martedì 13 giugno 2017

L'Arte che cura: per ricondurre ogni essere umano verso se stesso

Dal 1948 in poi L'Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha sottolineato come per salute non si intenda la mera assenza di malattia. bensì uno stato di equilibrio psico-fisico ed emotivo promosso dall'ambiente e dal contesto sociale di appartenenza.Per promuovere uno stato di maggiore benessere, e dunque di salute a 360 gradi, l’Accademia Imago, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e con il Patrocinio del Sindaco di Napoli e dell’Ordine degli Psicologi della Campania, organizza e promuove l'evento “I linguaggi della creatività tra arte, scienza e formazione”, che si terrà dal 15 al 25 Giugno 2017 presso il Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore di Napoli.




Un modo per scoprire e riscoprire le virtù trasformative e terapeutiche dell'arte, tanto a livello individuale che collettivo, e per far emergere l'artista che si cela in ogni individuo, "occultato" spesso dalla routine quotidiana.Già la location promette di far bene allo spirito e parla di arte e di bellezza: si tratta infatti del Complesso di San Domenico Maggiore di Napoli.

Il termine artista trae il suo significato etimologico dal latino artifex, che significa artefice ma anche colui che è in grado di esercitare un'attività con maestria e perizia.

Un essere umano, che, secondo una lettura a 360 gradi, può essere artefice del suo futuro e plasmare la sua vita in base ai suoi obiettivi, al proprio mondo interiore ed al proprio percorso esistenziale, in continuo dialogo e confronto con il contesto di riferimento.

Per consultare il libretto del programma in versione sfogliabile cliccate qui

Per prenotare la partecipazione ai laboratori cliccate qui



Conosciamo più da vicino quest'interessante iniziativa parlandone con il direttore artistico, Gina Affinito.

D. Qual è il nucleo fondante della rassegna?

 R. "L'Arte che Cura" intende porsi come punto di riferimento napoletano per un movimento scientifico e artistico su scala nazionale che si occupi a tempo pieno dello sviluppo di questo settore, e che coinvolga scienziati, umanisti, artisti, operatori del sociale e chiunque abbia fruito o intenda fruire dell'arte come di un'esperienza profondamente evolutiva. 
​La rassegna si svilupperà in due momenti principali: il primo momento è quello
 di
​ una 
articolata 
​ 
"​
riflessione
​"​
 teorica sulle potenzialità terapeutiche dell'arte, 
​​
​il Convegno che aprirà la Vernice (15 giugno ore 9.30 - 13.30) per poi dare il via ad una serie di attività e di laboratori (tutti gratuiti, con prenotazione​) per cercare di dare forma pratica e "contattare" quelle potenzialità creative in ciascuno di noi.
D. L'arte che cura: in che modo l'arte si intreccia e può intrecciarsi al processo della salutogenesi?

R. I linguaggi creativi (teatro, musica, danza, pittura ecc.), attraverso il complesso repertorio di codici e simboli di cui si avvalgono, danno una forma precipua ad un materiale ribollente, fatto di storie, sogni, motivazioni, progetti (con tutto il corredo di emozioni ad esso associato) e rendono possibile elaborarlo, comunicarlo, condividerlo, rinarrarlo. 
D. Qual è il pubblico cui l'iniziativa si rivolge in maniera preponderante?

R. Il
 pubblico di riferimento è eterogeneo e trasversale, il progetto è rivolto al bambino come  all'anziano; gran parte dei laboratori, infatti, sono aperti ai bambini e ce ne sono di specifici per il settore infanzia.

D. Perchè?

R. P
​erchè c'era bisogno, a Napoli come su scala nazionale, di un ​gruppo di lavoro perchè 
con un adeguato 
​supporto
 psicologico, si possono curare patologie, trasformare contesti difficili, e, più in generale, far crescere l'individuo. Ma
​ ​
si ​vuole anche sottolineare come l'arte, affinché possa determinare realmente un processo di cura e di trasformazione, debba essere associata a un sapere scientifico affidabile e condiviso, frutto di studi e ricerche adeguate, con cui formare adeguatamente gli operatori del futuro. 
E poi, siamo in una città fucina di arti ed artisti ...

D. Perchè avete scelto proprio lo strumento dei laboratori per proporre questo tema?

R. ​Perchè 
grazie
​ ​
ai
​ 
laboratori esperienziali i partecipanti potranno concretamente fare un'esperienza in prima persona delle tecniche proposte.

