mercoledì 14 febbraio 2018

Storie di Francesca Di Martino: nella sua personale dimensione pubblica e privata di persone illustri


Da venerdì 23 febbraio all’11 marzo l’appuntamento sarà all’AMStudio Art Gallery in via Massimo Stanzione, 10 (Napoli) con la mostra Storie, personale di Francesca Di Martino.
 Quali storie racconta Francesca Di Martino, attraverso i tratti tracciati sapientemente sulla tela?
Quelle dell’esistenza di personaggi noti, addirittura illustri, che hanno popolato e popolano l’immaginario delle persone comuni. Ma lo fa lasciando intravedere, oltre lo spazio del volto “pubblico”, mostrato sul palcoscenico, anche la dimensione più privata, celata dietro le quinte. Un trait-d’union, che sembrerebbe riuscire a creare un legame saldo tra le storie degli uomini illustri e quelle degli uomini non illustri di pontiggiana memoria,In questo modo la tela diviene spazio fisico dove si condensa il racconto, attraverso il ritratto. Lo spazio che ospiterà l’esposizione è diretto da Antonio Minervini, mentre la mostra è a cura di Francesca Panico.


“Quando scelgo di rappresentare – spiega l’artista -  attraverso la mediazione della pittura, il volto di un personaggio pubblico, devo necessariamente confrontarmi con quello che è il bagaglio delle relative immagini esistenti accessibili e per propria natura “pubbliche”. Il privato, in quanto tale e per fortuna, resta nella sfera del supposto, del pesunto tale, dell’idefinito che serba in se il suo fascino , il suo eterno mistero”.Un anelito a comprendere, a disvelare i moti più lievi dell’anima, a “sentire” le emozioni di chi, troppo spesso, per il suo ruolo pubblico, deve recitare un compione.Ma l’anelito rimane una supposizione, mai un’aletheia, un velo sollevato del tutto. La luce gettata su tali moti dell’anima è soffusa. La porta rimane socchiusa ed il tentativo di “sbirciare” rimane tale.Lo sguardo è discreto, quasi affettuoso, nel rispetto di ciò che appartiene all’intimità di ogni individuo e che lui stesso, e solo lui, può scegliere con chi condividere, in piena consapevolezza.Sono dieci le opere in esposizione, oli su tela, tra ritratti iconici e autoritratti realizzati nel corso di un decennio. In quei volti raffigurati vi è un palpabile scambio emotivo, capace di catapultare lo spettatore nella dimensione psicologica del personaggio dipinto.
“L’umanizzazione di una icona – continua Francesca - decostruita e riproposta in veste privata, è un ambizioso divertissement, ma non è il fine in sé quella riproposizione; non anela uno squarcio di verità. Quello che ricerco nell’irripetibilità di un volto è una aspirazione a quella verità. La carica emozionale primordiale, quella istintuale che si avverte quando ci presentano una persona per la prima volta… Quella specie di scossa elettrica che sentiamo nella mano e che ci percuote le braccia fin su la colonna vertebrale.. E’ quello che cerco di riportare in pittura”.


Una pittura fortemente espressionista, i cui segni vengono fuori da una pennellata grintosa e impulsiva, affiancata da corposi impasti di materia distesi a colpi di spatola. Il ritratto è una costante nella produzione di Francesca, è la sua ispirazione e il suo banco di prova. Nel ritrarre personaggi famosi come Diego Armando Maradona, Marilyn, Sofia Loren, Obama, la pittrice ci restituisce un’immagine che sigilla l’unione tra il mito e l’uomo in una veste privata.Così facendo, inoltre, Francesca Di Martino getta un ponte tra due universi, i cui attori, principali e comprimari, possono diventare entrambi protagonisti del ritratto ed in questa possibilità sembrerebbero poter riscoprire sentimenti, emozioni e, alla fine, una natura umana profondamente condivisa, al di là delle condizioni socio-economiche ed esistenziali apparentemente e fattualmente diverse.“Quando ritraggo persone a me accessibili – evidenzia ancora l’artista -  è piu semplice poichè posso studiarle, fotografarle, affidarmi a differenti informazioni, uditive, financhè tattili ed epidermiche. Con persone difficilmente raggiungibili posso soltanto scandagliare, nell’oceano iconografico, un sorriso, una smorfia, una ruga, il più possibilmente aderente all’idea che ho di lei/lui”.

