sabato 23 dicembre 2017

La ragazza della fontana: crescere per diventare se stessi

Un paese di provincia "malridotto", un campo da calcio, gli amici, un ciclo di vita che si chiude ed i sogni da "quasi" adulto che sembrano fare capolino.
E' questo lo sfondo su cui si muove la vita del protagonista del romanzo La ragazza della fontana di Antonio Benforte, edito da Scrittura & Scritture.

Il protagonista fa i conti, in quell'estate afosa della sua adolescenza, con la diversità: quella delle emozioni che, con veemenza, si avvicendano dentro se stessi, rendendo fragili ed insicuri, in questa delicata fase di transizione, ma anche desiderosi di proiettarsi nel futuro; quella di un corpo che si trasforma diventando "altro" rispetto a quello  cui si era abituati e la diversità di orizzonti cui si aspira, che irrompe con prepotenza nelle aspettative di chi è ancora nell'età giusta per sognare e per immaginarsi un futuro possibile tutto da costruire.
E poi c'è l'altro da sè, che un po' affascina, un po' fa paura, rappresentato dal signore con il cappello, chiamato, il Capitano, un po' strambo e sgangherato, che guida un'auto sgangherata che sembra fargli il verso, quasi fosse una sorta di suo alterego, e che, nel suo capello, sembra custodire gelosamente mille segreti.
Uno di questi misteri potrebbe rappresentare la soluzione del giallo che comincia con il ritrovamento, nei pressi della fontana del paesino, da parte del gruppo di amici di cui fa parte il protagonista, del corpo di una ragazza morta.
Un romanzo che Antonio definisce non autobiografico, bensì frutto del suo percorso e delle esperienze vissute, che hanno fatto maturare in lui consapevolezze importanti, tali da condurlo ad essere la persona che è adesso e da trasfondersi nella sua scrittura, rendendolo capace di inventare mondi.
Ora passiamo la parola all'autore, per farci addentrare nel mondo letterario, ma verosimile, da lui creato, che si dipana attraverso una scrittura appassionata, semplice ed immediata, che ha un solo scopo (non premeditato): quello di far incontrare due universi. Quello creato dallo scrittore e quello del lettore.




Mi racconti la gestazione de la ragazza della fontana?


La prima parte de La ragazza della fontana l'ho scritta nel 2010. Si trattata soltanto di un abbozzo, una specie di soggetto da sviluppare. A quei tempi lavoravo in una casa editrice indipendente, a Milano, passavo molto tempo a leggere, editare e correggere i libri degli altri e quindi la ragazza della fontana, che ai tempi aveva un altro titolo, non trovò uno sviluppo ulteriore. Ero come bloccato. Solo dopo l'esperienza in casa editrice, a partire dalla fine del del 2013, ci ho rimesso di nuovo mano. E così, da gennaio a maggio 2014 ho ultimato il progetto. L'ho fatto leggere ad amici e proposto a qualche editore, e alla fine Chantale ed Eliana l'hanno accolto nella loro splendida famiglia


Qual è il sottile filo rosso che lega le vite dei protagonisti?


Senza svelare troppo della trama, c'è un sottile filo che lega le vite del ragazzino protagonista del romanzo, del Capitano e di Rebecca, la ragazza della fontana. E' un sottile filo che significa scoperta dell'ignoto e accettazione del diverso, dell'altro. Il sottile filo rosso che lega le vite dei protagonisti è il desiderio di andare al di là delle apparenze. Questo desiderio metterà in moto tutte le vicende e le evoluzioni nei personaggi del romanzo. 



C'è un intreccio ed in alcuni punti una sovrapposizione tra esistenza letteraria e la tua biografia personale?


Se intendi chiedermi se questo romanzo è autobiografico, ti dico di no. Nulla di quello che ho scritto l'ho vissuto in prima persona, di sicuro però tutto quello che ho vissuto è servito a rendermi l'uomo che sono ora, e influenza la mia scrittura e le mie storie. 


C'è una particolare scelta stilistica e linguistica?


Non mi sono posto tante domande mentre scrivevo questo libro. La storia è venuta fuori da se e ho voluto soltanto farlo in modo semplice e diretto. Spero di esserci riuscito. 



Quale è il messaggio che vorresti arrivasse trasversalmente ai tuoi lettori?


Con La ragazza della fontana ho voluto raccontare una storia di emarginazione, di accettazione del diverso, di amicizia e di crescita personale, tra mille difficoltà. Sono tutti temi che affrontiamo nella vita di tutti i giorni, con i quali ci confrontiamo continuamente. Il messaggio che vorrei arrivasse leggendo questo libro è quello scritto egregiamente dalle editrici nella presentazione del libro: "Ci vuole coraggio a essere se stessi, ma solo allora si comincia a vivere davvero".

lunedì 4 dicembre 2017

Bambola di stracci: la forza ed il coraggio di essere se stessi

Quanto le relazioni possono salvarci o al contrario distruggerci?
Quanto l’amore, la voglia ed il bisogno di accettazione possono essere strumenti di riscatto o al contrario di “ricatto” emotivo ed esistenziale?

Quanto la forza nasconde ed incorpora la fragilità e, in maniera complementare, la più grande fragilità può rivelare un’anima d’acciaio insospettata che dimostra a se stessa di saper reagire alla sofferenza e “ricostruirsi”?

Quanto si ha davvero la possibilità e la libertà, all’interno dei vincoli imposti dall’agone sociale, di scegliere chi si vuole essere per diventare davvero se stessi?

