Dopo la passeggiata al Pio Monte di Misericordia alla scoperta della bellezza materica e giocata sull'incastro tra luci ed ombre tipica della pittura di Caravaggio, ecco una un tuffo nella vita e nell'arte di Michelangelo Merisi fatto attraverso una chiacchierata con Luigi Auriemma, esperto d'arte e artista.
Quando ho chiesto a Luigi come mai un genio come Caravaggio fosse stato così autodistruttivo da morire per quella che tutto sommato er una bravata (un rapporto con un Cavaliere di Malta), mi ha risposto che il suo genio è imprenscindibile dalla sua sregolatezza, dalla sua vita portata sempre oltre il limite, oltre il confine.
Perchè solo una mente così, riottosa a qualsiasi regola ed imposizione, sempre pronta alla sfida, poteva avere le "carte in regola" per pensare in maniera davvero alternativa rispetto alla corrente di pensiero dominante, capace di concepire uno stile ed un'arte in grado di nascere da una radice opposta rispetto all'asse notrmativo dell'epoca, capace di procedere in maniera antioraria.
A questo punto, l'impossibile diventa possibile, grazie ad un artista, Luigi Auriemma, legato alchemicamente all'arte di Caravaggio e profondamente "stregato" dalla sua personalità.
Una personalità ed un'arte che Luigi Auriemma ha studiato ed approfondito progressivamente, in maniera diacronica, fino a giungere ad interpretazioni alternative ed "eccentriche", cioè non convenzionali, rispetto a quelle correnti dell'arte caravaggesca.
Interpretazioni e decodifiche che lo portano a vedere in Caravaggio una sorta di precursore del cubismo, per la sua capacità di scomporre il corpo unamo, ed un pittore concettuale, capace di svelare tutto l'universo di idee che sta dietro la parte più esterna del dipinto, quella pellicola di colori che costituisce la pelle del quadro, dietro la quale ci sono i "muscoli, i tendini e le ossa", cioè tutto un universo di senso e significato.
Ed ora via libera alla nostra "intervista impossibile".
Grande artista ed uomo
tormentato ed inquieto: come si sono esplicitate queste tensioni?
In ogni parte delle sue opere, nelle strutture, nelle
composizioni, nel chiaroscuro, nei colori, nella materia della pittura, nel
violento uso della luce rispetto alle tenebre: in ogni pelle delle sue opere.
Ogni pennellata di Caravaggio è “coscienziosa”, ogni pennellata
porta dentro di se il suo respiro, il ciclo della velocità che compie il sangue
nel proprio corpo: il colore è il suo sangue; l’energia della sua pennellata è
la sua febbre, il suo tormento.
Oggi la nostra è una
società conflittuale: piatta e priva di curiosità e sogni da una parte,
irrequieta dall'altra, dissonante. Oggi cosa dipingerebbe ed in chi si
riconoscerebbe Caravaggio?
Oggi Caravaggio sicuramente non dipingerebbe ma farebbe arte con
la stessa forza, intensità creativa e lucidità temporale, vivendo a pieno
questo tempo in tutte le sue problematiche, positive e negative.
Ogni artista
che ha una profonda coscienza di vivere il proprio tempo, consapevole di essere
una parte (anche se minima) del grande ingranaggio che è l’universo, partecipa
alle sue armonie. Caravaggio forse oggi sarebbe un artista multimediale,
userebbe più tecniche per realizzare le proprie opere; intellettualmente
sarebbe vicino ai più deboli e a i problemi più seri che compromettono il
nostro pianeta, forse un ecosostenitore: un ecologista. Sarebbe un innovatore,
un genio. Come in un film della metà degli anni ’80, molto interessante, la
vita di Caravaggio è messa a confronto con la società contemporanea
(“CARAVAGGIO” – regia di Derek Jarman -1986).
Caravaggio fu posto in
opposizione con la pittura edulcorata ed idealizzata, celebrativa della potenza
clericale. In realtà il suo portare in primo piano gli umili e gli ultimi
proveniva da una profonda conoscenza delle scritture. Gli ultimi di cui parla
anche papa Francesco.
Perché questa dicotomia
tra visioni ecclesiastiche?
Le due diverse visioni nascono dall’esigenza da parte della Chiesa
come istituzione di sostenere un’immagine edulcorata della religione, positiva,
potente, invece Caravaggio realizza le sue opere traendo ispirazione
direttamente dalle Sacre Scritture.
Si rivolge direttamente alla parola di Dio
e non a quella degli uomini, anche se uomini di chiesa. Caravaggio conosceva
sicuramente le Sacre Scritture. È documentato che Simone Peterzano, maestro di
Caravaggio soleva dire all’allievo che per diventare un bravo pittore bisognava
conoscere profondamente “il colore e le Sacre Scritture”.
