martedì 8 dicembre 2020

Il tatto delle cose sporche: la poesia e la delicatezza insite in una "feroce" carnalità

 Coelho ci dice che quando si fa l'amore con chi è frammento della nostra anima si è costantemente immersi in un dialogo amoroso con suo corpo. 

Andrea Gruccia riprende e rinforza il concetto dicendo che è come fare l'amore con lei attraverso qualunque cosa... Anche attraverso un delicato gelsomino o un profumo, rendendola gravida attraverso parole e pensieri pieni di desiderio. 
 

 
 
Quello che Andrea Gruccia delinea ne Il tatto delle cose sporche, edito da Milena Edizioni, è un gioco di specchi. Tutti i protagonisti si specchiano negli altri e dal fondo delle loro anime emerge, per risonanza, il medesimo tumulto, gli stessi dubbi o, al contrario, un bacino valoriale che resiste e sfida la ferocia della quotidianità. O, ancora, una lama tagliente di oscurità che, come una falena, è inesorabilmente attirata dalla luce.
 
Tutto si svolge in una Torino calda e decadente, che a tratti sa mostrare il suo volto accogliente ed a tratti indica come le nuove tendenze figlie della parte oscura della globalizzazione fagocitino le tracce di ciò che è tradizione e antichità.
 
In questo intrico di dolenti vicende umane, di disperazioni, di bisogni e nervi scoperti che si intrecciano in maniera ansimante ed a tratti compulsiva, si rincorrono, attraverso lo spazio e il tempo, tre identità. Intorno a loro, che trovano il loro trait d'union e strumento di dialogo nel sesso, nel contatto ossessivo dei corpi, eternato attraverso alcune fotografie, si muove un microcosmo di personaggi, pulsanti di feroce umanità e fragilità. 
 

 
 
Andrea Gruccia usa un lessico ricercato, dove nulla è lasciato al caso. Parole che traducono attimi di vitalità sfrenata dove si mescolano umori, odori e sapori. Dove, quasi inaspettatamente, dato che si ha il coraggio di toccare con mano anche ciò che è considerato proibito, la poesia trova spazio e una dimensione saldamente disvelatrice.
 
Il finale resta aperto, parafrasando un anelito di poesia preso  in prestito da Leonard Cohen, come una ferita o una crepa da cui far entrare la luce che possa rischiarare l'oscurità. Punto non di fine, ma di ripartenza per un nuovo viaggio, che si muoverà a metà tra il reale e il surreale.