La Galleria

Dopo l’esperienza positiva maturata in seno all’Art Point BP Med, la galleria della Banca popolare del Mediterraneo, i collettivi con l’associazione culturale La Fenice e la direzione artistica del progetto ODCEC - Cultura Energia Economia, Antonio Minervini, artista e gallerista, decide di aprire un suo spazio espositivo per dare visibilità alle risorse del territorio, in un quartiere, Il Vomero, che nel secolo scorso fu teatro di una grande rinascita culturale a Napoli. AM Studio si propone come luogo di confronto tra le arti. Dunque, non solo visual art ma anche letteratura, performance, dibattiti e uno studio di comunicazione per la promozione di eventi e realtà creative.



L’artista

Francesca Di Martino, classe 1977, si laurea in Scenografia all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Ha al suo attivo la partecipazione a differenti esposizioni collettive, concorsi e performance. Diverse anche le mostre personali: “Uccidi il tuo maestro” (2011), nello spazio letterario Caffè dell’Epoca di Napoli; “Dentro e fuori di me” (2015), all’interno della rassegna “Facciamo i conti con l’arte”, nella sede della Banca Popolare del Mediterraneo; “Manga p’a capa” (2015) per la rassegna “Human portraits”, alla Fonoteca di Napoli; Dècade al museo civico di Agerola (2017). È presente alla “Biennale del Fumetto nell’Arte” alla Passpartout Gallery di Milano. Partecipa al NAF Napoli Arte Fiera, alla mostra D’Oltremare. E ancora, al collettivo “Un Eco per tutti”, a cura di Linda Irace e Tony Stefanucci, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli; alla 19h Generative Art Conference GA2016 “Empathize with my Gaze” di Firenze. Le sue opere sono presenti nel Museo a cielo aperto di Diamante e in differenti collezioni d’arte private.
AMStudio Art Gallery

Via Massimo Stanzione 10 - NapoliDal 23 febbraio al 11 marzoOrari e giorni: dal lunedì al venerdì, ore 16-20; il sabato ore 10-13Info e contatti: Antonio Minervini minervini@studioaml.it - 392 0860931Alessandro Minervinia.minervini.work@gmail.com – 393 4714198
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sabato 3 febbraio 2018

Genesi: un viaggio per immagini alle origini del mondo

Ad alcuni giorni dalla chiusura della mostra Genesi di Sebastiao Salgado (svoltasi fino al 28 gennaio al PAN di Napoli) , dopo aver fatto decantare le emozioni, è il momento per me di condividerle appieno.

Dedicata all'arte ed ai viaggi in terre selvagge e ai confini del mondo di un fotografo che riassume in sè, per molti versi, anche i tratti dell'etnologo e dell'antropologo, Genesi mescola più anime, più luoghi, più vite, a volte antitetiche.

Prede e predatori, popolazioni del Polo, dell'Antartide e dell'Africa, osservatori ed osservati.




Vita e morte sembrano camminare a braccetto in queste terre, dove cedere al freddo, al caldo estremo, agli animali in agguato ed alle condizioni avverse parrebbe molto più semplice che trovare modi ingegnosi per adattarsi e per sopravvivere.

Ed invece questi modi li hanno trovati popolazioni che vivono in zone opposte del globo: da quelle che sopravvivono allevando renne, a quelle che allevano bufali e ricoprono sia se stessi sia gli animali con cenere ricavata dallo sterco bruciato, per tenere lontani da entrambi gli insetti ed i parassiti.

Spesso la strategia di sopravvivenza sembrerebbe risiedere in uno stile di vita cooperativo, nello stringersi, più forte, nell'abbracciarsi, nel valorizzare le relazioni, tanto tra gli esseri umani quanto tra gli animali.

La galleria di immagini, in un suggestivo bianco e nero, che Salgado regala allo spettatore, assomigliano ad un libro su usi e costumi di persone e animali.

Spesso hanno il sapore e le sfumature sapienti di un ritratto, della china che scivola su un foglio. Di una matita a carboncino che disegna affascinanti alchimie.

Che si tratti di tribù che incidono sulla loro pelle vari simboli, che si inseriscono dischi di ceramica nei lobi e in bocca o si trafiggano il mento con un leggero cono di legno, per poi detergersi il corpo con accuratezza in acque limpide, tutto parla di stili di comportamento e di aggregazione.

Salgado studia anche i comportamenti degli animali: dei pinguini, adulti e pulcini, dei gabbiani, degli albatri, delle foche, dalla bocca spalancata e dagli enormi occhi liquidi, dei leoni marini.

