E' finito il conto alla rovescia per l'ultima replica di Nozze di Sangue di Federico Garcia Lorca, in scena stasera, domenica 27 febbraio alle 18, al Tram di Port'Alba.
Lorca,
che avrebbe trovato la morte durante il regime franchista, trae spunto
da un episodio di cronaca avvenuto nell'Andalusia rurale del 1928. Un
fatto di sangue e di coltello che richiama il codice d'onore tipico della comunità
della tribù.
Il sociologo tedesco Ferdinand Tönnies spiega che
mentre le società sono rette dall'interdipendenza reciproca sul piano
della divisione del lavoro, le comunità si basano sulla condivisione di
usi, costumi e tradizioni che fondano un legame che ha il sapore
dell'appartenenza.
Un'appartenenza basata, dunque, su un
rigido sistema di regole che priva le persone della possibilità di
poter scegliere per la propria vita e dà loro senso e significato solo
in virtù del ruolo che rivestono all'interno del sistema familiare e
sociale.
Così sulla scena non troviamo persone appellate con
il loro nome proprio bensì la Madre, il figlio e futuro sposo, la sposa,
la moglie e le voci di popolo.
"Il vero demiugo - spiega il regista Gianmarco Cesario - è la Madre, che decide delle vite di tutti. Ella incarna il dittatore per eccellenza e per questo ho scelto di farla interpregtare da un uomo".
I personaggi sono tutti vestiti di nero, a
indicare la forza omologante esercitata dalla comunità, ma anche la
morte della libertà e del loro io.
Sullo sfondo del palco si
intravede una sagoma scura. E' il contenitore degli scarni costumi di scena,
essenziali eppure di grande resa, capaci di diventare un pugno nello
stomaco, uno shock per le coscienze, un monito.
Quella
sagoma, per certi versi informe e totalizzante nella sua essenza, può divenire anche una tomba: per la libertà di azione e di
pensiero, per i sogni e le speranze, per la tenerezza.
In
essa trovano riposo il marito e il primogenito della Madre, uccisi da un oggetto tanto piccolo
quanto mortale e infido come un coltello, strumento di vendetta durante la
faida con i Felix.
Trovano sepoltura le speranze della sposa,
che vorrebbe vivere come un uomo e amare alla luce del sole Leonardo, ma che, per sfuggire al suo destino di
sepolta viva in una casa divenuta tomba, cerca di abbeverarsi alla
flebile fonte d'acqua e di vita dello sposo.
Non a caso il suo viso scavato, il suo pallore e le sue labbra bluastre ricordano quelli di un cadavere e la sua corona di fiori d'arancio assomiglia più a un orpello mortuario fatto di petali avvizziti.
Trova la fine, in quella tomba che tutto e tutti fagocita, la dedizione e la
tenerezza dello sposo, tradito nel giorno stesso delle sue nozze dalla
fuga della sua amata con Leonardo.
Trovano la fine le mire di accumulazione capitalistica del di lei padre, che in quel matrimonio
vede un accordo vantaggioso e a buon mercato, attraverso il quale poter
ampliare e rafforzare il suo possesso, il denaro accantonato e
consolidare - nonchè migliorare - la sua posizione nella gerarchia economica, ma anche uno strumento per avere a disposizione braccia forti per dissodare una terra arida e ingrata, che pure bisogna trovare il modo di sfruttare.
Trovano
la morte anche lo sposo e Leonardo, elemento disturbante dell'intera
comunità, tormentato dai suoi demoni e inseguito dalle colpe che lo stritolano e si
susseguono, mordendosi a vicenda.
Lui che, quasi inconsapevolemente,
scompagina questa struttura ferrea, dove ognuno ha la sua funzione, facendo
sì che il figlio non sia più figlio nè sposo, nè sia tale la madre, nè la
sposa, nè la moglie, come ribadisce il regista.
Trovano fine anche le chiacchiere del coro, delle malenlingue, che non hanno più nulla di cui sparlare o semplicemente da commentare o invidiare.
E, infine, trovano riposo anche le preoccupazioni della madre, ora che non ha più nessuno su cui vegliare. Tutti, infatti, ormai riposano sotto il grano dorato, annaffiato dalla pioggia.
Un'atmosfera
claustrofobica e ostile, soffocante, dove persino la luce della luna,
anzichè portare ristoro, diventa strumento di morte, perchè disvela il
nascondiglio dei due amanti.
Al centro di tutto c'è il sangue : che unisce, che divide, che ribolle, che offusca le coscienze e i sensi, rombando nelle orecchie, sorde al buonsenso e alla razionalità in nome di regole primordiali e crudeli.
Alla
fine, quando tutto è ormai perduto, la sposa tenta di ripristinare
l'ordine e di tornare nei ranghi, in nome della sua virginale purezza
preservata.
Chiede la morte o il perdono che le permetta di piangere accanto alla Madre, riabilitata nella gerarchia costituita e agli occhi del mondo.
Ma tra le due donne non vi può essere comprensione nè umana compassione.
La
Madre, infatti, ha annullato completamente il suo essere donna, in nome di un concetto distorto e patriarcale di onestà, e ora
ha quasi una natura ermafrodita, in cui ha inglobato, sostituendolo,
l'elemento maschile del padre ormai assente.
Lei non è in grado di
sentire, di provare empatia e nemmeno di comprendere l'altro da sè.
Da lei può arrivare
solo una dura condanna per la sposa, che ha ceduto alle lusinghe della
passione e delle emozioni e non ha saputo preservare la sua onestà in
nome delle leggi della morale.
Le due donne, dunque,
rimangono vicine ma separate da una trincea tanto invisibile quanto
invalicabile, simili a due pietà dolenti contrapposte, ognuna chiusa nel
proprio universo, dove il perdono non ha diritto d'accesso.
NOZZE DI SANGUE
di Federico Garcia Lorca
adattamento e regia Gianmarco Cesario
con Pietro Juliano, Leonardo Di Costanzo, Guido Di Geronimo, Germana Di Marino
e con le danzatrici Adriana Napolitano (17/18/24/25/26/27 febbraio) e Ilaria Leone (19/20 febbraio)
coreografia Mario Guadagno
costumi ed ambientazione scenica Melissa Di Vincenzo
musiche Pasquale Ruocco
disegno luci Tommaso Vitiello
assistenti alla regia Tina Ferrante | Carmen Pennacchio