Ad interrogarsi su queste dinamiche di valorizzazione o, in maniera diametralmete opposta, di svilimento di sé, è Pasquale Ferro nel suo Bambola di stracci edito dalla società cooperativa ilmondodisuk, e-magazine e casa editrice attiva in città dal 2008, anno della crisi emergenziale dei rifiuti.
Il progetto di crowdfunding SOS Partenope fa tappa alla Fondazione Banco di Napoli (palazzo Ricca, via Tribunali 213), mercoledì 6 dicembre 2017, alle 17.00, nella sala Marrama, per presentare l’ultima fatica letteraria di Pasquale Ferro.



LA STORIA
Barbara è bella tanto da fare innamorare tutti. Persino la natura. E, paradossalmente, ama un uomo che non accetta il suo modo di essere "donna". Barbara affronta il mondo, vaga per le città e per i quartieri alla ricerca della sua libertà di esprimersi al femminile. Anche quando tocca il fondo e diventa una barbona, sotto i portici del Real Teatro di San Carlo, combatte per la propria sopravvivenza e per suoi sogni. Qual è il suo più vivo desiderio? L'amore, perché, come ciascuno di noi, ha bisogno di questa parola, prescindendo da tutto e da tutte le lingue che la maltrattano, la usano, se ne approfittano. Barbara lotterà contro la sua famiglia. Lo farà in nome della sua stessa sopravvivenza. Con le uniche armi che possiede: bellezza, scaltrezza, forza. Raccontando un universo che potrà sembrare inverosimile, attraverso personaggi conosciuti nei suoi percorsi. Bambola di stracci, troverà finalmente la pace o il grande amore? Ma chi è veramente Barbara? La risposta è nelle pagine di questo romanzo breve di Pasquale Ferro dove la realtà si mescola alla fantasia.
“Cerco sempre di filtrare la realtà attraverso la fantasia – spiega l’autore - . Barbara , bambola di stracci, l’ho conosciuta davvero, 40 anni fa al San Carlo, durante la prima di  Tosca con Placido Domingo. Adesso è divenuta la protagonista carnale nel romanzo appena pubblicato che è anche denuncia di un falso perbenismo. L’obiettivo è rendere visibili le donne transessuali”.
Leggendo la storia di questa moderna bambola di stracci, figlia dell’attuale  “società liquida” e di un’identità sessuale liquida e cangiante non ho potuto non pensare alla storia di o’ Barone, barbone partenopeo chi le Fede’n’Marlen, Federica Ottombrino e Marilena Vitale, hanno dedicato la canzone O’ mele, quel miele che, in nome della condivisione  e del rispecchiamento reciproco, della comprensione delle reciproche fragilità e dei nervi scoperti, può curare le ferite dell’anima.
Perché, anche se ognuno deve trovare in sé la forza di rialzarsi e di riscoprire le radici della propria reale identità, a partire da quella di genere, a partire dalla quale costruire e ricostruire il senso della propria esistenza, nessuno si salva da solo.


LA PRESENTAZIONE ED IL CONNUBIO VIRTUOSO
Il saluto introduttivo è affidato a Paolo Di Lauro (Meridonare). Con l’autore interverranno: Paolo Valerio (Università di Napoli Federico II), Antonello Sannino (Arcigay Napoli) e Paola Silverii (Associazione VerginiSanità). Modera, Donatella Gallone. Letture a cura di Antonella Stefanucci.
Obiettivo di SOS Partenope: diffondere una nuova immagine di Napoli, smantellando i luoghi comuni, attraverso la traduzione e la stampa del “Dictionnaire amoureux de Naples” dello scrittore e editore
Jean-Noël Schifano. L’idea di collegare la presentazione del nuovo libro di Ferro al progetto di crowdfunding nasce da un’unica prospettiva: mostrare la vera e multiforme identità di Napoli, attraverso i suoi luoghi, la sua storia ma anche i suoi talenti.
E Pasquale Ferro è un talentuoso autore di teatro e di libri, impegnato in temi sociali di forte impatto, dall’usura all’omofobia, uno dei pochi autori napoletani tradotto in Russia. Già in corso la traduzione russa anche per “Bambola di stracci”, una storia ispirata da una vicenda vera, come tutti i testi scritti da Ferro, scrittore al di fuori di ogni regola.

L’AUTORE

Pasquale Ferro debutta nella scrittura con Gli odori dei miei ricordi (Atman edizioni 2000). Seguono, Genny Flowers (Suklibri 2002) Mercanti di anime e di usura (Ancora del Mediterraneo 2005), La luna esiste? (Luciano editore 2009), Una radura verde smeraldo (Istituto Italiano di cultura di Napoli 2010), Macedonia e Valentina, ‘O curaggio d’’e femmene (ilmondodisuk 2014). Tra i numerosi riconoscimenti, il premio Libero Bovio 2012 per I racconti di un cane camorrista, inedito in Italia e pubblicato in lingua russa nel 2013. Da alcuni titoli sono state tratte pièce di successo, messe in scena anche per le scuole.


