domenica 31 maggio 2020

Quattro passi tra le sfumature di Tramonti di cartone con Marcello Affuso


Tramonti di cartone è un viaggio: attraverso i tramonti dell’esistenza, che come sottolinea lo stesso Marcello, sono fasi di transizione verso nuove consapevolezze. 

Tramonti che, guardati da un’altra prospettiva, sono anche preludi e speranze di albe, messe a maggese, in fase generativa e germinativa, cioè di rinnovati inizi. 

E’ un viaggio, non privo di difficoltà, di cadute, di ferite e di ripensamenti, che dall’io, capace di ripensare se stesso, conduce al noi.

Ora passiamo la parola a uno degli autori, Marcello Affuso



D. Come sono e quali sono i tramonti di cartone che danno il titolo al libro?

R. Il tramonto è un rito di passaggio, un intermezzo tra luce e ombra. E prima di poter arrivare al giorno, a godere di un sole forte e sincero, bisogna passare inevitabilmente nella scurezza della notte. I nostri tramonti sono quindi conati, preludi, desideri e sogni di un domani migliore.

D.  In che modo le vostre voci si armonizzano tra poesia, prosa, disegni e fotografia?

R. L’arte è empatia, condivisione. Gli echi delle penne e delle arti grafiche si sono accarezzati con una naturalezza impressionante. Nulla è stato preimpostato, tutt'altro. 

D.  Che strada cognitiva ed emotiva comune, nutrita di varie identità, delinea il libro?

R. Malinconia e speranza vanno sicuramente a braccetto nelle nostre pagine così come la consapevolezza della caducità del tempo e delle emozioni. 

D.  Tu spesso nelle tue poesie racconti un senso di spaesamento, di disgregazione, di ricerca di sé, anche nel rispecchiamento e riconoscimento con l'altro. Qual è la strada per rimettere insieme i pezzi?

R. La risposta è tra le righe di ogni parola e nel coraggio di canalizzare il male e farne fiori, sorrisi, bagaglio intellettuale con cui affrontare con più forza quello che sarà.
L’ispirazione si fa prima concretezza e poi trampolino con cui aspirare a quella serenità tanto agognata. Vedo quindi la scrittura come un mezzo, un tramite per qualcosa di più alto, qualcosa che non può essere intrappolato su carta ma solo vissuto.



D. Avete scelto di devolvere i diritti d'autore ad una associazione, l’Onlus I Care. Perché e con quali obiettivi?

R. Il libro termina con un brano sull’Africa, con un tramonto che invece di chiudere un giorno, apre ad una nuova vita e porta con sé la promessa di una nuova alba, il miracolo della rinascita e il sole solo in apparenza viene inghiottito dalla notte, mentre in realtà, è la sorgente unica d’ogni luce.
Valentina Bonavolontà, una delle coautrici, è stata in Africa nel 2015 e nell’estate del 2019 in missione umanitaria con l’Onlus I Care, associazione che ogni giorno lotta per portare in Africa acqua, istruzione e formazione ad un popolo duramente provato dalla fame, dalla miseria, dalla siccità, dalla guerra e da gravi emergenze sanitarie.
Ci ha sempre detto che quando si torna da un mondo così lontano da quello dal quale provieni sono due i sentimenti più prepotenti: una incurabile nostalgia e un fortissimo senso di responsabilità. 

D.  In che modo la vostra casa editrice la GM Press vi ha accompagnati in questo viaggio?

R. Con discrezione e creatività Giuseppe Branca e i suoi collaboratori hanno sempre creduto in noi e gestito in maniera professionale la pubblicazione di questo volume che, nonostante il Covid, così tante soddisfazioni ci sta regalando. Vorrei puntualizzare che la GM Press non chiede - sí, nel 2020 succede ancora - alcun contributo per realizzare il sogno del cassetto dei suoi autori.

sabato 30 maggio 2020

Tramonti di cartone: quando il monologo esistenziale sa farsi dialogo foriero di consapevolezza



Tramonti di cartone non racconta una sola storia ma tanti frammenti di storie: frammenti aguzzi, taglienti, che restituiscono al lettore dei segmenti di speranze disilluse, di paure, di ossessioni e di possessioni. 

Sì perché si può essere posseduti: da una paura che diventa nevrosi, da un legame che diventa legaccio, dal un amore finito o interrotto che si rifiuta di sfumare nella dolcezza del ricordo, ma resta arpionato al cuore, creando un dolore costante, con picchi acuti. 

E’ il senso acuto della separazione, dell’abbandono, della perdita, accompagnato però anche dalla speranza di non essere davvero soli. Una speranza che nasce da una condivisione autentica, trovando il proprio presupposto in una comune radice umana di fragilità, fallibilità e caducità, ma anche di empatia e resilienza.

