunga tre generazioni, sin da quando è nonno Vincenzo a mettere le mani nell'impasto, portata avanti dai suoi figli, prima, e dai nipoti, poi.
Il marchio targato Vincenzo Ferrieri è SfogliateLab (ma sono stati nutriti dalla medesima radice, per poi trovare modi e spazi di diversificazione, anche Cioccolatitaliani, con in tandem la coppia padre-figlio Giovanni e Vincenzo, esportato a Milano, e Cuori di sfogliatella di Antonio Ferrieri).
Questa nuova sede arriva dopo 20 anni dalla sede storica, situata nel cuore vivo e pulsante di piazza Garibaldi.
"Nella sede storica - racconta Vincenzo - gestisco la pasticceria e i laboratori artigianali. Trecentocinquanta metri quadrati, articolati su due piani".
Si bissa, quindi, con questo nuovo corner, più raccolto ed intimo, dotato di un forno, onde garantire la fragranza dei prodotti, cotti in loco, che però dal primo locale mutua lo stile, affidato all'architetto Francesca Guida, e i colori, per assicurare la piena riconoscibilità, e familiarità del marchio.
I prodotti targati SfogliateLab sanno conquistare tutti, da Nord a Sud: prova ne sono i numeri dell'e-commerce, con in testa la Lombardia: sfogliatella campanella, babà e pastiera, nelle due versioni dolce e salata.
Vincenzo ha il merito di aver letteralmente riconquistato la fascia giovanile, che si era allontanata dalla versione classica della sfogliatella riccia, preparata con una base neutra, fatta da acqua, farina e sale, e l'interno caratterizzato da un'esplosione di gusto, grazie alla mescolanza tra ricotta, semola e canditi.
"Per stregare un pubblico giovane - racconta Ferrieri, formatosi alla Scuola di Dolce e Salato, che ha intrapreso il suo cammino sin da quando aveva 16 anni - ho mantenuto la farcitura a base di semola e ricotta, ma ho portato il gusto all'esterno, sulla superficie, coniugando tradizione e innovazione".
Poi arriva la Sfogliatella campanella, che ibrida il dolce partenopeo classico con il cannolo siciliano, facendo incontrare la croccantezza della sfoglia esterna e la scioglievolezza della farcia interna.
Il dolce viene cotto su uno stampino a forma di campana: all'interno troviamo ricotta fresca e, affinchè l'esterno non si inzuppi, perdendo la sua peculiarità croccante, viene isolata con una parete di cioccolato infuso. Sulla cima ed all'esterno, poi, tornano gli ingrediernti che caratterizzano la peculiare variante, presentata in oltre 40 nuance di sapore.
Ingolosisce l'aperitivo reso unico dalle mini-sfogliatelle salate, dove sono protagonisti alcuni elementi tipici della cucina partenopea: salsiccia e friarielli; melanzana e provola.
A viziare davvero tutti i gusti, ci pensa la Sfogliata fredda, un semifreddo che propone una sfogliata scomposta, fatta con pan di spagna, sfoglia sbriciolata, mousse di ricotta al gusto di sfogliata, canditi, aromi naturali, un'altra sfoglia e zucchero a velo. A completare quella che assume i contorni di una vera e propria opera d'arte, conferendole un'ulteriore caratterizzazione per le papille gustative, la decorazione realizzata con una mini - sfogliata riccia classica.
"Questa apertura - racconta Vincenzo - è una scommessa ed insieme una promessa fatta a mio padre reduce dal Covid-19. Trentadue giorni di ricovero in ospedale. Un gesto di speranza e rinascita, all'insegna del confronto e delle nuove idee".
Il protagonista della manifestazione Artigiano in fiera di Milano, la cui terza edizione si è svolta lo scorso dicembre, nella settimana che va dal 2 al 9, è il panettone al gusto di sfogliatella, figlio di una lievitazione lunga 72 ore, suddivisa in due momenti (doppia lievitazione), realizzato con una quantità di lievito madre davvero minima.
Per chi, come Vincenzo Ferrieri, si impegna, con competenza, dedizione, qualità e creatività, un brindisi al sapore dolce ed invitante delle scommesse vinte!
lunedì 22 giugno 2020
Gli Ultimi guerrieri. Un viaggio tra i Nativi Americani guidati da Raffaella Milandri
I Nativi Americani, invece, lo sanno bene. Per questo, cercano di vivere in piena armonia con la natura, proteggendo i boschi, l'acqua, la madre Terra, quale grembo fertile e protettivo.