Affascina la maestosità della balena franca australe, con la sua coda possente e il doppio sfiatatoio che fa fuoriuscire piccole gocce d'acqua vaporizzate che vanno a formare una V. 

O la corsa dell'elefante africano, che, spaventato dai continui attacchi a tradimento dei bracconieri, carica la jeep del fotografo, per poi andarsi a nascondere nel folto degli alberi.




A colpire è non solo la professionalità e la perizia con cui le foto sono state scattate, e che è impossibile non riconoscere anche per un profano, ma anche la passione, la forza espressiva, che sgorga dallo sguardo attento di un uomo cresciuto in una fattoria, che spesso si rifugiava in un luogo isolato e scrutava la vetta delle montagne in lontananza, sognando un giorno di andare a scoprire cosa ci fosse oltre.

E così ha fatto, con testardaggine ed in barba alla sua non più giovane età. Lo ha fatto con ogni mezzo: treni, carovane locali e persino mongolfiere. 

Un'osservazione partecipante in tutto e per tutto la sua.

Ma che molte di quelle popolazioni, alcune conosciute per il loro cannibalismo attuato nei confronti di nemici e di "stregoni" di tribù antagoniste, hanno accolto e lasciato osservare, perchè hanno percepito la sua richiesta genuina di un' alleanza comunicativa, in cui chi ritrae chiede a chi è ritratto di raccontare, con autenticità, qualcosa di sè.

Le emozioni a volte non hanno voce ma si riversano in parole ed immagini. 




Gli scrittori ed i fotografi sono legati da un sottile e tenace fil rouge: scrivono storie, raccontano quello che le loro orecchie hanno udito ed i loro occhi visto e quelle emozioni che hanno sfiorato e si sono insinuate sotto la pelle. 

I primi lo fanno con le parole, i secondi, parafrasando le parole di Salgado, disegnano storie tessendo fili di luce, intrecciando i chiari e gli scuri. 




Nelle opere di un maestro come Salgado c'è tutto un mondo fatto di parole, suoni, colori, odori, sapori. Le popolazioni indigene, secondo il suo racconto, gli parlavano come se lui stesse registrando. Perchè, come sottolinea il regista Wim Wenders nel docufilm Il sale della terra, sono le persone la linfa che nutre i luoghi. 

E quelle persone sentivano, percepivano nettamente, l'anima di quel fotografo esploratore, che sapeva raccontarne, attraverso le immagini, gli usi e le tradizioni. Con rispetto ed empatia. A lui, ripete spesso Wim Wenders, interessava davvero delle persone. E, nelle sue foto, c'è sempre l'incontro, ribadisce lo stesso Salgado, di due anime. Quella del fotografo e quella di chi alla fotografia si dona e si affida. L'Antartide e le gole del Gran Canyon; le riserve Navajo e gli sprazzi della vita degli animali e delle tribù indigene. La magnificenza delle piante più grandi ed il microcosmo di quelle più piccole, che hanno scelto di vivere, di adattarsi e resistere (così come gli uomini) in ambienti inospitali. 




Le finestre aperte su una vita caratterizzata dalla continua necessità di trovare strategie di adattamento che permettano di avere la meglio nella partita a scacchi con un clima e delle condizioni ambientali estreme. Fino ad arrivare alle calde terre d'Africa, non meno ricche di fascino, ma altresì di insidie. Salgado è molto più di un fotografo. E' cantore, attraverso le sue trame di luce, di frammenti di storia e memoria. 

Di quelle distese che si spera non scompaiano, aggredite dagli effetti distruttivi della cupidigia umana e di quegli animali e di quelle popolazioni che, a volte sostenendosi a vicenda, si muovono tra miti e riti (incisi sulla pelle e che solcano il loro corpo). Sembra di sentire sulla pelle la dolcezza dello zefiro o la calura appiccicosa della foresta pluviale, i morsi del gelo e l'ardimento che riempie il petto, qualora si lanci lo sguardo verso i filamenti di nubi, che si specchiamo e si confondono con la foschia e gli spruzzi che si sollevano dai fiumi. Così intrecciati che, spesso, pare difficile distinguerli. E resta nel cuore la maestosità di quel corso d'acqua dai riflessi neri laddove i suoi rivoli si incontrano e fanno l'amore con un lembo di terra scura e riarsa.