Il tramonto, come sottolinea uno degli autori, Marcello Affuso, è proprio questo: un momento di passaggio verso nuove fasi e consapevolezze. E’ la luna che ancora deve spuntare; è il sole che sta per immergersi nel mare o nascondersi dietro un massiccio montuoso. 

I tramonti, poi, sono di cartone: infatti, è sul cartone che si possono sfumare meglio le tonalità pastello, quella arancione di un meriggio intenso; quella marrone di un terreno fecondo, che però a volte diviene arido e bruciato; quella verde dell’erba fresca ed odorosa, che ha il colore ed il sapore dei nuovi inizi possibili all’insegna del riscatto.

Un effetto alchemico ottenuto fondendo insieme varie nuance, anche quelle apparentemente più in contrasto, con le fibre legnose del cartone, che, talvolta, in seguito a forti sollecitazioni,  possono anche accartocciarsi, fendersi, deformarsi, “ferirsi” con grande facilità.

Il fascino e l’intensità di questo dialogo a più voci, dove si sommano vari monologhi interiori, con Valentina Bonavolontà, Giulia Verruti, Marcello Affuso, che trovano il loro contraltare nei disegni di Federica Crispo e nelle foto di Erica Bardi , risiede nel fatto che gestalticamente, sappiano dare vita ad una qualità emergente, ad un tutto che ha in sé qualcosa di molto diverso e più ricco della mera somma delle parti. 

E’ la possibilità concessa, non scontata né usuale, di guardare un medesimo frammento esistenziale riflesso e moltiplicato in vari specchi, da più angolazioni e prospettive, declinandolo attraverso diversi codici espressivi: la poesia, la prosa, i disegni, le fotografie. 

Una perfetta specularità e complementarietà li caratterizza, ma in ciascuno di essi si respira forte anche la storia e il percorso specifico, l’identità, del suo autore. 

Un’identità che, pur non perdendosi né annullandosi, sa farsi, attraverso un processo di sapiente amalgama, avvenuto in maniera naturale, senza forzature, scambio e confronto, collettività.

Ne nasce un percorso di costante ricerca di sé, tra occasioni afferrate, in extremis, in ostinata controtendenza, sull’orlo di una presa di consapevolezza e di una dimostrazione del coraggio di essere e diventare se stessi. Di possibilità perse, mancate, sfumate. Di promesse fatte, mantenute, violate. Di ritrovamento e di riconoscimento di se stessi, per poi rispecchiarsi nell’altro, tra somiglianze e differenze, pur nel rispetto della sua imprescindibile ed irriducibile specificità ed alterità.

martedì 26 maggio 2020

Layla: quattro chiacchiere con Massimo Piccolo


Oddio 390 pagine! Potrebbe essere questa la prima reazione di fronte alla mole che caratterizza Layla dello scrittore Massimo Piccolo.



Ma è solo l'impressione iniziale, perchè le pagine scorrono via veloci ed alla fine lasciano l'impressione che siano addirittura poche e che vorremmo leggerne di più, per capire, per scoprire, per approfondire, per orientarci di fronte ad un senso di spaesamento, addirittura di smarrimento, e di sospensione.

Sarà perchè al gruppo di adolescenti che sono al centro della storia si fa presto ad affezionarsi: credo che, tutto sommato, tra il consapevole e l'inconsapevole, ognuno finisca per identificarsi con uno di loro, magari sull'onda dei ricordi di un tempo che fu.

Ma sono davvero loro i reali protagonisti? O non è piuttosto il denso amalgama di misterico e di noir, che continuamente sfida i "dogmi" razionalisti, confonde e lascia con il fiato sospeso anche i più scettici?

Ne abbiamo parlato con Massimo, cercando di "estorcegli" qualche risposta e qualche piccolo chiarimento.



Per voi buona lettura!


D. Come nasce l'idea di scrivere un romanzo così complesso come temi, argomenti, strati narrativi intrecciati?

R. Esiste, specie nell’editoria mainstream, una pericolosa tendenza a sottostimare la capacità dei lettori. Specie quelli che vanno dai 13 ai 40anni. Tutto deve essere di consumo veloce, a prescindere da genere, tema o argomento trattati. Spesso si confonde la complessità con la pesantezza e la leggerezza con la banalità. Io tra “Un medico in famiglia” e “Dr. House” preferisco di gran lunga “Dr. House”, tra un polpettone agiografico su Rai1 e il “Trono di Spade” preferisco il “Trono di Spade”, l’Universo Marvell ha una complessità che se prendi dieci bestseller italiani se la sognano. Quando scrivo lo faccio per questo tipo di lettori che poi, a dispetto di quello che si pensa, viste le vendite e il successo di Layla, sto scoprendo essere davvero tantissimi.

