lunedì 22 giugno 2020

Gli Ultimi guerrieri. Un viaggio tra i Nativi Americani guidati da Raffaella Milandri

L'epidemia, poi divenuta pandemia, da Covid-19 ci ha ricordato o avrebbe dovuto, che nessun organismo vivente può sopravvivere se collassa chi lo ospita. Che non siamo pezzi sparsi e superiori, bensì un tutt'uno con l'ecosistema, anche se stentiamo a comprendere e ad applicare questa consapevolezza.


I Nativi Americani, invece, lo sanno bene. Per questo, cercano di vivere in piena armonia con la natura, proteggendo i boschi, l'acqua, la madre Terra, quale grembo fertile e protettivo.




Raffaela Milandri, con il suo libro Gli ultimi guerrieri, viaggio nelle riserve indiane, edito da Mauna Kea, ci fa conoscere da vicino questi popoli fieri, battaglieri, ognuno dei quali ha attuato la propria strategia di sopravvivenza alle angherie dell'uomo bianco, che ha surclassato la loro cultura, i loro usi, costumi e tradizioni, attraverso un processo di assimilazione coattiva. Quelli che noi, in maniera poco accorta, a volte chiamiamo Indiani o Pellerossa, facendo di tutta l'erba un fascio, ricorrendo, peraltro, ad una definizione desueta.

Assimilare vuol dire traformare qualcosa che è altro, estraneo, in qualcosa di nostro, che ci appartiene. Succede con gli alimenti, quando vengono metabolizzati dal nostro organismo. Ma quando si tratta di assimilazione culturale, parliamo di un processo che cancella le differenze, che azzera l'altro da sè e la sua legittima identità specifica.



Raffaella Milandri apre il suo libro ricorrendo alla tecnica del come se. Come sarebbe il mondo, in particolare quello Americano, se i Nativi vivessero rispettati nella loro terra, nelle loro tradizioni, liberi di tutelarle e tramandarle, di lavorare seguendo i ritmi delle stagioni, in accordo con il loro spiriti guida, in una visione lontana da quella di un capitalismo spinto fino alle estreme deleterie conseguenze.

Poi dà al lettore alcuni validi consigli da road map. Un lettore da lei trattato in maniera familiare, quasi fosse un compagno di viaggio a cui fare da Cicerone, suggerendogli delle dritte e disvelandogli quanto ha imparato su questi popoli durante i suoi viaggi. Uno stile colloquiale che, però, non abdica mai al rigore del racconto basato sulla ricerca e l'analisi scrupolosa delle fonti e sulle interviste a testimoni privilegiati, portavoce dell'intera comunità.



Gli consiglia quale percorso prediligere, dove e come mangiare, dove pernottare, all'insegna del low cost e cosa sia assolutamente necessario fare, come ad esempio l'assicurazione sanitaria, o non fare, onde evitare di esporsi ad inutili pericoli, rispettando profondamente luoghi e spiritualità.

Il libro è disponibile in versione cartacea, ad alta leggibilità, con lettere grandi e l'utilizzo di un'interlinea che assicura un buon livello di comfort visivo. La versione e-book è arricchita da un ampio corredo fotografico a colori (da cui le foto che arricchiscono l'articolo, ad opera di Raffaella Milandri, sono tratte).

Ora lasciamo la parola a Raffaella che ci accompagnerà in un viaggio di conoscenza degli ultimi guerrieri e del loro universo di senso e significato. Guerrieri, questo è certo: i Crow hanno cercato di lottare agendo dall'interno, attraverso un'alleanza con quello che per molti è solo un nemico. I Lakota, dissidenti, contestatari, non hanno mai voluto scendere a patti, a mediazioni, a compromessi. 



Due facce della stessa medaglia: quella della tutela e del disperato tentativo di sopravvivenza di una cultura dalle radici forti ed antiche, ma attaccate e minate da più parti.

D. Tu racconti la storia di due tribù restituendo loro la dignità della verità storica. Ti sei basata esclusivamente sui loro racconti?
 
R. No, certo, ho fatto ricerche incrociate sugli archivi governativi statunitensi e su molti siti gestiti da Nativi Americani, è una procedura che mi permette poche imperfezioni storiche. Anche se, come si suol dire, "la storia è sempre raccontata dalla parte dei vincitori". Unire testimonianze dirette e ricerche sia su fonti storiche che su siti e giornali contemporanei mi consente un livello di veridicità che esula dal soggettivo.