LA MOSTRA

 “SOS Partenope. 100 artisti per il libro della città” è la mostra itinerante realizzata, in collaborazione con l’assessorato alla cultura del Comune di Napoli grazie alla donazione di circa 140 artisti italiani e stranieri per finanziare la traduzione e la pubblicazione del libro “Dictionnaire amoureux de Naples” di Jean-Noël Schifano lanciata dalla società cooperativa ilmondodisuk. Obiettivo: diffondere l’autentica immagine di Napoli in quasi 600 pagine. Terminata la prima parte della campagna di crowdfunding (con la raccolta di 10,540 euro sulla piattaforma Meridonare), che ha permesso di raggiungere il primo traguardo (acquisire i diritti di pubblicazione della casa editrice Plon e tradurlo), si dà vita ora alla seconda per impaginare, stampare e diffondere il volume che in italiano sarà “Dizionario appassionato di Napoli”.  Ora l’esposizione è proposta, in parte, nel suggestivo scenario dell’acquedotto augusteo del serino fino al febbraio 2018.
L’ASSOCIAZIONE VERGINISANITÀ
L’Associazione VerginiSanità nasce nel 2010 con l'intento di promuovere la realizzazione di progetti integrati finalizzati al recupero ed alla riqualificazione del contesto urbano dell'area del Borgo dei Vergini e della Sanità: tutela, valorizzazione e recupero del patrimonio ambientale ed architettonico quali strumenti per migliorare la vivibilità, la sicurezza e la crescita sociale. Nel 2014 ha preso in gestione i locali in via Arena Sanità, con l'obiettivo di promuovere e valorizzare il sito archeologico presente nei locali sottostanti, portato alla luce e all'attenzione della comunità scientifica.
Nell'ottobre 2015 è stata presentata alla stampa, in accordo con la competente soprintendenza archeologica, la scoperta e l'identificazione di un tratto dell’Acquedotto Augusteo del Serino, un'infrastruttura di epoca romana tra le più imponenti del mondo antico.
Due ponti-canale affiancati, riconducibili a quelli meglio conosciuti dei Ponti Rossi, sono stati rinvenuti nei locali sotterranei del Palazzo Peschici-Maresca, di proprietà dell'Arciconfraternita dei Pellegrini. Le prime ipotesi di studio hanno trovato le più ampie conferme, sia da fonti letterarie che da indagini dirette. La successione di pilastri e arcate in laterizi e tufo costituisce un’evidenza archeologica di eccezionale interesse per ubicazione, complessità e peculiarità costruttive, pur rappresentando quantitativamente meno di un millesimo del percorso totale dell'Acquedotto, che si sviluppa per circa 100 km, dalle sorgenti del Serino fino alla Piscina Mirabilis a Miseno.

https://www.meridonare.it/progetto/sos-partenope2




mercoledì 15 novembre 2017

Multitudo: l'arte parla il linguaggio della singolarità che sa farsi pluralità di bellezza ed azione

Inizia nel 2013 la gestazione della mostra MULTITUDO - 6SCULTURE-6 PITTURE, che affonda le radici e trae linfa vitale dall'ideazione della linea “Gioielli di Scultura” dell’orafo scultore Nino Borrelli.

L'esposizione artistica  allestita all’ ECO BISTROT di Salerno, si inaugura oggi, mercoledì 15 novembre alle ore 20:00 e le opere saranno esposte fino al 19 novembre.

Trait d'union tra la linea di gioielli ed il progetto espositivo l'idea che l'arte non sia solo esaltazione della bellezza e dell'armonia ma che possa portare all'attenzione della collettività anche una serie di temi sociali, facendosi foriera di cambiamenti di visioni e di rappresentazioni possibili.

Nella sua veste concettuale e sociale l'arte, dunque, si fa portatrice di nuove visioni, che coniughino razionalità ed emozione. Creatività e idea, gemellate all'insegna di nuove geometrie.

Così come, in sociologia, si contrappongono la teoria funzionalista, che tende a vedere come le parti "collaborino" al buon funzionamento del tutto, e quella del conflitto, che sottolinea come il contrasto tra parti che combattono su barricate opposte sia il vero motore della storia, allo stesso modo l'arte può assumere funzioni apparentemente opposte e altresì complementari. 

Quella che esalta la bellezza e l'armonia delle forme, un fondamentale inno allo status quo, e quella che, invece, fa entrare, anche "di prepotenza" nel campo visivo e della coscienza dello spettatore problemi mai visti o affrontati prima, disarmonie apparenti, colori e forme "diverse" prospettando cambiamenti e nuovi orizzonti possibili e, spesso, auspicabili, perchè parlano il linguaggio del dialogo e del confronto.



L’ispirazione dell'esposizione Multitudo, maturata all’interno di una riflessione sul senso e la funzione dell’arte condotta prima in M.A.P. , Movimento Artistico Psicostasia, e poi naturalmente condivisa dall’Associazione AbilmenteInsieme, secondo quanto ribadiscono gli organizzatori, assegna all'opera d’arte una funzione sociale nevralgica.

I presupposti latenti di tale movimento artistico risiedono in un'opposizione al processo di medicalizzazione e "spersonalizzazione" e nel tentativo di diffondere e valorizzare il principio espressamente socio-educativo, comunicativo e pubblico dell'arte.

La tematica portante risiede nel concetto di Moltitudine, sviluppato ed interpretato come l’abilità ad essere insieme, a formare comunità nel rispetto di ciascuna diversità.

L'arte, in tal senso,  non rappresenta più solo un semplice segno di maestria artistica ma diviene strumento imprescindibile e snodo di una narrazione, capace  di costruire, attraverso le immagini, un contesto culturale. 

Le 6 sculture,  La transumanza; la colonia, La simbiosi;  La riproduzione vegetativa; Ogni riccio è un capriccio; La fonte di vita, alludono alla possibilità di creare uno spazio fisico e simbolico-relazionale in cui soggetti differenti, ma ugualmente legittimati ad esistere e valorizzati, in un'operazione di reciproco rispecchiamento e riconoscimento, possano interagire in maniera "virtuosa" e costruttiva.

