venerdì 21 febbraio 2020

Lumache di Pietro Juliano: la lotta tra essere se stessi e cedere alle lusinghe del compromesso


Lo spettacolo Lumache, con testo e regia di Pietro Juliano, dopo l’esordio di ieri, giovedì 20 febbraio alle ore 21, sarà ancora in scena, al teatro Tram di Portalba, stasera, venerdì 21 febbraio, sempre alle 21, domani, sabato 22 febbraio, alle 19 e domenica, 23 febbraio, alle 18.
In scena, in costante contraddittorio:  Cinzia Cordella, Nello Provenzano e Peppe Romano.



Una vecchia canzone diceva “Che sapore ha, la felicità?”.

Nel caso dello spettacolo Lumache la domanda potrebbe essere riformulata con “Che sapore ha il compromesso, quello che si è disposti a siglare per raggiungere una vera o presunta felicità?”.

Il sapore del compromesso è acre, amaro, a tratti disgustoso ed umiliante per Lea Crivello, una scrittrice che crede nel suo mestiere e nella missione che ad uno scrittore è conferita, cioè quello di sollevare il velo su quelle questioni scomode che altri non hanno il coraggio di affrontare.



E’, invece, dolce per Manuel Montedoro, editor senza scrupoli, che del compromesso, nel senso più deteriore del termine, ha fatto il suo pane quotidiano, secondo una logica del dare per avere asimmetrica che si coniuga alla voce abuso di potere, come egli stesso ammette.
“E’ uno spettacolo ricco di simbologie – racconta il regista - .Tutto è simbolo: gli esseri umani, le lumache, i vini, il fiore”.

Manuel, nella sua razionalità, è fortemente coerente e privo di incertezze. La sua, infatti, è la logica del potere, quella che deforma e condiziona, come ricorda il regista, tutto il nostro quotidiano, dove sembra che non ci sia mai il tempo di capire e, se si vuole fare parte del sistema, si sia subito costretti ad agire, perché non c’è più lo spazio temporale per elaborare. Lui che rappresenta il paradosso per eccellenza:  muove le leve del sistema-cultura ma che nella cultura non ci crede. 

Lui che dà in pasto alle menti dei lettori quello che loro vogliono o che il sistema vuole che essi desiderino, anche se è una cancrena che li divorerà lentamente, senza che ne abbiano reale consapevolezza, convinti che sia stato loro fornito l’antidoto giusto contro l’infelicità, utile a raggiungere più celermente quello che desiderano.



“Nello spettacolo emerge solo l’aspetto più deteriore del compromesso – spiega Juliano - . Ma ne esiste anche uno positivo, siglato all’insegna del buon senso e nel nome di un obiettivo comune. Il compromesso, in tal senso non significa venir meno alla propria identità: vi sono, infatti, una moltitudine di relazioni che si reggono sul compromesso. Il punto non è non aver mai dubbi, non vacillare mai, bensì non consentire che il compromesso contamini il senso più profondo del proprio sé e mini le proprie radici”.

Lea rappresenta colei che non ha perso la voglia di credere in un cambiamento possibile e di combattere, mentre il cameriere, Oscar, è forse il personaggio più complesso, in cui Lea si rispecchia, riconoscendosi, sentendo un’improvvisa ed insperata solidarietà e vicinanza emotiva.
“Oscar – continua Juliano – è un personaggio contraddittorio nel senso positivo del termine: in lui infatti, emerge la criticità del pensiero e un’istanza di confronto. Egli rappresenta la fantasia al potere, una piena consapevolezza del proprio lavoro ed anche la mancanza di ciò che ama davvero che segna la distanza rispetto a ciò che fa. Oscar non accetta di stare in un mondo che leda la sua dignità. Lui sa perfettamente chi sia Manuel e Manuel sa perfettamente chi sia Oscar. Ma Oscar sa anche che può esistere un altro universo valoriale oltre a quello propugnato da Manuel, dove sia possibile ritrovare  il gusto di un raggiungimento lento di ciò che si desidera, sottraendosi al dominio sociale”.