D. Sei stata adottata dalla famiglia Crow di Cedric: ha cambiato ulteriormente la tua visione del mondo e delle relazioni?

R. Certo. Essere accolti come una persona di famiglia mi ha allargato la mente e il cuore. Per me esiste quel puntino sul mappamondo, là in Montana, a cui sono connessa ogni giorno condividendo gioie e preoccupazioni. La accoglienza della famiglia Black Eagle è stata il chiaro segnale della mia strada da seguire sul percorso a favore dei popoli indigeni.
 
D. In che modo la tua visione da occidentale, se si dà un senso maggiormente bilanciato al profitto, può aiutare le tribù a difendere i loro diritti in un'epoca permeata da un capitalismo spinto?

R. Innanzitutto , se parliamo di profitto, loro sono molto distanti dal senso del business che muove le vite degli occidentali e delle società capitalistiche, come anche la Cina, ad esempio, che alla fin fine seguono un modello eurocentrico.
Io credo che per loro sia fondamentale ricongiungersi a quei diritti identitari che possano supportare anche le loro economie, convogliando ad esempio il turismo a loro vantaggio,
e anche il mercato del loro artigianato che troppo spesso viene sfruttato dai Bianchi per trarne profitto. Sto scrivendo una GUIDA ALLE RISERVE INDIANE che ha lo scopo sia di divulgare la conoscenza sul mondo dei Nativi Americani, sia sul modo di praticare un turismo sostenibile che porti vantaggio alle loro comunità.





D. Oggi assistiamo ad un boom di filosofie e religioni alternative, che parlano di speranza e misticismo, e andiamo a cercare risposte in culture altre. Come vivi il contatto con la spiritualità dei Nativi che plasma il loro rapporto, ad esempio, con il tempo e con la morte?

R. Amo la spiritualità dei Nativi ma lungi da me il cercare di emularla. Le radici di ognuno sono profonde e non sopporto, tra l'altro, chi si ammanta di conoscenze e tradizioni
di altri popoli, soprattutto per profitto. E' la solita, vecchia appropriazione culturale. Mi riferisco ai falsi sciamani bianchi, ad esempio. Quanto a me, il loro modo di affrontare la vita mi ha infuso una certa serenità e ha ampliato il mio discostamento dai ritmi della nostra società consumistica . La diversità è un grande valore aggiunto.

D. Hai scelto uno stile colloquiale, semplice ma rigoroso, in cui ti rivolgi direttamente al lettore. Come mai?

R. E' lo stile che contraddistingue il mio modo di scrivere, quello di rivolgermi al lettore e di coinvolgerlo. Molti mi scrivono e mi dicono "mi sembrava di essere lì con te". Ecco, questo è il più grande complimento.

D. In un momento di povertà e bisogni urgenti di sopravvivenza, in che modo il tuo dizionario si propone di aiutare, offrendo un valore aggiunto alla lotta per i diritti dei Nativi Americani e differenziandosi dalle iniziative di altre organizzazioni umanitarie?

R. Bisogna distinguere tra aiuto culturale e identitario di riscatto da un violento passato di assimilazione culturale e aiuto concreto e finanziario. Oggi, a mio parere, è ancora ben difficile costruire una rete di solidarietà economica a favore dei popoli indigeni. Soprattutto oggi, che siamo immersi in una crisi globale. La solidarietà culturale passa, in Italia, attraverso i cuori di chi ama i Nativi Americani, in special modo. Le organizzazioni umanitarie mondiali si occupano di altro, ma l'ONU, ad esempio, appoggia iniziative come quella del dizionario, infatti la sua presentazione è stata inserita nel calendario degli eventi per la salvaguardia delle lingue indigene dell'UNESCO.


D. I Crow hanno scelto la sopravvivenza, i Lakota la libertà. In che punto queste due popolazioni antagoniste sono riuscite ad incontrarsi per riconciliarsi e curare le ferite del passato?

R. Oggi le tribù di Nativi Americani condividono gli stessi problemi, e sono unite nel salvaguardare i propri valori. I Crow e i Lakota, storicamente nemici, oggi hanno certo alcune differenze che li distinguono, ma poi rimane la base della tutela della cultura, della terra, della tradizione. In realtà, sono molto più simili tra di loro che non confrontati ad altre tribù . E' un discorso  molto lungo. Fondamentalmente, i Crow rimangono sempre in buoni rapporti col Governo statunitense. I Lakota sono, invece, i guerrieri, i contestatori, vedi ad esempio il caso del lockdown per il coronavirus: gli Oglala Lakota si sono opposti al Governatore del Sud Dakota all'apertura delle strade nelle loro riserve, perchè hanno deciso di continuare a salvaguardare la salute dei propri membri.