Spazi in cui ognuno sia vissuto nella sua duplice natura di singolare e plurale insieme. Plurale perchè appartenente alla medesima genia e differente perchè dotato di proprie caratteristiche identitarie specifiche e distintive.

Una differenza recuperata nel suo valore autentico ed originario di segno distintivo e non come origine di una diminutio di valore e di una posizione sociale di subalternità

"Le sculture e le pitture di MULTITUDO - sottolinea Simonetta Nunziata, presidente dell'associazione AbilmenteInsieme -  raccontano di ambienti surreali ed accoglienti, adatti al divenire comunità di una pluralità di singolarità. I singoli rivelano similitudine nella forma apparente,  ma diversità nel loro agire e narrano della possibilità di convivere, di stare al mondo con l’altro".

L'arte ha una funzione educativa, per sua natura intrinseca, secondo quanto sottolineano gli organizzatori. 

E’ in base a questo principio che l’associazione AbilmenteInsieme, con il progetto OFFICINA GHETTO, promuove I Laboratori di Saperi: percorsi relazionali di apprendimento, ove sviluppare le rispettive capacità espressive e creative e liberare, scoprendolo e riscoprendolo, il proprio potenziale inespresso. Luoghi d’incontro profondo fra sensazioni, emozioni, bisogni e desideri.

Secondo quanto evidenzia la presidente dell'associazione sono le singolarità a formare le comunità, percependo ognuna la realtà in un singolare ma non isolato processo evolutivo, facendone poi idealmente bene comune solo dopo averne assimilato e creativamente reinterpretato i saperi a noi già tramandati. 

Gli ambienti realizzati in carta pesta delle sei sculture e delle rispettive tavole pittoriche d'ispirazione reciproca, vedono interagire, nei rispettivi ambienti fisici e sociali, nei contesti di vita dove si svolge la loro quotidianità, popolazioni prodotte in bronzo fuso, gruppi composti da esseri appartenenti evidentemente ad una medesima specie, ma che nei caratteri individuali presentano la loro singolarità e specificità identitaria.

Come accade nel naturale ed ineluttabile manifestarsi della vita, caratterizzata da vari eventi imprevisti ed imprevedibili e da tante forme diverse e diversificate di esistenza, anche in un'officina artigiana  le fasi della lavorazione pur creando"prodotti multipli", più copie ispirate ad un medesimo soggetto figurativo, non producono oggetti in serie,

Questo sembrerebbe consentire di svincolarsi  dallo standard seriale trasformando, secondo le parole di Simonetta, le casualità dei passaggi e le piccole differenze tra i diversi soggetti non in "difetti di produzione", bensì in elementi di pregio, che raccontano di un percorso di creazione artistica e di vita peculiare, caratterizzato da sfide, difficoltà incontrate e vittorie conseguite. 

Nello Statuto dell'associazione AbilmenteInsieme si legge "AbilmenteInsieme riconosce il senso della Bellezza nell'espressione della potenzialità ed attività umana nella vita con le sue diversità, compiuta in stretta ed armonica relazione e coscienza con l’unità del Mondo nel fondamentale principio d’inclusione; [… ]; nella costruzione di una cultura della solidarietà e dell’inclusione".

E questa mostra sa farsi strumento "vivo e vivido" di integrazione fattuale e concreta. 


L’uso dei materiali per le sculture (carta pesta- bronzo) valorizza la preziosità intrinseca degli “esseri” che simbolicamente sono rappresentati da Gioielli di Scultura (la linea); gli ambienti, plasmati con sapiente genialità in carta pesta e metallo, dipinti nelle suggestioni cromatiche a tecnica mista, evocano la composizione di una diversità  che forma la possibilità di stare insieme, figlia di un'abilità educata al dialogo ed allo scambio di opinioni e modi di essere.

Le singolarità nel loro "divenire" comunità, con abilità, saggezza e sapienza sanno co-costruire bellezza.

"Una bellezza .- evidenzia Nunziata - che non è associata a qualità propriamente fisiche di proporzione, attribuibili ad un corpo invece che ad un altro. Essa è uno stato dell’essere, la cui armonia è data dall'azione espressa in proporzione con la natura, innanzi tutto la propria".

Simonetta Nunziata, a questo proposito, cita una frase "la bellezza non si specchia". Non è quindi frutto di canoni univoci e standardizzati cui uniformarsi. Essa è immanente alla vita stessa. Alla possibilità di esistere essendo riconosciuti come soggetti dotati di senso e legittimati ad agire.

A farle eco lo scultore Nino Borrelli, in arte NiBo, le cui opere sono protagoniste di questa esposizione dalle profonde risonanze emotive e sociali.


"Oggi l'arte ritorna a essere astratta nella misura in cui, se la creatività ha ancora un suo spazio potenzialmente interpretativo, lo è in quanto svincolata da quei riferimenti prefigurati garanti dell'agire e del comunicare. Il valore che ne può derivare è nella capacità di promuovere altri linguaggi e altri nessi […].  L'arte è diversità perché non è statica".

La mostra affiancherà la raccolta fondi SEGNI DIVERSI, volta a finanziare i Laboratori di Saperi dell’Associazione e tutte le altre attività . Incontri per informare ed esortare all'applicazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ed il relativo protocollo opzionale) ed il Movimento per la Vita Indipendente.



