giovedì 16 marzo 2023

Artemisia: al Teatro Tram un secondo fine settimana dedicato alla grande pittrice

 


Lo spettacolo Artemisia andrà in scena al teatro Tram anche questo fine settimana lungo, a partire da stasera, giovedì 16 marzo e fino a domenica 19 marzo. Sulla scena Titti Nuzzolese e Antonio D'Avino con la regia di Mirko Di Martino.

Titti Nuzzolese e Antonio D'Avino danno vita a personaggi intensi, sofferti, vividi, fragili, tormentati e carismatici, che costituiscono il canto e il controcanto l'uno dell'altra.


Per Artemisia non c'ė tenerezza né  riscatto possibile da parte dell'altro da sé. Lei può trovare la forza solo in sé stessa e nella sua sofferta indipendenza.



Infatti, la rappresentazione teatrale propone una riflessione sulla vita di una grande pittrice che non riuscì mai a essere riconosciuta fino in fondo,  secondo le parole del regista, anche come un' artista a tutto tondo. Scontò il fio di vivere in una società dominata dagli uomini e le sue opere ebbero sempre come  principali committenti e destinatari gli stessi uomini. Esponenti di una società maschilista e patriarcale che la giudicò e la manipolò per tutta la vita. Una manipolazione cominciata con il padre Orazio che la considerò sempre alla stregua di una merce di scambio di sua proprietà e ne sminuì il valore, benché il suo talento fosse indiscutibile.


" Artemisia - sottolinea il regista Di Martino - non riuscì a instaurare una nuova temperie artistica al femminile, a cambiare il corso delle cose. Rimase un'eccezione e in quanto tale eccezionale, un fenomeno".


Lei seppe, nonostante i demoni interiori che la tormentavano, trovare una strada di possibile dialogo con questa società, manipolarla a sua volta e affermare il proprio concetto di pittura, la propria  interpretazione di alcune storie chiave delle scritture bibliche.


"Quindi erose lentamente - continua il regista -  questa società dall'interno, non  riuscendo ovviamente a scardinarne i principi fondatori".


I personaggi maschili che la affiancano nello spettacolo, secondo quanto chiarisce il regista, sono frutto della sua stessa proiezione interiore.


La pièce nasce da un lungo lavoro di analisi degli atti del processo, dalla ricerca di articoli e di scritti correlati, che non è stato facile rintracciare.


Capacità analitica, concretizzatasi in un certosino processo di ricerca documentale, e intensità interpretativa, frutto di un lacerante percorso di scavo interiore, si fondono a creare un risultato che indigna, intenerisce, commuove... che non lascia indifferenti e tocca varie corde dell'anima.


" Su alcuni lunghi anni della vita di Artemisia - evidenzia De Martino - è praticamente caduto il silenzio: non si sa nemmeno la data della sua morte, ma solo che avvenne a Napoli".


Sul palco troviamo la pittrice ormai anziana, dilaniata dai suoi incubi, che si alimentano dei ricordi del processo.
Alla fine, lei capisce che è lei e solo lei a poter valutare la sua arte e a decidere della sua stessa vita e di chi vuole essere.


Ma questa consapevolezza profonda, questa piena affermazione di sé, arriva troppo tardi, sul finire  della sua vita.


Infatti la sua ultima opera, la tela bianca cui accenna, non verrà mai dipinta e probabilmente sarebbe stata la sua opera più grandiosa, frutto della sua piena maturità umana e artistica.


Il regista evidenzia come abbia voluto affiancare alla lettura tradizionale delle storie bibliche - che sono dominate dall'elemento maschile, da un Dio che usa la donna come un suo strumento, come un oggetto  - l'interpretazione elaborata da Artemisia che invece vede la donna come una protagonista consapevole di una scelta e di una missione.


Una donna che cerca consapevolmente la solidarietà e l'aiuto delle altre donne, come nel caso della sua versione di Giuditta e Oloferne, in cui l'eroina viene aiutata dalla serva che, invece, nella versione classica rimane al di fuori della tenda.


Una solidarietà femminile che probabilmente la pittrice non sperimentò mai nella sua realtà e nella sua quotidianità. Anzi fu giudicata e condannata  dalle stesse donne, a partire dalla sua balia Tuzia che fu una delle sue maggiori accusatrici e detrattrici nell'ambito del processo.

La Nuzzolese instaura  un'ideale continuità con altri personaggi, come per esempio Frida Kahlo, attraverso lo spazio e il tempo.


"Si tratta di donne - evidenzia il regista - il cui spessore artistico è  stato offuscato dalla loro vicenda umana".

Un'identità  femminile che indica per i loro interlocutori maschili,  una diminutio di valore, dove la figura muliebre viene declassata a donnicciola e la sua arte a una "cosa da donne". 

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