D.  A noi, così diversi culturalmente ed emotivamente, cosa può insegnare il reale recupero di questa memoria storica?

R. La cosa più importante è il loro rispetto della terra e dell'ambiente. Ad esempio tra loro ci sono i "Protettori dell'Acqua", persone che sono scelte per salvaguardare l'Acqua che per loro è un'entità viva, portatrice di vita. Il fatto poi che non siano avidi di denaro, e che non sfruttino le risorse del territorio per ricavarne denaro, è un valore molto prezioso e tutti dovremmo interrogarci a tal proposito, come racconto nel mio Liberi di non Comprare.

martedì 16 giugno 2020

Acquerello: un incontro di sapori ed esperienze affacciati sul Vesuvio, tra terra e cielo

Acquerello. Il nome può riferirsi ad una serie di alchimie e sintonie possibili. A tratti impensate ed a tratti magiche. Innanzi tutto la collocazione. Il ristorante lounge bar, infatti, è ospitato in un centro commerciale, quello delle Pendici ad Ercolano in via Sacerdote Benedetto Cozzolino, 86.

Marc Augè parlava di questi luoghi come macroaree spersonalizzate ed anonime, i cosiddetti non-luoghi, ma questo nucleo di aggregazione è, invece, una perla nascosta, che non ti aspetti, raffinata ed accogliente, con una terrazza sospesa su un panorama mozzafiato: il mare che lancia uno sguardo languido al Vesuvio pronto a tingersi con i colori del tramonto, in un abbraccio carico di desiderio.

E' come la pentola d'oro dei folletti posta ai piedi dell'arcobaleno o il tesoro dei pirati sotterrato e, poi, svelato o, ancora, un diamante puro che viene nutrito nel buio della terra e rimane celato allo sguardo.



A caratterizzarlo un mix di adeguate distanze, che addirittura, nel momento ideativo, hanno preceduto la fase coattiva del distanziamento sociale, per assicurare il giusto grado di comfort, privacy ed intimità ai commensali, senza abdicare ad uno squisito senso di accoglienza e di condivisione.

Poi il gusto, quello che avvolge e vizia le papille gustative, senza scontentare mente e cervello: una sapiente miscellanea di sapori, odori, consistenze e tradizioni culturali e culinarie. Un ponte teso tra Oriente e Occidente, tra food & beverage.

Acquerello e anche mistione di competenze che si declinano alla voce gioco di squadra. Gli ideatori, i fratelli Stefano e Luigi Irollo, cui si aggiunge la mano del loro papà, con la loro propositività contagiosa e coraggiosa. La brigata di cucina, capitanata da Antonio Borrelli. Il personale di sala coordinato dal maitre Gianluigi Dattero e dal sommelier Michele Fontanella. La direzione spetta a Damiano De Luca.

Una sintesi di accoglienza e professionalità, qualità della cucina e del servizio con prestazioni tecniche di alta resa.

Per chi voglia vivere l'esterno magnifico della terrazza ma è freddoloso, e non ami il freschetto serale, in arrivo plaid e copertine per coccolarlo. Per garantire il distanziamento sociale, ma anche per abbattere l'impatto ambientale (zero spreco di carta, soprattutto tenendo conto dell'aggiornamento costante dei menù, atto a valorizzare la stagionalità degli ingredienti) il ricorso al QR code e a dispositivi elettronici collegati direttamente con il registratore di cassa. Sul fronte del servizio un gemellaggio tra quello all'italiana, al piatto, e quello alla francese con l'utilizzo di carrelli da portata.

Un connubio che consente di ottenere un servizio altamente attento e personalizzato, capace di  ritrovare il gusto dell'andar lenti, come direbbe il sociologo Franco Cassano, per gustare sapori, inebriarsi di odori ed effluvi; apprezzare croccantezze e consistenze; ripulire il palato con vini di nicchia e cocktail energizzanti, che diventano accompagnamento di metà pasto e non solo aperitivo o bicchierino della staffa.