Portare in primo piano contadini con piedi sporchi, poveri con
vestiti laceri non rappresenta un senso di ribellione verso la Chiesa (al
committente che più volte ha rifiutato le opere commissionate) bensì l’adesione
fedele alle Sacre Scritture dove analfabeti, contadini e pastori sono testimoni
della parola di Dio.
Il genio per produrre
finisce per distruggere se stesso. Perché?
Il genio alla nascita porta già in se una forza naturale produttrice e che nel prodursi va verso la
distruzione di se stesso. Il genio trasforma attraverso la sua produzione la
distruzione dell’effimero a favore della sua immortalità.
Ogni opera proietta sulla
tela frammenti di vita e di percorso umano ed emotivo. Quali i moti dell'animo
di Caravaggio che si ritrovano sulla tela, nel colore e nelle nuove prospettive
utilizzate?
Con Caravaggio si ha un profondo cambiamento nella concezione
dell’arte. Caravaggio comincia a non rappresentare
ma a presentare, introduce un verbo
molto caro a quasi tutte le avanguardie storiche e all’arte contemporanea.
Caravaggio inserisce nelle proprie opere il tempo, non quello
sequenziale come nei grandi “racconti”, contro la stasi dell’arte precedente
dove ogni gesto era fermo, bloccato. Inserisce la velocità, il tempo attuale
l’attimo, l’istante (come nella “Cena in Emmaus” dove il cesto di frutta
dipinto è bloccato un attimo prima di cadere dal tavolo) .
Inserisce la
concitazione del momento, i gesti: la velocità di essi. I personaggi di
Caravaggio non comunicano con la voce ma con i gesti: sostituisce il linguaggio
verbale con i linguaggio dei segni. La sofferenza, le urla, il dolore dei
personaggi presenti nelle opere sono trasformate in gesti (come in un film
muto).
Noi fruitori udiamo tutto ciò non attraverso l’orecchio ma attraverso la
vista. Nella tela delle “Sette opere di Misericordia” Caravaggio ci mette di
fronte ad un orecchio che sbuca dalle tenebre che probabilmente non appartiene
a nessun personaggio ( almeno visibile) ma sta lì ad ascoltare il clamore, il
chiasso, il rumore di quella scena e noi fruitori proprio attraverso la visione
di quell’orecchio, trasformato in un megafono possiamo ascoltare i suoni di
quella scena. È un quadro che parla, che sente, di cui noi possiamo attraverso
il senso della vista ascoltarne le voci.
Caravaggio è presente in varie sue opere, sempre nelle “Sette
opere di Misericordia” è fra gli astanti; è testimone di quello che sta
accadendo, non rappresenta da
spettatore ma presenta da testimone,
come se quella scena si fosse svolta lì per la prima volta, in quel momento
attuale, in quell’istante.
Tema molto amato da molti artisti contemporanei.
Le scene si appiattiscono, la profondità prospettica viene
assorbita dal nero delle tenebre, viene portato quanto più possibile in primo
piano: lo sfondo diventa fondo. La scena squarciata da questi improvvisi lampi
di luce che più che costruire le figure le lacera, le smembra, le disseziona
come il bisturi di un chirurgo, così come nelle avanguardie storiche del primo
novecento Apollinaire dirà dei pittori cubisti e in particolar modo di Picasso
“studia un oggetto come un chirurgo disseziona un cadavere” [1] .
Anche in letteratura, specialmente nella poesia futurista russa dove nel testo
“Parola come tale” poeti come Kruchenykh e Chlebnikow spiegano che “i pittori
budetljàne amano utilizzare parti del corpo, sezioni, mentre i budetljàne
creatori di parole amano servirsi di parole squartate, di mezze parole e delle
loro bizzarrie e astute combinazioni”[2].
Allo stesso modo l’unica
natura a cui si riferiscono i cubisti è quella “morta”, proprio come quella che
predilige Caravaggio rendendola soggetto autonomo e ponendola in primo piano
con la stessa dignità degli altri suoi personaggi.
Caravaggio il
contestatore, che si faceva beffe dl potere costituito, che voleva uscire a
tutti i costi dalle regole e da una vita tranquilla. Cosa penserebbe della
nostra scena privata, incapace di vivere davvero emozioni e sentimenti, e della
nostra scena pubblica, fatta di beghe, di veleni e colpi bassi (riassunti da
Battiato nella sua frase al centro di polemiche?)
Caravaggio si butterebbe nella mischia e
risponderebbe con un sorriso beffardo.
[2] “Parole come tale” in G.Kraiski – Le poetiche russe del novecento – 1968 –Bari - Laterza
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