Raffaela Milandri, con il suo libro Gli ultimi guerrieri, viaggio nelle riserve indiane, edito da Mauna Kea, ci fa conoscere da vicino questi popoli fieri, battaglieri, ognuno dei quali ha attuato la propria strategia di sopravvivenza alle angherie dell'uomo bianco, che ha surclassato la loro cultura, i loro usi, costumi e tradizioni, attraverso un processo di assimilazione coattiva. Quelli che noi, in maniera poco accorta, a volte chiamiamo Indiani o Pellerossa, facendo di tutta l'erba un fascio, ricorrendo, peraltro, ad una definizione desueta.
Assimilare vuol dire traformare qualcosa che è altro, estraneo, in qualcosa di nostro, che ci appartiene. Succede con gli alimenti, quando vengono metabolizzati dal nostro organismo. Ma quando si tratta di assimilazione culturale, parliamo di un processo che cancella le differenze, che azzera l'altro da sè e la sua legittima identità specifica.
Raffaella Milandri apre il suo libro ricorrendo alla tecnica del come se. Come sarebbe il mondo, in particolare quello Americano, se i Nativi vivessero rispettati nella loro terra, nelle loro tradizioni, liberi di tutelarle e tramandarle, di lavorare seguendo i ritmi delle stagioni, in accordo con il loro spiriti guida, in una visione lontana da quella di un capitalismo spinto fino alle estreme deleterie conseguenze.
Poi dà al lettore alcuni validi consigli da road map. Un lettore da lei trattato in maniera familiare, quasi fosse un compagno di viaggio a cui fare da Cicerone, suggerendogli delle dritte e disvelandogli quanto ha imparato su questi popoli durante i suoi viaggi. Uno stile colloquiale che, però, non abdica mai al rigore del racconto basato sulla ricerca e l'analisi scrupolosa delle fonti e sulle interviste a testimoni privilegiati, portavoce dell'intera comunità.
Gli consiglia quale percorso prediligere, dove e come mangiare, dove pernottare, all'insegna del low cost e cosa sia assolutamente necessario fare, come ad esempio l'assicurazione sanitaria, o non fare, onde evitare di esporsi ad inutili pericoli, rispettando profondamente luoghi e spiritualità.
Il libro è disponibile in versione cartacea, ad alta leggibilità, con lettere grandi e l'utilizzo di un'interlinea che assicura un buon livello di comfort visivo. La versione e-book è arricchita da un ampio corredo fotografico a colori (da cui le foto che arricchiscono l'articolo, ad opera di Raffaella Milandri, sono tratte).
Ora lasciamo la parola a Raffaella che ci accompagnerà in un viaggio di conoscenza degli ultimi guerrieri e del loro universo di senso e significato. Guerrieri, questo è certo: i Crow hanno cercato di lottare agendo dall'interno, attraverso un'alleanza con quello che per molti è solo un nemico. I Lakota, dissidenti, contestatari, non hanno mai voluto scendere a patti, a mediazioni, a compromessi.
Due facce della stessa medaglia: quella della tutela e del disperato tentativo di sopravvivenza di una cultura dalle radici forti ed antiche, ma attaccate e minate da più parti.
D. Tu racconti la storia di due tribù restituendo loro la dignità della verità storica. Ti sei basata esclusivamente sui loro racconti?
R. No, certo, ho fatto ricerche incrociate sugli archivi governativi statunitensi e su molti siti gestiti da Nativi Americani, è una procedura che mi permette poche imperfezioni storiche. Anche se, come si suol dire, "la storia è sempre raccontata dalla parte dei vincitori". Unire testimonianze dirette e ricerche sia su fonti storiche che su siti e giornali contemporanei mi consente un livello di veridicità che esula dal soggettivo.
D. Sei stata adottata dalla famiglia Crow di Cedric: ha cambiato ulteriormente la tua visione del mondo e delle relazioni?
R. Certo. Essere accolti come una persona di famiglia mi ha allargato la mente e il cuore. Per me esiste quel puntino sul mappamondo, là in Montana, a cui sono connessa ogni giorno condividendo gioie e preoccupazioni. La accoglienza della famiglia Black Eagle è stata il chiaro segnale della mia strada da seguire sul percorso a favore dei popoli indigeni.
D. In che modo la tua visione da occidentale, se si dà un senso maggiormente bilanciato al profitto, può aiutare le tribù a difendere i loro diritti in un'epoca permeata da un capitalismo spinto?
R. Innanzitutto , se parliamo di profitto, loro sono molto distanti dal senso del business che muove le vite degli occidentali e delle società capitalistiche, come anche la Cina, ad esempio, che alla fin fine seguono un modello eurocentrico.
Io credo che per loro sia fondamentale ricongiungersi a quei diritti identitari che possano supportare anche le loro economie, convogliando ad esempio il turismo a loro vantaggio,
e anche il mercato del loro artigianato che troppo spesso viene sfruttato dai Bianchi per trarne profitto. Sto scrivendo una GUIDA ALLE RISERVE INDIANE che ha lo scopo sia di divulgare la conoscenza sul mondo dei Nativi Americani, sia sul modo di praticare un turismo sostenibile che porti vantaggio alle loro comunità.