"Acquerello è un progetto sospeso sull'orlo del lockdown - spiega Stefano Irollo -  bloccato da un fulmine a ciel sereno. Abbiamo voluto trasformare regole e canoni da rispettare in un ulteriore modo per far star bene i clienti e convertire un momento assurdo in un'opportunità".

Un momento difficile che, secondo i fratelli Irollo,  può tramutarsi in uno strumento utile a "disciplinare" i clienti più irruenti ed a trasmettere le regole del buon vivere e dell'educazione civica.

"Abbiamo tanta strada da fare - continua Luigi Irollo - e da perfezionare, ma altresì, abbiamo buone intenzioni ed un ottimo potenziale".

A ribadirlo è lo chef Antonio Borrelli che sottolinea come appaiano centrali per crescere insieme l'ambizione e il tendere sempre al miglioramento, attraverso un gioco di squadra tra la parte imprenditoriale, la cucina e la sala.

"Il cibo e gli ingredienti - spiega - non vanno manipolati troppo. Occorre puntare sui metodi di cottura, di varia natura, sui processi di fermentazione, su ingredienti come tonno, cipolla, maionese, sull'affumicatura alla mela annurca e su quella nota di freschezza capace di fare la differenza".

Ne nasce un sapiente equilibrio tra tradizione ed un tocco di innovazione, incastonato nella bellezza del territorio vesuviano, da cui Antonio Borrelli, assieme alla sua brigata di cucina, trae gli ingredienti base dei sui piatti, pensati per rispettare e valorizzare il naturale alternarsi delle stagioni ed i doni della terra e del mare.

A stupire il palato non sono solo i piatti, sapientemente accompagnati da calici di nicchia, ma anche i soft drink, frutto della maestria del bar manager Elpidio dell'Aversano.

"Noi cerchiamo - racconta - sentori e rivisitazioni di classici, per esaltare il piatto, pulire il palato ed accompagnare il pasto".

Lo scopo è quello di accontentare tutta la fascia di clientela, dai gusti davvero diversificati.

IL MENU

L'Entree di benvenuto prepara il palato alle successive leccornie.

Da una parte abbiamo i panini al limone, che concentrano tutto l'odore e il sapore di questo agrume, rigorosamente preparati dallo chef.  Dall'altra la pagnotta multicereali e le schiacciatine, un mix di croccantezza e morbidezza da intingere in olio toscano dell'Azienda agricola Ornellaia, a basa acidità, con un retrogusto dolce e fruttato.

-Il cubo di tonno rosso glassato all'amarena su cialda soffiata al nero di seppia.
-Il sashimi di spigola, concasse’ di pomodoro ramato, maionese all’aglio, gel di pomodoro, consomme’ di acqua pazza e fresella sbriciolata, che richiama la panzanella.
Se il metodo di preparazione allunga lo sguardo verso l'Oriente e le sue tradizioni, all'insegna della cucina fusion, il taglio è squisitamente italiano.

L'abbinamento è con un Fiano doc dell'azienda agricola La Matta di Salerno. Si tratta di un vino bio spumantizzato, a fermentazione naturale direttamente in bottiglia con metodo ancestrale, preparato tra l'ultima luna e la luna nuova. A questo vino non filtrato, che quindi appare torbato, vengono aggiunti accortamente lieviti e zuccheri per farlo fermentare più velocemente.



-Il tataki di tonno rosso affummicato, maionese al lime, cipolla di tropea fermentata, fagiolini croccanti, polvere di origano e chips di wasabi.
-Le linguine alla scapece, menta glaciale, fiore cristallizzato e crudo di scampo.
In abbinamento un Verdicchio Classico superiore dei Castelli di Jesi, un nettare dal colore giallo paglierino, il solo bianco tanninico. La nota olfattiva è caratteristica, ma delicata. Il gusto è secco, corposo, compatto ed armonioso.

-Il filetto di pesce azzurro, salsa tiepida allo zafferano, sfoglia di cipollotti dell’agro-nocerino e insalatina di ceci.
In abbinamento il cocktail studiato dal bar manager Elpidio Dell’Aversano: è il Golden Sea. Un agrumato, capace di pulire la sapidità del palato, con una nota fresca e raffinata. Una versione sofisticata della limonata, dal gusto piacevolmente più carico, in grado di immergere gli astanti nei ricordi d'estate.