D. Il tuo è un po' un teen drama, un romanzo di storie adolescenziali, un po' lambisce le strade dell'esoterismo, tra usi, costumi e cenni di antropologia, un po' ricostruisce frammenti di storia. Come lo definiresti?

R. I protagonisti sono ragazzi all’ultimo anno del liceo, i temi trattati sono universali anche se alla fine si concentrano tutti su un’unica indagine che al centro ha quanto di più meraviglioso, complesso, sacro e irraggiungibilmente enigmatico si possa trovare in natura: la mente umana. Il genere è sicuramente il mistery, amatissimo dal pubblico di tutto il mondo (anche grazie alle serie tv), ma per nulla o pochissimo praticato in Italia. Probabilmente per le ragioni che dicevo sopra: perché funzioni, un buon mistery deve avere una dose di complessità non semplice da gestire. Non basta la frasetta ad effetto a fine paragrafo perché funzioni, giusto per capirci. 



D. Un romanzo dalla lunga genesi. Ce la descrivi?

R. La genesi in realtà è stata abbastanza veloce, ho tracciato i due personaggi principali e l’arena nell’arco di una notte. La gestazione e la realizzazione sono state un bel po’ più lunghe, circa tre anni e 7 revisioni. Che per i miei tempi creativi non sono nemmeno tantissimi. La parte più complessa della gestazione è stata il reperimento delle fonti, perché ho voluto che tutta la parte esoterica di Layla fosse assolutamente reale, ognuno, libro alla mano, può risalire e indagare sulle tracce che questo antichissimo culto ha lasciato a Napoli (e nel mondo). La parte più divertente della gestazione è stata entrare in contatto personale con gli esponenti di questo culto che, trattandosi di magia nera, per quanto gentilissimi, non sono stati proprio tranquillizzanti. La parte più esaltante invece è stata la scrittura, ma questo, immagino, per uno scrittore sia la norma.

D. Le teorie, alcune oscure e misteriche, ed alcuni aneddoti che tu racconti (anche attraverso lo strumento del blog di Gabriel) sono tratte da percorsi di studio di vario tipo o sono il parto di una fervida fantasia o di un mix (e come dialogano le varie componenti)?
 
R. Tutto assolutamente reale. Ogni teoria e ogni riferimento al culto dei “non vivi o pendentes” (non è il nome reale ma per motivi di opportunità ho preferito chiamarlo così), ha precisi riferimenti storici, alchemici e religiosi, così come ogni teoria scientifica è supportata da evidenze. 




D. La tua è una mente razionale e scientifica: qual è il tuo rapporto con il mistero, il paranormale, l'esoterismo?

R. Razionale al 100%. Ogni cosa ha una spiegazione. Quando non c’è è perché siamo noi incapaci a vederla. Per questo è stato così affascinante misurarmi con questi argomenti.

D. Cosa lega Layla a Estelle?

R. Mah, dal momento che sono entrambe frutto di una mia creazione sicuramente avranno dei punti in comune… ma forse sarebbe più interessante che a svelare questi punti fossero i lettori…

domenica 24 maggio 2020

Layla di Massimo Piccolo: il lato luminoso dell'oscurità


Il romanzo Layla di Massimo Piccolo edito da Cuzzolin Editore sembrerebbe invitare l’interlocutore ad una lettura a più strati ai quali è possibile accedere attraverso varie porte di ingresso che si affacciano sul suo universo narrativo, equivalenti a altrettante dimensioni parallele di senso e significato.

Come succede per chi accetti la sfida di penetrare negli anfratti oscuri, della propria mente e di quella altrui, è un attimo a sentirsene affascinati, quasi risucchiati, tanto da rendersi presto conto che non siamo noi a decidere quale dimensione preferiamo percorrere, ma è il libro stesso a guidarci, al pari di come farebbe Lilith nelle oscurità e nei meandri dell’inconscio (e, in questo alveo narrativo, tale ruolo potrebbe essere svolto dalla Sposa Vergine o dalla stessa Layla, un personaggio che ha tanto da “essere” ed esistere, nella sua voglia ostinata e disperata di crescere, ed altrettanto da nascondere e da nascondersi).



I protagonisti sono alcuni adolescenti, Gabriel, Sara, Layla e Tommaso/Pisto, che per alcuni di noi, lontani dall’adolescenza ma non ancora genitori, per scelta o per ventura, sono come “sospesi” in una fase temporale “altra” ed estranea , che non ci appartiene, e per questo finisce per avere un sapore agrodolce, perchè troppo lontana nel passato per essere rivissuta, e troppo spostata nel futuro per essere sentita come davvero propria, nel ruolo di genitori di figli in boccio. 