A suo modo Manuel sembrerebbe anche indicare a Lea un modo per uscire dal suo disagio esistenziale, attraverso l’accettazione della logica del prevaricare , del predominare, dell’accorciare i tempi, rinunciando a qualsiasi obiettivo comune ed a qualsiasi forma di condivisione, dove persino l’arte non è più arte e non rappresenta più unp strumento di pensiero critico.

Accetterà Lea di rinunciare a se stessa o rimarrà fedele al suo ideale come a qualcosa di molto forte ed irrinunciabile? Quel che è certo è che se Lea accetterà il compromesso propostole da Manuel uscirà dal suo proprio disagio per entrare in quello del suo interlocutore. Quale? Il disagio di chi conosce solo lo scambio, il dare qualcosa di materiale per ricevere una degna contropartita e che quindi non sa né dare né ricevere affetto ed amore disinteressatamente… Di più… non saprebbe neanche più riconoscerli.



Agli spettatori l’ardua sentenza.

Biglietti: intero 12 €; ridotto 10 € (acquistato online o per gli under 26).

lunedì 17 febbraio 2020

Viaggio nelle paure attraverso le narrazioni per sottrarsi ad un nulla che inghiotte


La paura siCura indaga le paure quale risposta ad un persistente bisogno di sicurezza, ma lancia anche il messaggio che dalla paura, intesa come angoscia logorante, si può uscire, perché ce ne sono molte non oggettive e fondate, tali da essere, appunto, curate. 

Durante il percorso audiovisuale delineato da Vacis incontriamo la storia di Suleiman, giovane africano ventiduenne, che ama la scrittura e la utilizza come via di fuga, come strumento catartico, per sottrarsi all’overthinking, al pensiero ossessivo, che si avvolge su se stesso ma attraverso il quale non si trova una soluzione.

I ragazzi ed i bambini si interrogano tra loro ed interrogano i più grandi, per comprenderne il punto di vista e le emozioni, entrando nelle loro vite e nelle loro storie… In questo modo scoprono che dietro chi credevano essere “uno qualunque” si celano dolori quasi inconfessabili, drammi, ferite e coaguli di paure.



In quegli sguardi, cui spesso sfuggiamo per non vedere, si ritrova una comune umanità .

“Non ho mai pensato – dice un’adolescente -  che oltre al bisogno di sussistenza, lavorare, avere soldi ed una casa, ci siano negli immigrati sogni, voglia di fare, aspirazioni…”.

I sogni svaniti: quelli di una giovane 17enne, che dopo un problema legato al comportamento alimentare che l’ha condotta a svariati ricoveri e quasi a perdere se stessa,  ha rinunciato al suo sogno di vivere con e per la danza, perché si sente “in ritardo per sfondare” e non sufficientemente all’altezza, e quelli di un giovane ventiduenne africano, scrittore, che ha visto via via svanire tutte le sue chimere, volatilizzate e distrutte ed alla fine l’Italia l’ha lasciata.

E poi la storia di Carmen, sudamericana.  che vorrebbe fare la psicologa a tempo pieno, ma dato che non le viene riconosciuto il titolo conseguito nel suo Paese, per sopravvivere è costretta a prostituirsi in un basso a Genova. 

Strade relativamente sicure e case dove, in maniera nascosta ed impensabile,  si consumano violenze ed orrori.

E poi la paura della morte tra fede e nichilismo, tra speranza e sgomento.

“Il metodo utilizzato – spiega Vacis – è quello dei video-colloqui, che sono diversi dalle interviste. Infatti, nell’intervista vi sono delle domande cui viene chiesto di rispondere fornendo un’opinione. Con i video-colloqui si chiede una narrazione. Ho fatto 300 video-colloqui per un film di un’ora e un quarto. Anche se non si sente io faccio delle domande in cui chiedo di fornire storie legato ad momento della vita in cui hanno avuto davvero paura e ne avevano ragione e ad altri in cui hanno davvero avvertito paura ma alla fine non ne avevano ragione,. Pensavo che molti racconti densi di timori sarebbero stati legati agli immigrati ed invece no: neanche uno. Non che questi sua statisticamente rilevante, ma credo, non me ne vogliano i sociologi, che il mondo non si possa descrivere e comprendere attraverso sondaggi e statistiche. Se cercassimo di capire il mondo attraverso le storie,  forse troveremmo delle ragioni di convivenza un po’ più solide”.