D. Oggi assistiamo ad un boom di filosofie e religioni alternative, che parlano di speranza e misticismo, e andiamo a cercare risposte in culture altre. Come vivi il contatto con la spiritualità dei Nativi che plasma il loro rapporto, ad esempio, con il tempo e con la morte?
R. Amo la spiritualità dei Nativi ma lungi da me il cercare di emularla. Le radici di ognuno sono profonde e non sopporto, tra l'altro, chi si ammanta di conoscenze e tradizioni
di altri popoli, soprattutto per profitto. E' la solita, vecchia appropriazione culturale. Mi riferisco ai falsi sciamani bianchi, ad esempio. Quanto a me, il loro modo di affrontare la vita mi ha infuso una certa serenità e ha ampliato il mio discostamento dai ritmi della nostra società consumistica . La diversità è un grande valore aggiunto.
D. Hai scelto uno stile colloquiale, semplice ma rigoroso, in cui ti rivolgi direttamente al lettore. Come mai?
R. E' lo stile che contraddistingue il mio modo di scrivere, quello di rivolgermi al lettore e di coinvolgerlo. Molti mi scrivono e mi dicono "mi sembrava di essere lì con te". Ecco, questo è il più grande complimento.
D. In un momento di povertà e bisogni urgenti di sopravvivenza, in che modo il tuo dizionario si propone di aiutare, offrendo un valore aggiunto alla lotta per i diritti dei Nativi Americani e differenziandosi dalle iniziative di altre organizzazioni umanitarie?
R. Bisogna distinguere tra aiuto culturale e identitario di riscatto da un violento passato di assimilazione culturale e aiuto concreto e finanziario. Oggi, a mio parere, è ancora ben difficile costruire una rete di solidarietà economica a favore dei popoli indigeni. Soprattutto oggi, che siamo immersi in una crisi globale. La solidarietà culturale passa, in Italia, attraverso i cuori di chi ama i Nativi Americani, in special modo. Le organizzazioni umanitarie mondiali si occupano di altro, ma l'ONU, ad esempio, appoggia iniziative come quella del dizionario, infatti la sua presentazione è stata inserita nel calendario degli eventi per la salvaguardia delle lingue indigene dell'UNESCO.
D. I Crow hanno scelto la sopravvivenza, i Lakota la libertà. In che punto queste due popolazioni antagoniste sono riuscite ad incontrarsi per riconciliarsi e curare le ferite del passato?
R. Oggi le tribù di Nativi Americani condividono gli stessi problemi, e sono unite nel salvaguardare i propri valori. I Crow e i Lakota, storicamente nemici, oggi hanno certo alcune differenze che li distinguono, ma poi rimane la base della tutela della cultura, della terra, della tradizione. In realtà, sono molto più simili tra di loro che non confrontati ad altre tribù . E' un discorso molto lungo. Fondamentalmente, i Crow rimangono sempre in buoni rapporti col Governo statunitense. I Lakota sono, invece, i guerrieri, i contestatori, vedi ad esempio il caso del lockdown per il coronavirus: gli Oglala Lakota si sono opposti al Governatore del Sud Dakota all'apertura delle strade nelle loro riserve, perchè hanno deciso di continuare a salvaguardare la salute dei propri membri.
D. A noi, così diversi culturalmente ed emotivamente, cosa può insegnare il reale recupero di questa memoria storica?
R. La cosa più importante è il loro rispetto della terra e dell'ambiente. Ad esempio tra loro ci sono i "Protettori dell'Acqua", persone che sono scelte per salvaguardare l'Acqua che per loro è un'entità viva, portatrice di vita. Il fatto poi che non siano avidi di denaro, e che non sfruttino le risorse del territorio per ricavarne denaro, è un valore molto prezioso e tutti dovremmo interrogarci a tal proposito, come racconto nel mio Liberi di non Comprare.
martedì 16 giugno 2020
Acquerello: un incontro di sapori ed esperienze affacciati sul Vesuvio, tra terra e cielo
Marc Augè parlava di questi luoghi come macroaree spersonalizzate ed anonime, i cosiddetti non-luoghi, ma questo nucleo di aggregazione è, invece, una perla nascosta, che non ti aspetti, raffinata ed accogliente, con una terrazza sospesa su un panorama mozzafiato: il mare che lancia uno sguardo languido al Vesuvio pronto a tingersi con i colori del tramonto, in un abbraccio carico di desiderio.
E' come la pentola d'oro dei folletti posta ai piedi dell'arcobaleno o il tesoro dei pirati sotterrato e, poi, svelato o, ancora, un diamante puro che viene nutrito nel buio della terra e rimane celato allo sguardo.