Visite in luoghi d’arte, pensate appuntando espressamente l’attenzione sulle possibilità di partecipazione di quanti possano trovare difficoltà legate a barriere architettoniche e mentali, nonchè emotive. Organizzazione d’incontri aggregativi e di confronto.






martedì 13 giugno 2017

L'Arte che cura: per ricondurre ogni essere umano verso se stesso

Dal 1948 in poi L'Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha sottolineato come per salute non si intenda la mera assenza di malattia. bensì uno stato di equilibrio psico-fisico ed emotivo promosso dall'ambiente e dal contesto sociale di appartenenza.Per promuovere uno stato di maggiore benessere, e dunque di salute a 360 gradi, l’Accademia Imago, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e con il Patrocinio del Sindaco di Napoli e dell’Ordine degli Psicologi della Campania, organizza e promuove l'evento “I linguaggi della creatività tra arte, scienza e formazione”, che si terrà dal 15 al 25 Giugno 2017 presso il Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore di Napoli.




Un modo per scoprire e riscoprire le virtù trasformative e terapeutiche dell'arte, tanto a livello individuale che collettivo, e per far emergere l'artista che si cela in ogni individuo, "occultato" spesso dalla routine quotidiana.Già la location promette di far bene allo spirito e parla di arte e di bellezza: si tratta infatti del Complesso di San Domenico Maggiore di Napoli.

Il termine artista trae il suo significato etimologico dal latino artifex, che significa artefice ma anche colui che è in grado di esercitare un'attività con maestria e perizia.

Un essere umano, che, secondo una lettura a 360 gradi, può essere artefice del suo futuro e plasmare la sua vita in base ai suoi obiettivi, al proprio mondo interiore ed al proprio percorso esistenziale, in continuo dialogo e confronto con il contesto di riferimento.

Per consultare il libretto del programma in versione sfogliabile cliccate qui

Per prenotare la partecipazione ai laboratori cliccate qui



Conosciamo più da vicino quest'interessante iniziativa parlandone con il direttore artistico, Gina Affinito.

D. Qual è il nucleo fondante della rassegna?

 R. "L'Arte che Cura" intende porsi come punto di riferimento napoletano per un movimento scientifico e artistico su scala nazionale che si occupi a tempo pieno dello sviluppo di questo settore, e che coinvolga scienziati, umanisti, artisti, operatori del sociale e chiunque abbia fruito o intenda fruire dell'arte come di un'esperienza profondamente evolutiva. 
​La rassegna si svilupperà in due momenti principali: il primo momento è quello
 di
​ una 
articolata 
​ 
"​
riflessione
​"​
 teorica sulle potenzialità terapeutiche dell'arte, 
​​
​il Convegno che aprirà la Vernice (15 giugno ore 9.30 - 13.30) per poi dare il via ad una serie di attività e di laboratori (tutti gratuiti, con prenotazione​) per cercare di dare forma pratica e "contattare" quelle potenzialità creative in ciascuno di noi.
D. L'arte che cura: in che modo l'arte si intreccia e può intrecciarsi al processo della salutogenesi?

R. I linguaggi creativi (teatro, musica, danza, pittura ecc.), attraverso il complesso repertorio di codici e simboli di cui si avvalgono, danno una forma precipua ad un materiale ribollente, fatto di storie, sogni, motivazioni, progetti (con tutto il corredo di emozioni ad esso associato) e rendono possibile elaborarlo, comunicarlo, condividerlo, rinarrarlo. 
D. Qual è il pubblico cui l'iniziativa si rivolge in maniera preponderante?

R. Il
 pubblico di riferimento è eterogeneo e trasversale, il progetto è rivolto al bambino come  all'anziano; gran parte dei laboratori, infatti, sono aperti ai bambini e ce ne sono di specifici per il settore infanzia.

D. Perchè?

R. P
​erchè c'era bisogno, a Napoli come su scala nazionale, di un ​gruppo di lavoro perchè 
con un adeguato 
​supporto
 psicologico, si possono curare patologie, trasformare contesti difficili, e, più in generale, far crescere l'individuo. Ma
​ ​
si ​vuole anche sottolineare come l'arte, affinché possa determinare realmente un processo di cura e di trasformazione, debba essere associata a un sapere scientifico affidabile e condiviso, frutto di studi e ricerche adeguate, con cui formare adeguatamente gli operatori del futuro. 
E poi, siamo in una città fucina di arti ed artisti ...

D. Perchè avete scelto proprio lo strumento dei laboratori per proporre questo tema?

R. ​Perchè 
grazie
​ ​
ai
​ 
laboratori esperienziali i partecipanti potranno concretamente fare un'esperienza in prima persona delle tecniche proposte.

D. Ci racconti qualcosa del tuo laboratorio specifico?

R. ​Il mio laboratorio (24 giugno ore 15.00 - 18.30​)  indaga 
alla ricerca di quelle
​ ​
parti creative, inabissate in noi
​ ​
a causa delle tante sovrastrutture
​ ​
sociali, strutturali che si
​ ​
sono venute a creare nel corso
​ ​
dell’esistenza di ciascuno.
​ ​
Si tratta di lasciar emergere le
​ ​
capacità creative
​ di cui parlavo poc'anzi.​
​​
D. Come si congiunge con gli altri laboratori?

R. O
​gni laboratorio, seppur verta su contenuti, ricerche, arte e modalità differenti, ha un'unica finalità: il benessere psicofisico ​dell'individuo. 
Si può dire pertanto che noi conduttori siamo come tante piccole "api operaie" che lavorano per raggiungere un obiettivo  comune.



giovedì 8 giugno 2017

Alaska: un viaggio in una terra selvaggia alla ricerca di se stessi e della propria umanità

Raffaella Milandri: ossia una donna che incarna, nelle sue azioni, nei suoi racconti, nelle sue battaglie, il motto che "Crederci è potere" e che si può scegliere, a costo di coraggio, sacrifici e rinunce, il proprio modo di essere nel mondo.