A Genova le prostitute  non hanno paura bensì vergogna, quando sono costrette ad “esporsi” per sopravvivere… Rinunciano ai propri sogni: da un ristorante sudamericano all’idea che, forse, avrebbero potuto diventare un giudice o un’avvocatessa. Rinunciano e chinano la testa… chiudono gli occhi e vanno avanti… anche se non sono nate per fare la “cortigiane”.

Davanti alle telecamere i ragazzi, gli adolescenti, piangono molto. Il loro è un pianto liberatorio ed empatico o piangono, forse, perché le trasmissioni televisive, di quelle scenografiche,  hanno fatto passare l’idea che “i giovani quando piangono sono più belli?".

Durante questo viaggio, Vacis incontra anche i nonni civici, che hanno riscoperto un’importanza e ruolo per la società, cui è corrisposta una rinascita individuale, anche per chi nonno biologico non è riuscito ad esserlo.

Eccoci catapultati a Catania, nel quartiere Librino.. Un ragazzino ricorda come si tratti effettivamente di una città dentro la città, come dicono i telegiornali, ma come  non sia “una città buona”. La parola passa ad un’operatrice sociale che ribadisce come non si sia pensato ad una città per l’uomo. E’ una città dove non si ha la possibilità di incontrarsi.

La mancanza di prospettive di futuro crea l’idea di una città vuota, simile ad una casa vuota. 

La povertà, la coesistenza di poteri istituzionali e mafiosi, spesso conniventi, crea la vera insicurezza, secondo chi quell’atmosfera lugubre e priva di prospettive cerca di trasformarla quotidianamente. Infatti, di fronte a questo scenario carico di nubi scure, la speranza è figlia degli sforzi fatti dagli animatori di strada per vivificare il quartiere-dormitorio, regalando un sorriso ai suoi abitanti. Se nei bambini Montegranaro fa paura la casa di Satana, che poi rivela di essere solo il locale caldaia, dove avevano trovato rifugio alcuni disperarti, un locale caldaia poi ripulito dalle forze dell’ordine, dove, i più grandi dicevano ci fossero drogati, stracci intrisi di sangue e persone quasi morte, a Librino a incutere timore è il palazzo di cemento.

“Io parlo da educatore – evidenzia Cesare Moreno, presidente dell'associazione Maestri di strada ONLUS - . Tutti noi pensiamo, anche a livello inconscio, che le paure siano irrazionali, ma il paradosso è che le paure di cui si parla in questo film sono perlopiù frutto della razionalità: sono paure intellettuali. Esistono le paure ‘fisiologiche’ che nascono da un pericolo oggettivo e generano la scarica di adrenalina. Ma in questo caso non è così: si tratta, ed in questo i bambini sono particolarmente acuti, perlopiù di una paura legata all’ignoto, anche il mancato apprendimento ad esempio è legato alla paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce. Ecco perché la paura della morte e la paura per antonomasia, poiché è legata al timore di non sapere cosa ci sarà dopo. Ci sono anche altri tipi di paure che sono più contingenti,  di tipo politico-giornalistico, che è evidente essere costruite. Poi c’è una paura concatenata ad altre, che secondo me è davvero importante: quella di essere totalmente assorbiti dal proprio ambiente. La paura di essere annullati da uno sguardo stereotipico e il paradosso di questa paura e che chi più ha paura del suo esistere in periferia , poi è proprio colui che rischia maggiormente di veder concretizzarsi quel timore, sia che scappi, sia che rimanga, come accade nella maggior parte dei casi, finendo per essere assorbito da questo nulla. La paura del nulla è la peggiore delle paure possibili, perché non ha un nome, perché è difficile da combattere. Noi siamo lì per provarci”.