- La degustazione di piccola pasticceria: un bon bon che è un esplosione di sapore tra latte di bufala e limone. Per proseguire con una poesia, di formato più grande, ricoperta al mango. Ed ancora, un babà carico di tradizione, con la bagna al rum che rende il tutto morbido ed inzuppato al punto giusto, senza "affogarlo", rendendolo molliccio. 
In chiusura di sapori (che potrebbe essere anche apertura... ad ognuno la scelta delle sue tappe del gusto) una coda d'aragosta scrocchiarella, farcita con una panna così delicata, leggera e gustosa da essere una carezza per lo stomaco ed il palato.

In abbinamento un Pedro  Ximenez Fernando De Castilla, un passito in grado di fidelizzare, creando un'alleanza imperitura, anche i più allergici alle note alcoliche di fine pasto.

Se dovessi definire queste pietanze direi che hanno molte storie da raccontare. Li definirei piatti di relazione. Quelli che fanno dialogare ingredienti e competenze. Quelli vivi e pieni di passione, che non hanno ceduto alla routine del mestiere e ai ritmi di una quotidianità stanca, da catena di montaggio.
Quelli creati da coloro nei cui occhi e nel sorriso, che li accompagna nella fase di ideazione, di realizzazione e nel servizio,  puoi leggere il sacrificio, la rinunce ma anche la sfida, la voglia di sperimentare e di farcela, rimaste vive e vivide o rinate, come un'araba fenice, nonostante le difficoltà.

** Si ringrazia per le foto condivise Giuseppe De Carlo

giovedì 4 giugno 2020

La rivincita: la speranza che sopravvive al dolore


E’ disponibile gratuitamente da oggi, giovedì 4 giugno, su Raiplay il film La rivincita per la regia di Leo Muscato con Michele Venitucci, Michele Cipriani, Deniz Özdoğan, Sara Putignano, e con la partecipazione di Giuseppe Ciciriello, Vittorio Continelli, Francesco DeVito, Franco Ferrante, Domenico Fortunato. 



Una produzione Altre Storie con Rai Cinema Channel, prodotto da Cesare Fragnelli e realizzato con il contributo della Regione Puglia e di Apulia Film Commission.
Un film popolato da archetipi, come spiega Michele Santeramo, autore dell’omonimo libro da cui la pellicola è tratta. I protagonisti sono i cosiddetti nuovi poveri, quelli che si sono sentiti risucchiare da un presente senza certezze e da un futuro senza apparente speranza.

“Ho voluto puntare lo sguardo – spiega Santeramo – su un segmento ed un territorio ristretti, così da aver modo di arrivare fino in fondo, di scavare in profondità, intercettando sentimenti che possono diventare universali”.

E’ quello che accade, ad esempio, con il vecchio contadino che piange di fronte al taglio dei suoi olivi secolari. Il suo sguardo pieno di sofferenza e sdegno e  l’anatema “Vergonatevi!” gridato verso gli esecutori di un vero e proprio martirio, l’unica forma di ribellione che gli viene concessa mentre lo trascinano via, ci fa entrare nel cuore pulsante e sanguinante di un dolore vivo e ci spinge a considerare chi compie quell’azione truce al pari di un assassino. 



 Ad abitare il film sono quelli che devono lottare, come ricordano i protagonisti, per l’ottenimento delle cose più normali e per trovare, scavando e ferendosi le mani, alcune risorse insperate. Andando al di sotto ed oltre la superficie, come sottolineano gli ideatori, questo film rivela di essere anche e soprattutto un film sull’amore incondizionato, capace di sopravvivere al dolore ed alla disperazione.

Secondo Elena Capparelli, direttore di Rai Digital, è fondamentale che si sia aggiunto un altro tassello, un altro sguardo, un’altra prospettiva orientata verso un’umanità che non può mai riposare.

A conferire ai personaggi, già di per sé brechtianamente di carattere,  ulteriore spessore, ci pensano gli attori, un nucleo portante di estrazione teatrale, come evidenzia il regista, che con un apparente minimo sforzo riescono a raggiungere la massima resa emotiva, toccando tutte le corde dell’interiorità. 

La pellicola, come ribadisce Muscato, coagula pezzi di anima e di sentimento di cui gli attori si fanno vettori per arrivare allo spettatore.