Raffaella racconta il "suo modo di esserci" e quello di altri uomini liberi, che hanno avuto il coraggio di scegliere come "patria adottiva" un territorio inospitale, una terra selvaggia e lontana, per inseguire un sogno attraverso modalità di vita più dure ed estreme ma parimenti più "umane".

Raffaella racconta nel libro In Alaska. Il Paese degli Uomini Liberi di Raffaella Milandri, Edizioni, edito da Ponte Sisto (2017) la sua esperienza di viaggio, che oltre ad essere un viaggio nelle latitudini geografiche rappresenta un percorso esistenziale, di confronto con  le sue paure, con i timori e le convinzioni autolimitanti. Un percorso, dunque dentro e fuori se stessa,


Un viaggio ai confini del mondo non per affrontare lupi o orsi, bensì i propri demoni, seguendo le orme di Jack London. Un viaggio alla riscoperta dei propri istinti atavici, affievoliti, finanche anestetizzati, dalla società moderna. Una riscoperta, progressiva ed avvincente, della forza dei propri cinque sensi, sole "bussole" se si vuole sopravvivere in un territorio dove la ragione non ha la meglio nè terreno fertile.

Diecimila chilometri di viaggio in solitaria in Alaska... un viaggio in cui Raffaella - fotografa, scrittrice e attivista per i diritti umani- percorre  i sentieri dei cercatori d’oro, dei pionieri, e dei cacciatori di balene. Ai confini del mondo, l'autrice si imbatte, a sorpresa, in una natura umana forte e gentile, ma tocca con mano i risultati catastrofici del riscaldamento globale e delle crudeltà dell’Uomo Bianco. Il suo io si perde e riscopre la sua vera essenza oltre i limiti del Circolo Polare, dove il silenzio, tra i ghiacci, e la solitudine forzata, che costringe ad ascoltarsi, raggiunge le vette più alte. Ed allora... o si sfiora la pazzia o si raggiunge una più profonda consapevolezza di sè... 

"Sarà il capitano Roy, del popolo Inupiaq - si legge nella sinossi del libro -  ad aprirle le porte alle tradizioni antiche della sua gente, ma anche a rivelarle la dura realtà di un mondo senza scrupoli in lotta per il petrolio e per il denaro; un mondo dove l’orso polare-il gigante gentile dell’Artico- è tra le prime vittime di cambiamenti irreversibili".

In Alaska, che assurge praticamente e metaforicamente a “ultima Frontiera” si gioca la partita tra una vita comoda, moderna e consumistica ed un'incertezza costante che sa scavare dentro ma anche restituire emozioni vere, vivide e profonde e che ha il sapore della libertà da conquistare ogni giorno.

Per conoscere meglio Raffaella ed il suo impegno umano, dispiegato anche attraverso lo strumento della sua associazione, un impegno che va ben oltre l'ambito editoriale, di seguito potete leggere la sua intervista completa.

D. Di cosa si occupa la tua associazione?

R. Innanzitutto creare una associazione mi ha dato modo di avere "potere" di agire a livello sociale ed umanitario.Tante volte, come attivista per i diritti umani, ho stentato ad avere spazio sui media tranne che per i miei viaggi avventurosi e pericolosi.Lo scopo principale con cui ho fondato la Omnibus Omnes Onlus è innalzare il livello di coscienza sociale, attraverso eventi e campagne, ma anche aiuti concreti come quello per Arquata del Tronto, dove abbiamo già consegnato 61 borse di studio e adessoil 30 giugno consegneremo il primo bonus bebè di 2000 euro. La collaborazione con la Onu Italia Unric è un punto fisso importante, con la celebrazione di varie Giornate a ONU tra cui non poteva mancare il 9 agosto, la Giornata Onu dei Popoli Indigeni. Tra i progetti all'estero, ho curato una campagna per il Nepal dopo il terremoto e c'è in progetto una campagna per la salvaguardia della cultura dei Boscimani del Kalahari che spero di supportare presto con un mio nuovo viaggio.
D.  Come si lega al tuo lavoro di documentare la vita nel resto del mondo e al tuo impegno di attivista per i diritti umani?

R. La associazione segue i miei movimenti all'estero, come è successo in Nepal, e le mie amicizie tra i popoli indigeni. E' un modo per implementarequello che già facevo, anche se da agosto 2016 in poi ho stoppato i viaggi per dedicarmi al terremoto del Centro Italia che ha ancora tante emergenzeLa situazione umana è ancora catastrofica e molte persone soffrono duramente per essere state "deportate" lontano dai propri Paesi, peraltro completamente distrutti


D. Quali sono le tappe precedenti, in termini di viaggi di scoperta, che ti hanno condotto al tuo viaggio in Alaska?

R. Il viaggio in Alaska , e quindi il mio libro,  hanno un filo comune coi precedenti: la narrazione di un mio avventuroso viaggio in solitaria, la storia di un popolo indigeno da salvare,  e il racconto dell’ incredibile abisso che separa ormai l’uomo “globalizzato” dalla natura e dalla essenza stessa dell’essere umano. Oltre alla mia incredibile e preziosissima esperienza con gli Inuit, lassù alla fine del mondo, la vera scoperta del viaggio (anzi sono due i viaggi che ho fatto in Alaska, uno d'estate e uno d'inverno) è che la natura può essere ancora signora e padrona, e che è fondamentale che il nostro io ritrovi la forza straordinaria dell'uomo: i cinque sensi, l'istinto, la lotta per la sopravvivenza. E' stato un viaggio dove la solitudine e la libertà sono andate, struggentemente, a braccetto.