Parlano proprio gli abitanti del temuto palazzo di cemento: “Qui non trovi niente… puoi andare solo a spacciare… a rubare – dice un ragazzo, con un’aria che impasta sfida e amarezza -. A 17 anni io non ho avuto nulla e non ho alcun sogno o desiderio.. forse l’unico e più vero e quello di andar via”.
A fargli eco un altro adolescente, sulla soglia dell’età adulto, cresciuto in quel condominio, tra spazzatura, topi e mancanza anche dei servizi più basilari “… E’ meglio andar via – dice -  che provare a cambiare le cose”.

I ragazzi di Librino, o per meglio dire quelli del palazzo di cemento, come racconta un ‘operatrice, hanno paura di non essere considerati bravi, belli, capaci ed  all’altezza, magari perché non sanno parlare bene italiano. Poi basta costruire insieme ad un operatore sociale un pinocchio di legno, impilando un mattoncino sopra l’altro e le paure si sciolgono come neve al sole...

Alla fine di questo viaggio, al regista resta una sola certezza, salda in mezzo a molteplici dolori e paure: “la sicurezza più che con le telecamere, le ordinanze la polizia ha che fare con la verità, la conoscenza, la bellezza”.

venerdì 14 febbraio 2020

La paura siCura di Vacis: viaggio tra le paure nelle periferie urbane e dell'anima


Il documentario “La paura siCura”, diretto da Gabriele Vacis racconta e interpreta le paure del presente attraverso la raccolta di storie personali capaci di agganciare sentimenti collettivi e generali. 

Il progetto de “La paura siCura”, promosso dal Forum Italiano per la Sicurezza Urbana in coproduzione con il Centro Internazionale di ricerca teatrale Inteatro, costruisce idealmente e materialmente un viaggio in Italia attraverso sei laboratori teatrali in altrettante città del Paese: Catania, Genova, Montegranaro, Ravenna, Schio, Settimo Torinese, disegnando la mappa delle maggiori paure nei diversi contesti, per le diverse età dei soggetti coinvolti, in riferimento alle diverse criticità che vengono affrontate.

Da quelle più intime, esistenziali e adolescenziali di tanti ragazzi; a quelle derivanti dai mutamenti in cui le nostre città grandi, medie e piccole sono state coinvolte in questi anni; a quelle, drammatiche, del degrado e della criminalità diffusa e organizzata. 

“Questo progetto – racconta il maestro di strada Nicola Laieta -   vede il coinvolgimento di almeno 50 ragazzi tra alunni della scuola media Aldo Moro di Ponticelli e trenta ragazzi che frequentano i laboratori territoriali delle arti dei maestri di strada. Coinvolge anche studenti universitari di psicologia, di scienze della formazione, e in generale studenti universitari che amano il teatro, come vero e proprio espediente sociale per creare una diversità che non è solo territoriale ma è soprattutto mentale. Aò centro vi è l'apprendimento che avviene in contemporanea tra piccoli e grandi: la mente degli adulti si mette al servizio della mente dei piccoli per vivere assieme questa avventura dell’apprendimento. E’ necessario ripensare la scuola in relazione non solo ai contenuti ma anche e soprattutto alle persone che vanno accompagnate nella conoscenza del mondo. Per fortuna l’associazione Maestri di strada mette al centro della sua metodologia proprio le persone”.



Da Montegranaro nelle Marche ad una Ravenna tranquilla e bizantina, passando per Schio, Settimo Torinese ed altri centri urbani, vari esseri umani si incontrano, restando a distanza di sicurezza o correndo il rischio, di  toccarsi reciprocamente, facendosi così esistere, scegliendo di accogliere, ritrovando l’umanità, riconoscendosi simile all’altro da sé, e percorrendo la via della tenerezza. La vera vittoria, infatti, è scegliere questo sentimento dentro qualcosa, come viene ribadito nel documentario, come la paura e l’angoscia che non prevedono la tenerezza.

 E’ questo gesto fondatore a fugare la paura ed a umanizzare colui che prima era percepito solo come ostile e diverso, privo di quei sentimenti di auto-miglioramento che possono rendercelo affine.
Settimo Torinese è una periferia che poteva diventare delinquenziale, facilmente esposta al degrado, ma che invece, attraverso una serie di azioni improntate al senso civico ed alla convivenza serena, è diventata sana.