“I due fratelli – evidenzia Michele Venitucci – rappresentano due personaggi complementari, la cui esistenza è necessaria e speculare l’una all’altra. Pur trattandosi di una sorta di personaggi verghiani della contemporaneità, estremamente realistici, la cifra narrativa è diversa e si innesta sui sentimenti, non seguendo necessariamente la strada lineare della verosimiglianza. Essi appartengono ad un luogo e ad un tempo, per quanto non sia esplicitata alcuna datazione, ma potrebbero benissimo essere senza tempo ed abitare un non luogo, un qualsiasi Sud del mondo”.

I protagonisti, secondo quanto ribadisce Cipriani, sono “uomini di carattere”, che posseggono sogni semplici, ma molto forti e voluti. Sogni che diventano una missione da perseguire, i cui artefici non abdicano mai a specifiche caratteristiche morali ed etiche.

Anche quando, per causa di forza maggiore, provano a percorrere la strada del compromesso, non arrivano mai all’abbrutimento totale e non rinunciano alla loro radice salda di profonda umanità e compassione.



“Non appare prevalente – continua Cipriani – l’adozione di un approccio realistico nella costruzione del personaggio. Ognuno conosce o è entrato in contatto con storie simili, ma nella narrazione si è provato a non generalizzare, bensì a raccontare questa specifica storia anziché quella dello stereotipo del povero sfortunato”.

Se i personaggi maschili appaiono speculari, lo stesso processo si attiva per quelli femminili, che incarnano due modi opposti di vivere la maternità. 

“Si tratta di una storia – dice Deniz Özdoğan -  che nutre un seme potente, tale da delineare un suo percorso. Una storia bella, umile, audace che, grazie a questo mix di elementi, riesce ad arrivare alla gente. Il mio personaggio rivoluziona la storia, ma in maniera serena, come acqua che scorre”. 



Per Sara Putignano, invece, si tratta dell’incarnazione di una maternità fallimentare, incasellata in una sorta di non famiglia, che contraddice i canoni sociali di maternità.

“La donna che interpreto – racconta Sara – compie un percorso intenso. La sua dinamica relazionale genera implosione. Ha un passato che compromette il suo rapporto con la maternità e solo alla fine riuscirà a dialogare davvero con gli altri ed a rapportarsi con la realtà che vive”.

Interessante entrare anche nella psicologia e nelle sfaccettature della narrazione dei cattivi della storia, che sono portatori di un’anti-etica paradossalmente dominata dai concetti di onore verso gli impegni ed educazione.

“Si tratta di un film – rimarca Domenico Fortunato – al contempo attualissimo ed universale. Alcuni personaggi che appartengono alla malavita organizzata allungano la loro presa tentacolare su un territorio, vi penetrano, spesso, in maniera silente, ma capillare ed inesorabile e riescono a coinvolgere anche persone perbene, facendo loro credere, attraverso il richiamo ad un concetto distorto d’onore, di essere nel giusto”.




Come si possono demistificare questi antieroi, togliendo loro potere?

Ad indicare una strada possibile è Franco Ferrante: “Occorre farne vedere e comprendere l’intrinseco ridicolo. Non sono eroi né antieroi: sono solo dei vigliacchi”.

La Rai attraverso la piattaforma Raiplay, in relazione a quanto spiega Paola Malanga, vice direttore, Produzione e Acquisti  Rai Cinema, amplia la propria offerta di storie e sentimenti che riguardano tutti. Lo fa all’indomani di una quarantena che, per alcuni versi, ha offerto un’occasione straordinaria, per poter sviluppare la fruizione di una piattaforma che consente ad un pubblico trasversale, che per un insieme di ragioni non riesce ad andare al cinema, di fruire di un’ampia scelta di pellicole di elevata qualità. 

Se è vero, come evidenzia, che la fruizione rimane ‘isolata’, è altrettanto vero che i collegamenti e le condivisioni si possono creare ed alimentare attraverso i social. In questo modo, nonostante sia un momento di sofferenza del cinema, i film trovano il modo di sopravvivere con una vitalità forte.

Solo nella scena finale la musica finalmente esplode, in maniera catartica e liberatoria: si tratta di “No potho reposare”, una melodia tradizionale sarda densa, potente, che richiama la forza delle radici e delle origini, interpretata e arrangiata dal trombettista Paolo Fresu.



“Nelle sequenze precedenti – spiega il regista – non vi era nessuna musica, perché non vi era bisogno di aggiungere altri elementi di emotività rispetto a quelli messi in campo dagli attori”.