D. Quali sono i momenti che ti hanno più emozionato e che ritieni più significativi di questo viaggio?
R. Sicuramente i tesori che ho trovato sono gli animi di persone -bianche- indomite, coraggiose, che hanno scelto la libertà nella natura e hanno deciso di pagare il caro prezzo di rinunciare al bagaglio delle comodità, del denaro, della vita "mondana".Ho conosciuto persone che mi porto sempre nel cuore e che mi hanno insegnato tanto, mi hanno emozionato tanto. Senza i fronzoli della "società civile". Senza "tacchi a spillo". Poi, sono stata accolta lassù dai ghiacci dagli Inuit con una fiducia che non ha prezzo. Li rispetto e li proteggo, per quello che posso, nelle loro tradizioni superstiti, sopravvissute all'Uomo Bianco.
D. I punti di maggiore vicinanza tra le due culture (la tua e la loro)? E di lontananza?
R. Chiunque sia rimasto fedele a sè stesso nel rispetto del proprio modo di essere, chiunque conduca una vita semplice e non si faccia travolgere dagli "obbrobri" del nostro stile di vita -traffico, consumismo, falsità etc etc- è vicino agli Inuit e a tutti i popoli indigeni.


D. Com'è nato e come si è sviluppato il libro dove è confluito questo tuo viaggio così particolare?
R. Ogni mio libro, e questo è il quarto, nasce da un mio viaggio, e ne ho ancora tanti da scrivere. In realtà è stato l'editore, Ponte Sisto, che ha deciso quale libro io andassi a scrivere. Ha scelto l'Alaska, credo perchè oggi, attraverso le pagine di un libro, si abbia bisogno di sognare e di aspirare a  libertà, grandi emozioni, panorami infiniti, e sentimenti positivi. Una volta che l'editore ha descritto il suo progetto editoriale per "Alaska", per me è stato come tirare fuori un fiume di emozioni dal cilindro, che erano lì pronte, e vive, ad essere raccontate per ispirare i lettori.

  

giovedì 18 maggio 2017

Lunadigas: le donne e la loro scelta di non essere madri

L'appuntamento è per giovedì 18 maggio, alle 21, al cinema Hart, in via Crispi, 33 a Napoli, con la proiezione del film-documentario "Lunadigas, ovvero delle donne senza figli", per la regia di Marilisa Piga e Nicoletta Nesler.

Chi sono le Lunadigas?

Nella lingua sarda indicano gli animali,  pecore perlopiù ma anche cavalle o capre, che per una stagione, o per sempre, "decidono" di non riprodursi, pur essendo, in alcuni casi, fertili.
Secondo il blog "Sogni digitali" il termine lunadigas sembrerebbe rinviare alla parola lunatiche. Secondo il dizionario Treccani, lunatico è un aggettivo derivato da Luna, con l'antico originario significato d'indicare:
  • chi patisce di accessi di pazzia ricorrenti con le fasi lunari;
  • per estensione, anche chi è epilettico, visto che l'epilessia era chiamata male lunatico perché si credeva dovuta a influenza della Luna.
Oggi, più modernamente, lunatico si dice di chi ha carattere strano, estroso, incostante, umore instabile e facile ad alterarsi. 

Insomma una persona "strana", ed inaffidabile, delle cui decisioni si diffida e che non si ritengono particolarmente fondate.
Marilisa Pigas e Nicoletta Nesler hanno deciso di intraprendere un viaggio tra queste donne, per capirne le ragioni e dar loro voce, per indagare e ricostruire i volti di questo fenomeno, che parla il linguaggio di una scelta, spesso anche dolorosa, di una presa di consapevolezza profonda, della volontà di autodeterminazione, del "desiderio di riprodursi in un altro modo", esprimendo se stesse attraverso una strada altra, senza rinunciare, in molti casi, anche se non in tutti, scelta ugualmente legittima, ai compiti di accudimento, ma nella veste di zia amica, insegnante, educatrice e così via.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Marilisa Piga per saperne qualcosa in più di questo progetto documentaristico che parla la lingua del coraggio perchè sembrerebbe remare  "in barca a vela contromano", parafrasando il titolo di un film del 1997 per la regia di Stefano Reali. Cioè di affrontare un argomento "scomodo", andando in controtendenza.
D. Quali sono le radici dalle quali è germogliata l'idea di questo docufilm?
R. Il nostro intento era di scandagliare un aspetto dell'universo femminile. Abbiamo scelto da sempre di parlare di argomenti "poco frequentati", optando  per onestà intellettuale, di mettere al centro dei nostri progetti ciò che conosciamo meglio. In tal senso Lunadigas infrange, per una scelta  consapevole, una serie di "regole" cinematografiche e quelle caratterizzanti un iter di ricerca.
Il nostro viaggio, infatti, ha il sapore della ricerca, anche se non portiamo alla ribalta grandi numeri, come alcune ricerche che contano migliaia di casi. Ciononostante siamo riuscite a dare spazio ad una pluralità di voci, alternando testimonianze più ampie, riportate quasi integralmente, con spezzoni più brevi, quasi telegrafici. Abbiamo scelto le parti più significative, al fine di ricostruire un fenomeno. Potremmo dire che questa "fotografia" scattata equivale a una sorta di piccolo carotaggio. Ovviamente non potevamo esimerci dal seguire i tempi del linguaggio cinematografico, rispettandone l'andamento nella fase di montaggio. Ma di regole ne abbiamo infrante, ripeto con acuta consapevolezza, molte: da quella cinematografica che impone all'autore-regista di rimanere dietro la macchina da presa, a quella, più propria di un'indagine conoscitiva, di rimanere in un rapporto "oggettivo" e distaccato con l'oggetto di ricerca. Noi abbiamo scelto di far parte, in prima persona, delle voci indagate e narrate.