Il documentario mostra come tutti si siano sentiti e siano stati trattati come  stranieri in un certo momento del loro percorso.

“Vai a casa tua che mi stai mangiando il pane… e venivo dal Veneto”, ricorda un’anziana signora.

Il regista, richiamando il libro di un noto psichiatra, ricorda come la forma di follia più grande  è quella che viene dall’interno, dalle proprie paure, angosce, fobie. Dai pericoli e dalle strade esterne che ci fanno paura si può fuggire, si possono evitare, si possono scegliere deviazioni… da quelle interne non si può fuggire mai e ci perseguitano.

La paura, come ricorda una ragazza, a proposito dell’atteggiamento materno,  ci porta a stare sempre attenti, vigili, in guardia. In questo documentario vengono presentati i vari volti che può assumere la paura. 



Richiamando le teorizzazioni del sociologo Zygmunt Bauman che parla del Significato della paura nella società liquida, c’è una paura simile all’ansia, una sensazione persistente e incessante di allarme, che mette in dubbio, attraverso un costante processo di erosione, il senso ed il significato del nostro io. Quando, poi, la paura incontra e si mischia con la sfiducia parrebbe esserci la frantumazione dei legami umani, mentre la solidarietà si indebolisce e la diffidenza e l’isolamento prendono il posto della fiducia e della cooperazione.

Ne Il Demone della paura Bauman ci fa presente come la paura sia una compagna costante nella nostra “società aperta”, così come lo spettro della morte. Per sottrarvisi, come all’insicurezza che procura, rafforziamo confini e cesure, ma questi rimangono sfuggenti.

Siamo  esposti si colpi del destino, un’umanità vulnerabile sventurata alla mercé di forze che non comprende e non controlla fino in fondo che di fronte all’incapacità di difendersi, tenta di erigere nuovi muri divisori.

Secondo Adam Curtis non ci sono nuovi mostri terrificanti ma è il veleno della paura che trasuda, fino a saturare quotidianamente l’esistenza umana attraverso la crescente preoccupazione per l’incolumità personale.

Anche secondo l’antropologo Marc Augè , ne Le nuove paure, attualmente gli esseri umani hanno l’oppressiva impressione di vivere immersi nella paura, nell’angoscia e nell’inquietudine, che hanno la sinistra capacità di rendere gli orizzonti più cupi, in maniera indifferenziata, disegnando scenari apocalittici, tra nuove paure, spesso fomentate da media ansiogeni, e sgomenti atavici che riaffiorano alla coscienza.

Viviamo, come evidenzia Vacis, attraverso le parole degli intervistati, in società opulente ma insicure, abitate da una popolazione paurosa, assillate dal timore dello sconosciuto, dell’estraneo ignorante, manipolabile. Non si cerca più il benessere, forse perché lo si ha già, bensì la sicurezza.

“Questo docufilm – evidenzia il giornalista Giulio Baffi, testimonianza del teatro in città – è un altro modo di delineare il suo essere uomo di teatro di Gabriele Vacis e si pone in una soluzione di ideale continuità con uno spettacolo ed una rivelazione straordinarie  Elementi di struttura del sentimento  che significò la possibilità di tradurre il linguaggio letterario in linguaggio teatrale, all’insegna della legittimazione dell’uso di alcuni linguaggi che non avevamo immaginato si potessero adoperare, sancendo il superamento di certe barriere. Rappresentano un’apertura che rende possibile delle poetiche teatrali”.



Secondo quanto evidenziato da Baffi, Vacis, assieme, ad alcuni suoi collaboratori tra i quali una straordinaria Laura Curino, con il suo Olivetti, costruiscono il racconto teatrale, non per letteratura, ma per rappresentazione. Nella convinzione di Baffi,  il teatro è permanenza di un’esperienza che si supera e si riafferma continuamente.

 In tal senso, c’è necessità della memoria del teatro e del repertorio teatrale, in un momento in cui il teatro e il modo di fare teatro è incentrato sulla cancellazione della memoria e il superamento di quello che si fa e caratterizza uno specifico momento. 