D. Ci racconti qualcosa del tuo laboratorio specifico?

R. ​Il mio laboratorio (24 giugno ore 15.00 - 18.30​)  indaga 
alla ricerca di quelle
​ ​
parti creative, inabissate in noi
​ ​
a causa delle tante sovrastrutture
​ ​
sociali, strutturali che si
​ ​
sono venute a creare nel corso
​ ​
dell’esistenza di ciascuno.
​ ​
Si tratta di lasciar emergere le
​ ​
capacità creative
​ di cui parlavo poc'anzi.​
​​
D. Come si congiunge con gli altri laboratori?

R. O
​gni laboratorio, seppur verta su contenuti, ricerche, arte e modalità differenti, ha un'unica finalità: il benessere psicofisico ​dell'individuo. 
Si può dire pertanto che noi conduttori siamo come tante piccole "api operaie" che lavorano per raggiungere un obiettivo  comune.



giovedì 8 giugno 2017

Alaska: un viaggio in una terra selvaggia alla ricerca di se stessi e della propria umanità

Raffaella Milandri: ossia una donna che incarna, nelle sue azioni, nei suoi racconti, nelle sue battaglie, il motto che "Crederci è potere" e che si può scegliere, a costo di coraggio, sacrifici e rinunce, il proprio modo di essere nel mondo.

Raffaella racconta il "suo modo di esserci" e quello di altri uomini liberi, che hanno avuto il coraggio di scegliere come "patria adottiva" un territorio inospitale, una terra selvaggia e lontana, per inseguire un sogno attraverso modalità di vita più dure ed estreme ma parimenti più "umane".

Raffaella racconta nel libro In Alaska. Il Paese degli Uomini Liberi di Raffaella Milandri, Edizioni, edito da Ponte Sisto (2017) la sua esperienza di viaggio, che oltre ad essere un viaggio nelle latitudini geografiche rappresenta un percorso esistenziale, di confronto con  le sue paure, con i timori e le convinzioni autolimitanti. Un percorso, dunque dentro e fuori se stessa,


Un viaggio ai confini del mondo non per affrontare lupi o orsi, bensì i propri demoni, seguendo le orme di Jack London. Un viaggio alla riscoperta dei propri istinti atavici, affievoliti, finanche anestetizzati, dalla società moderna. Una riscoperta, progressiva ed avvincente, della forza dei propri cinque sensi, sole "bussole" se si vuole sopravvivere in un territorio dove la ragione non ha la meglio nè terreno fertile.

Diecimila chilometri di viaggio in solitaria in Alaska... un viaggio in cui Raffaella - fotografa, scrittrice e attivista per i diritti umani- percorre  i sentieri dei cercatori d’oro, dei pionieri, e dei cacciatori di balene. Ai confini del mondo, l'autrice si imbatte, a sorpresa, in una natura umana forte e gentile, ma tocca con mano i risultati catastrofici del riscaldamento globale e delle crudeltà dell’Uomo Bianco. Il suo io si perde e riscopre la sua vera essenza oltre i limiti del Circolo Polare, dove il silenzio, tra i ghiacci, e la solitudine forzata, che costringe ad ascoltarsi, raggiunge le vette più alte. Ed allora... o si sfiora la pazzia o si raggiunge una più profonda consapevolezza di sè... 

"Sarà il capitano Roy, del popolo Inupiaq - si legge nella sinossi del libro -  ad aprirle le porte alle tradizioni antiche della sua gente, ma anche a rivelarle la dura realtà di un mondo senza scrupoli in lotta per il petrolio e per il denaro; un mondo dove l’orso polare-il gigante gentile dell’Artico- è tra le prime vittime di cambiamenti irreversibili".

In Alaska, che assurge praticamente e metaforicamente a “ultima Frontiera” si gioca la partita tra una vita comoda, moderna e consumistica ed un'incertezza costante che sa scavare dentro ma anche restituire emozioni vere, vivide e profonde e che ha il sapore della libertà da conquistare ogni giorno.

Per conoscere meglio Raffaella ed il suo impegno umano, dispiegato anche attraverso lo strumento della sua associazione, un impegno che va ben oltre l'ambito editoriale, di seguito potete leggere la sua intervista completa.