D. Voi, dunque, vi siete messe in gioco in prima persona. Protagoniste tra le protagoniste. In che modo?
R. Il documentario non è una sequenza ininterrotta di testimonianze di donne, un gruppo variegato per età e provenienza geografica. Abbiamo deciso, consapevolmente di interrompere le testimonianze, in alcuni snodi, per dare il nostro contributo in prima persona. Per tutte si tratta di un viaggio in un tema molto intimo, dove spesso, si ha il coraggio di scendere nel dettaglio.
D. Spesso siamo abituate ad assistere a film, documentari e campagne mediatiche che ci raccontano le difficoltà di diventare madri e volerlo essere ad ogni costo e nonostante tutto. Questo lungometraggio ribalta la visione. Chi sono le donne di cui parla?
R. Sono donne che hanno scelto di non diventare madri. Donne famose o anonime, giovanissime, giovani e meno giovani. Testimoni di epoche e luoghi, memorie storiche o semplici testimoni della loro propria esistenza. Donne che abbiamo incontrato quasi casualmente sul nostro percorso, donne che già conoscevamo ed abbiamo contattato. Donne che, venendo a conoscenza dell'iniziativa attraverso una sorta di passaparola, ci hanno contattato per "esserci" e raccontarsi. Dalla politologa Lidia Menapace all'attrice Veronica Pivetti, passando per la scienziata e astrofisica Margherita Hack. Il progetto è molto più vasto di quello che è confluito nel film vero e proprio che verrà proiettato all'Hart e lo testimonia il web-documentario. Ma ci riproponiamo di aggiungere nuove tappe a questo viaggio, coinvolgendo, ad esempio, donne di altre culture e dando spazio al controcanto degli uomini. In ogni caso si tratta di donne che, ieri come oggi, hanno avuto il coraggio di affrontare un tabù (che oggi forse è o dovrebbe essere meno forte di ieri): di essere una donna che è qualcosa d'altro rispetto ad una madre e che rifiuta pubblicamente questa condizione, una scelta che può lasciare sconcertati. Sono donne che hanno scelto di non avere figli,una scelta frutto di un percorso anche doloroso, e di realizzarsi, di esprimere se stesse in un altro modo o di dar vita a un altro tipo di "maternità". Noi abbiamo scelto di dar voce a tutti: a persone giovanissime, adolescenti di 13-14 anni anni, che naturalmente non hanno ancora fatto una scelta definitiva ma le cui opinioni in merito risultano molto interessanti, a donne giovani, giovanissime o in una fase avanzata della vita. Oltre alle donne che hanno scelto di non essere madri vi è anche la voce di donne, come un gruppo di giovani 24enni che stanno studiando per diventare ostetriche, che sostengono che una donna che non sia madre non è completa.

D. Il leitmotiv che fa da sottofondo al documentario, un leitmotiv canticchiato, dice "Scegliamo di essere come siamo, scegliamo la libertà". E poi c'è il Fertility Day... Cosa ne pensi?
R. Mi pare un grosso passo indietro, per molti versi inquietante e pericoloso. Una violazione del dovere/diritto di non ingerenza sul corpo delle donne, davvero pesante. Ognuno può decidere chi essere e cosa fare della propria vita. Una donna che decide di non essere madre, dunque, secondo l'ottica che è alla base del Fertility day, è improduttiva... Non credo... vuol dire che ha scelto di essere produttiva in un altro modo. E' un'ottica anche pericolosa, perchè conferma e riconferma che il ruolo della donna, o quantomeno quello dominante, è quello riproduttivo. Attenzione non si dice alle donne: "Studiate, laureatevi... andate all'estero, siate competitive... che ne so... più dei Cinesi....Si dice loro siate mogli e fate figli". Un'ottica passatista che si riflette anche nelle polemiche e nelle alterne vicende della legge sull'aborto. Al contrario ci sono donne anche in Italia che hanno scelto di orientare diversamente la loro vita, arrivando ad optare per una scelta definitiva e senza ritorno come quella della sterilizzazione. Semplicemente perchè hanno deciso che il loro percorso fosse un altro. Una scelta fatta con consapevolezza. Ovviamente hanno scelto di non esporsi... Già dichiarare di non voler avere figli, senza specificare il come... le espone alle critiche di madri ed amiche con frasi del tipo "Se perdi questo treno... Se fai questa scelta poi te ne pentirai".

La realizzazione del film è stata resa possibile dai contributi della Regione Sardegna (Assessorato della Pubblica istruzione, Beni culturali, informazione Spettacolo e Sport), della Fondazione di Sardegna, dell’IDM Alto Adige e della Roma Lazio Film Commission. Un viaggio in bilico tra percorsi esistenziali incrociati e la storia di varie terre, che oltre a dare voce alle donne, la dà anche ai luoghi, ai paesaggi, alle tradizioni culturali.

Per visionare il trailer è possibile cliccare qui