“In un momento – continua Baffi -  in cui ad un attore veniva richiesta o la grande interpretazione o l’immiserimento dell’attore che racconta se stesso, proporre una poetica del teatro in cui l’attore racconta, come se stesso, ma attraverso una drammaturgia, pezzi della storia, pezzi della letteratura, da solo, ma in scena moltiplicandosi, è stata un’indicazione per fare teatro molto importante che ha avuto il suo seguito con altri attori interessanti ed importanti che hanno continuato a percorrere questa strada. E’ un’osservazione della realtà rappresentata che troviamo anche in questo docufilm, a parte la bellezza della ripresa, dell’immagine, l’attenzione dei giovani presenti che diventano attori, la gioia della confusione, la grande capacità di coinvolgimento, di  emozionare, che è poi il punto di partenza del fare teatro e del fare spettacolo, di documentare qualcosa che ci appartiene”.

lunedì 10 febbraio 2020

Fibromialgia: l’importanza di uno stile di vita corretto, a partire dall’alimentazione


Un confronto con gli addetti ai lavori, per avere un orientamento fondamentale. E' questo lo scopo della giornata, incentrata sulla sindrome fibromialgica, in programma per sabato 15 febbraio 2020 a Napoli.


Ad organizzarla  il CFU, il Comitato Fibromialgici Uniti, nato nel 2016, presieduto, a livello nazionale da Barbara Suzzi,  con Rosaria De Vitiis come delegata regionale per la Campania.

 Ad ospitare questa giornata saranno gli spazi del Maschio Angioino. In mattinata saranno allestiti alcuni stand dove saranno presenti i maggiori referenti di questa insidiosa patologia, tra i quali reumatologi, neurologi, psicologi. Nel pomeriggio ci sarà una conferenza, cui parteciperanno presenze istituzionali e medici: verranno divulgate alcune informazioni importanti e studi di casi.


Nel frattempo passiamo la parola a Martina Toschi e Sara Giannini, biologhe nutrizioniste, iscritte all’Ordine Nazionale dei Biologi, perché, come spiegato finora, l’alimentazione, è un tassello importante per promuovere un corretto stile di vita, riducendo stress e tensione.
D.  La fibromialgia è una malattia sistemica, di origine sconosciuta ma multifattoriale, spesso silente perché non presenta evidenze fisiche né è rinvenibile con esami di laboratorio e diagnostici e per questo è sovente misconosciuta. In che modo l'alimentazione può peggiorare la situazione o, al contrario, migliorarla?
R. Oltre ai disturbi a carico di ossa, muscoli e articolazioni, la fibromialgia può “ripercuotersi” anche sull’apparato digerente. Il 70% dei pazienti che presentano diagnosi di colon irritabile sono poi classificabili come fibromialgici e viceversa. Una parziale conferma di quanto ricercatori e clinici ipotizzano da tempo: i legami tra le malattie reumatiche, i disturbi del tratto digerente e la disbiosi, cioè un numero ridotto di batteri intestinali o disequilibrio trai vari ceppi batterici in ragione di alcuni meccanismi infiammatori condivisi, sono ben più profondi di quanto si possa immaginare e sono in stretta relazione con la produzione dei neurotrasmettitori come la serotina. 
L’insieme dei microrganismi che vivono nel nostro intestino, ossia, il microbiota, sembrerebbe essere fortemente coinvolto nell’eziopatogenesi della fibromialgia. Diversi studi infatti hanno dimostrato come la popolazione microbica intestinale grazie alla stretta relazione sussistente tra sistema nervoso centrale e sistema nervoso enterico, sia in grado di influenzare la nostra salute a più livelli. In particolare, l’alterazione della qualità e quantità di questi microbi può causare delle gravi anomalie a carico dei meccanismi di regolazione dei processi infiammatori coinvolti nella genesi della fibromialgia. L’equilibrio e la salute del nostro microbiota intestinale sono fortemente influenzati dalla dieta e vari studi dimostrano come i sintomi della fibromialgia possano migliorare attraverso un intervento mirato all’alimentazione dei pazienti.