L‘'impressione che si riceve, fin dalle prime battute, è che in questo libro ci sia un continuo interscambio tra normale e paranormale. La normalità, apparentemente quieta, in realtà non lo è mai, e la paranormalità assume quasi una funzione di rassicurazione delle anime inquiete: quelle che, per ventura o per sventura, incrociano i loro passi con quelli dei fantasmi, che, attraverso il tempo e lo spazio, abitano da sempre la Città delle Sirene. Quelli ormai trapassati o legati alla vita da un filo che stenta a spezzarsi, che li imprigiona in una spirale, in un vortice.

Varcando varie porte narrative, da una parte ci troviamo immersi in atmosfere adolescenziali, tra amori nascenti, cocenti gelosie, patti di amicizia e corteggiamenti incrociati, dove ogni personaggio non è appiattito nella monodimensionalità di un'unica caratterizzazione (Sara, ad esempio, è bella e alla moda, ma allo stesso tempo dimostra capacità empatica e angoli fragili, fino a mostrarne alcuni aguzzi e taglienti, quelli della delusione e della rabbia). Dall’altra ci troviamo sbalzati nell’universo stregonesco, tra unguenti, pozioni, scope, giudizi sommari e feroci.



Allo stesso modo i nostri stati d’animo sono soggetti, loro malgrado, a continui sbalzi, di temperatura e di pressione: mentre stiamo sorridendo di fronte alla timidezza di Layla, che comincia a percorrere il tortuoso cammino dell’accettazione propria ed altrui e ad assaporare il gusto della prima birra, così come quello di sentirsi finalmente parte di un gruppo; ecco che ci troviamo quasi terrorizzati rispetto ad un cambio di scena repentino, che ci fa dare una sbirciata dietro le quinte. Da una parte stringiamo un patto solidale con Layla contro il padre-padrone, ma dall’altra veniamo indotti a provare tenerezza per un uomo che sembrerebbe fortemente provato dalla vita e dagli eventi, vittima di una situazione fuori controllo, che appoggia stancamente la testa sulle gambe dell’amica ed aiutante Anna.

Mentre un moto di umana solidarietà cerca quasi di farsi strada in noi, ecco una nuova repentina rivelazione, un cambio inaspettato di scena, che ci rivela un nuovo frammento narrativo ed identitario e con esso l’altro lato della luna, quello più oscuro. 

Perché in Layla niente è come sembra. Attenti, poi, ai particolari apparentemente secondari. Nulla è messo lì a caso... Come effetto collaterale, inoltre, vi ritroverete, vostro malgrado, alla ricerca quasi ossessiva dei segni…

Layla è un dialogo costantemente in bilico tra mondi diversi: tra generi, tra visioni delle cose, tra mondo del sensibile, del fisico e del metafisico, tra psicologia e parapsicologia, tra spinte razionalizzanti e fascino dell'occulto.

In particolare, viene presentato un universo maschile che si relaziona ma a tratti appare quasi scisso da quello femminile. Le vere protagoniste in qualche modo sono sempre e comunque le donne, a partire da Partenope, dal cui corpo seducente, magico, ma marcescente nasce la città. Donne da Layla a Marta (procedendo dalla protagonista ad una mera comparsa), consapevoli di dove vogliono andare, a costo di camminare sull’orlo del precipizio delle loro fragilità ed insicurezze, dei loro vuoti e dei loro lati oscuri e proibiti (o a volte ad essere proibiti sono alcune azioni... altre volte i pensieri). 

Se Layla vuole crescere in maniera quasi disperata e far parte di un gruppo, trovando un cantuccio di affetto, Sara vuole diventare fashion blogger e riposare sulla sicurezza di un amore coinvolgente, ma solido e duraturo. 

Bianca aspira ad essere amata ed accettata ed è disposta a cedere al compromesso per raggiungere questo scopo (ed è l’unica che percepisce il cambiamento d'atmosfera e l’oscura presenza di un fattore anomalo e perturbante, che acquisisce sempre più forza). 

Marta sa chi desidera e non si fa problemi a provare fino in fondo a conquistarlo. La Sposa Vergine è una figura ambigua, con una sua missione, che sa stupire per intrinseca coerenza e per un improvviso sprazzo di struggente umanità. 

Le figure maschili, Gabriel, Pisto, il notaio Alessandro D’Ambrosio, ma anche le numerose comparse (che non si "rivelano" mai a caso), invece, sembrano molto più irresolute, costantemente travolte da insicurezze, bisogno di conferme, innamoramenti da romanticherie e manie di onnipotenza, a cui fanno da contraltare momenti di disperazione e cedimento ed anche irresistibili attrazioni da canto delle sirene, con i relativi pericoli e le insidie celate sotto la superficie.

Attenzione: affezionarsi a Layla è davvero immediato così come trovarsi ad esperire la sensazione di volerla proteggere... Per questo, ma non solo, questo libro provoca una sana dipendenza... E state certi che sulla soglia del finale starete già attendendone il seguito!