Il libro Storia di un (quasi) amore in quarantena di Davide Gambardella, edito da Graus, può sembrare banale come sono divenute banali e piatte le giornate durante la lunga fase del lockdown.
Tutte uguali a se stesse, sospese sul baratro della noia, tese tra ansia e disperazione, uno spettro che ora si riaffaccia.
Una banalità che ci fa rabbia ed invidia insieme: perché tutto nasce da una violazione delle trincee, dei confini, delle limitazioni, tra due anime e due corpi che hanno voglia di evadere e di esplorare l'altro e quel che resta di una quotidianità depauperata e ne trovano il coraggio.
Ma è anche un libro che, a tratti, sa stupire. Perché ci riporta pezzi del nostro vissuto che già si trovano ad intersecare la grande storia e che, nella circolarità dei corsi e ricorsi storici, già ci stiamo ritrovando a rivivere.
Le attività commerciali chiuse, o in forte sofferenza, la normalità alterata, le canzoni ai balconi quale strumento di contatto, la socialità rubata che assume toni e forme grotteschi, il futuro incerto, inghiottito da una nube tossica nera e densa che stringe alla gola.
Il divario stridente tra chi è tutelato e chi no. Tra chi è, giocoforza, appiattito sul presente, in corsa per la sopravvivenza e chi può guardare al futuro con maggior speranza.
Davide Gambardella mostra tutta la sua passione di cronista d'inchiesta e di strada. A un gergo banale o che non risparmia volgarità lessicali che ricordano un po' il primo Fabio Volo, alterna un accostamento inusitato e ricercato delle parole, capace di attirare il lettore.
Per il finale ci si ritrova nella stessa contraddizione che ha attraversato tutta la narrazione. Banale o spiazzante? Non vi resta che leggerlo allora!