A caratterizzarlo un mix di adeguate distanze, che addirittura, nel momento ideativo, hanno preceduto la fase coattiva del distanziamento sociale, per assicurare il giusto grado di comfort, privacy ed intimità ai commensali, senza abdicare ad uno squisito senso di accoglienza e di condivisione.
Poi il gusto, quello che avvolge e vizia le papille gustative, senza scontentare mente e cervello: una sapiente miscellanea di sapori, odori, consistenze e tradizioni culturali e culinarie. Un ponte teso tra Oriente e Occidente, tra food & beverage.
Acquerello e anche mistione di competenze che si declinano alla voce gioco di squadra. Gli ideatori, i fratelli Stefano e Luigi Irollo, cui si aggiunge la mano del loro papà, con la loro propositività contagiosa e coraggiosa. La brigata di cucina, capitanata da Antonio Borrelli. Il personale di sala coordinato dal maitre Gianluigi Dattero e dal sommelier Michele Fontanella. La direzione spetta a Damiano De Luca.
Una sintesi di accoglienza e professionalità, qualità della cucina e del servizio con prestazioni tecniche di alta resa.
Per chi voglia vivere l'esterno magnifico della terrazza ma è freddoloso, e non ami il freschetto serale, in arrivo plaid e copertine per coccolarlo. Per garantire il distanziamento sociale, ma anche per abbattere l'impatto ambientale (zero spreco di carta, soprattutto tenendo conto dell'aggiornamento costante dei menù, atto a valorizzare la stagionalità degli ingredienti) il ricorso al QR code e a dispositivi elettronici collegati direttamente con il registratore di cassa. Sul fronte del servizio un gemellaggio tra quello all'italiana, al piatto, e quello alla francese con l'utilizzo di carrelli da portata.
Un connubio che consente di ottenere un servizio altamente attento e personalizzato, capace di ritrovare il gusto dell'andar lenti, come direbbe il sociologo Franco Cassano, per gustare sapori, inebriarsi di odori ed effluvi; apprezzare croccantezze e consistenze; ripulire il palato con vini di nicchia e cocktail energizzanti, che diventano accompagnamento di metà pasto e non solo aperitivo o bicchierino della staffa.
"Acquerello è un progetto sospeso sull'orlo del lockdown - spiega Stefano Irollo - bloccato da un fulmine a ciel sereno. Abbiamo voluto trasformare regole e canoni da rispettare in un ulteriore modo per far star bene i clienti e convertire un momento assurdo in un'opportunità".
Un momento difficile che, secondo i fratelli Irollo, può tramutarsi in uno strumento utile a "disciplinare" i clienti più irruenti ed a trasmettere le regole del buon vivere e dell'educazione civica.
"Abbiamo tanta strada da fare - continua Luigi Irollo - e da perfezionare, ma altresì, abbiamo buone intenzioni ed un ottimo potenziale".
A ribadirlo è lo chef Antonio Borrelli che sottolinea come appaiano centrali per crescere insieme l'ambizione e il tendere sempre al miglioramento, attraverso un gioco di squadra tra la parte imprenditoriale, la cucina e la sala.
"Il cibo e gli ingredienti - spiega - non vanno manipolati troppo. Occorre puntare sui metodi di cottura, di varia natura, sui processi di fermentazione, su ingredienti come tonno, cipolla, maionese, sull'affumicatura alla mela annurca e su quella nota di freschezza capace di fare la differenza".
Ne nasce un sapiente equilibrio tra tradizione ed un tocco di innovazione, incastonato nella bellezza del territorio vesuviano, da cui Antonio Borrelli, assieme alla sua brigata di cucina, trae gli ingredienti base dei sui piatti, pensati per rispettare e valorizzare il naturale alternarsi delle stagioni ed i doni della terra e del mare.
A stupire il palato non sono solo i piatti, sapientemente accompagnati da calici di nicchia, ma anche i soft drink, frutto della maestria del bar manager Elpidio dell'Aversano.
"Noi cerchiamo - racconta - sentori e rivisitazioni di classici, per esaltare il piatto, pulire il palato ed accompagnare il pasto".
Lo scopo è quello di accontentare tutta la fascia di clientela, dai gusti davvero diversificati.
IL MENU
L'Entree di benvenuto prepara il palato alle successive leccornie.
Da una parte abbiamo i panini al limone, che concentrano tutto l'odore e il sapore di questo agrume, rigorosamente preparati dallo chef. Dall'altra la pagnotta multicereali e le schiacciatine, un mix di croccantezza e morbidezza da intingere in olio toscano dell'Azienda agricola Ornellaia, a basa acidità, con un retrogusto dolce e fruttato.