D. Di cosa si occupa la tua associazione?

R. Innanzitutto creare una associazione mi ha dato modo di avere "potere" di agire a livello sociale ed umanitario.Tante volte, come attivista per i diritti umani, ho stentato ad avere spazio sui media tranne che per i miei viaggi avventurosi e pericolosi.Lo scopo principale con cui ho fondato la Omnibus Omnes Onlus è innalzare il livello di coscienza sociale, attraverso eventi e campagne, ma anche aiuti concreti come quello per Arquata del Tronto, dove abbiamo già consegnato 61 borse di studio e adessoil 30 giugno consegneremo il primo bonus bebè di 2000 euro. La collaborazione con la Onu Italia Unric è un punto fisso importante, con la celebrazione di varie Giornate a ONU tra cui non poteva mancare il 9 agosto, la Giornata Onu dei Popoli Indigeni. Tra i progetti all'estero, ho curato una campagna per il Nepal dopo il terremoto e c'è in progetto una campagna per la salvaguardia della cultura dei Boscimani del Kalahari che spero di supportare presto con un mio nuovo viaggio.
D.  Come si lega al tuo lavoro di documentare la vita nel resto del mondo e al tuo impegno di attivista per i diritti umani?

R. La associazione segue i miei movimenti all'estero, come è successo in Nepal, e le mie amicizie tra i popoli indigeni. E' un modo per implementarequello che già facevo, anche se da agosto 2016 in poi ho stoppato i viaggi per dedicarmi al terremoto del Centro Italia che ha ancora tante emergenzeLa situazione umana è ancora catastrofica e molte persone soffrono duramente per essere state "deportate" lontano dai propri Paesi, peraltro completamente distrutti


D. Quali sono le tappe precedenti, in termini di viaggi di scoperta, che ti hanno condotto al tuo viaggio in Alaska?

R. Il viaggio in Alaska , e quindi il mio libro,  hanno un filo comune coi precedenti: la narrazione di un mio avventuroso viaggio in solitaria, la storia di un popolo indigeno da salvare,  e il racconto dell’ incredibile abisso che separa ormai l’uomo “globalizzato” dalla natura e dalla essenza stessa dell’essere umano. Oltre alla mia incredibile e preziosissima esperienza con gli Inuit, lassù alla fine del mondo, la vera scoperta del viaggio (anzi sono due i viaggi che ho fatto in Alaska, uno d'estate e uno d'inverno) è che la natura può essere ancora signora e padrona, e che è fondamentale che il nostro io ritrovi la forza straordinaria dell'uomo: i cinque sensi, l'istinto, la lotta per la sopravvivenza. E' stato un viaggio dove la solitudine e la libertà sono andate, struggentemente, a braccetto.

D. Quali sono i momenti che ti hanno più emozionato e che ritieni più significativi di questo viaggio?
R. Sicuramente i tesori che ho trovato sono gli animi di persone -bianche- indomite, coraggiose, che hanno scelto la libertà nella natura e hanno deciso di pagare il caro prezzo di rinunciare al bagaglio delle comodità, del denaro, della vita "mondana".Ho conosciuto persone che mi porto sempre nel cuore e che mi hanno insegnato tanto, mi hanno emozionato tanto. Senza i fronzoli della "società civile". Senza "tacchi a spillo". Poi, sono stata accolta lassù dai ghiacci dagli Inuit con una fiducia che non ha prezzo. Li rispetto e li proteggo, per quello che posso, nelle loro tradizioni superstiti, sopravvissute all'Uomo Bianco.
D. I punti di maggiore vicinanza tra le due culture (la tua e la loro)? E di lontananza?
R. Chiunque sia rimasto fedele a sè stesso nel rispetto del proprio modo di essere, chiunque conduca una vita semplice e non si faccia travolgere dagli "obbrobri" del nostro stile di vita -traffico, consumismo, falsità etc etc- è vicino agli Inuit e a tutti i popoli indigeni.


D. Com'è nato e come si è sviluppato il libro dove è confluito questo tuo viaggio così particolare?
R. Ogni mio libro, e questo è il quarto, nasce da un mio viaggio, e ne ho ancora tanti da scrivere. In realtà è stato l'editore, Ponte Sisto, che ha deciso quale libro io andassi a scrivere. Ha scelto l'Alaska, credo perchè oggi, attraverso le pagine di un libro, si abbia bisogno di sognare e di aspirare a  libertà, grandi emozioni, panorami infiniti, e sentimenti positivi. Una volta che l'editore ha descritto il suo progetto editoriale per "Alaska", per me è stato come tirare fuori un fiume di emozioni dal cilindro, che erano lì pronte, e vive, ad essere raccontate per ispirare i lettori.