La dieta per la fibromialgia deve principalmente basarsi su un’alimentazione antinfiammatoria specifica, personalizzata e ottimizzata a seconda dei disturbi intestinali associati, con l’obiettivo principale di ripristinare la corretta funzionalità intestinale e riequilibrare il microbiota intestinale per poi indurre un miglioramento più generalizzato.
L’assunzione di cibi sbagliati può peggiorare la condizione intestinale preesistente e accentuare di conseguenza i sintomi fibromialgici, non solo a livello fisico ma anche e soprattutto a livello psico-emotivo. Bisogna infatti sottolineare come la comunicazione cervello-intestino sia bidirezionale: un microbiota in disbiosi può indurre stati di ansia e depressione creando un loop patologico che si autoalimenta
Al contrario, quando la dieta risulta corretta e bilanciata rispetto alla condizione gastrointestinale associata, il primo miglioramento che si riscontra e a livello intestinale e subito dopo a livello emotivo.

D. Qual è il tipo di alimentazione, e più in generale di stile di vita, consigliata?

R. La dieta per la fibromialgia deve basarsi principalmente su un’alimentazione antinfiammatoria personalizzata e ottimizzata a seconda dei disturbi intestinali associati, con l’obiettivo fondamentale di ripristinare la corretta funzionalità intestinale e riequilibrare il microbiota e deve possedere le caratteristiche di seguito elencate:
-       La prima indicazione riguarda il consumo di cibi a basso indice glicemico che andrebbero preferiti rispetto a quelli a ricchi in zuccheri e farine raffinate. È possibile consumare carboidrati sotto forma di cereali in chicco ogni giorno, a patto che siano limitati in quantità e non raffinati. Al contempo è preferibile scegliere cereali a minore contenuto di glutine (grani antichi, farro) o naturalmente privi di glutine (riso basmati o semintegrale, amaranto, grano saraceno, ecc…).
 La pasta ha il vantaggio di essere meno aggressiva per l’intestino rispetto al chicco.

-       Frutta e verdura vanno consumate quotidianamente, perché ricche di sostanze antiossidanti, ma scelte tra le varietà a ridotto contenuto di fibre FODMAP, solanina e in generale non irritanti per la mucosa intestinale: bieta, carote, cetrioli, finocchio crudo, indivia, radicchio rosso, ravanelli, rucola, sedano, valeriana, zucchine, olive, erbe aromatiche e spezie non piccanti, fragole, frutti di bosco, banane, melagrana, arance, mandarini, uva senza buccia e senza semi. Quando non sono presenti particolari problematiche di salute è fondamentale seguire la stagionalità di frutta e verdura, invece in presenza di sintomi gastrointestinali è bene selezionare solo le varietà di vegetali sopra elencate nonostante possano non essere di stagione. Studi recenti evidenziano però un effetto negativo del fruttosio, che a livello intestinale ridurrebbe notevolmente l’assorbimento del triptofano e di conseguenza la produzione di serotonina; per questa ragione può essere molto utile limitare il consumo di frutta e preferire quella a minor contenuto di fruttosio (per esempio, frutti di bosco).

-       Nelle prime fasi è importante consumare ogni giorno proteine ad alto valore biologico provenienti da carne bianca (pollo, tacchino, coniglio), pesce di piccola taglia pescato, uova da galline allevate a terra o comunque libere di razzolare. Nella fase di reintroduzione è importante scegliere carne rossa di qualità e preferibilmente grass-fed, cioè da animali allevati al pascolo, salumi DOP (prosciutto crudo di Parma o San Daniele, bresaola) e legumi decorticati.

-       Grassi: è importante evitare gli oli di semi (e tutti gli alimenti che li contengono) perché ricchi in acidi grassi omega 6, quindi estremamente infiammanti e preferire il classico olio extravergine di oliva italiano. È importante anche consumare burro in quanto l’acido butirrico nutre le cellule intestinali, riducendo infiammazione e permeabilità.


D. Quali sono gli alimenti dirty, tra quelli tendenzialmente da non preferire e perché?

R. - Cibi ad alto indice glicemico (zuccheri semplici, farine raffinate) in quanto promuovono l’infiammazione.
- Basso quantitativo di glutine (20% totale apporto glucidico) per l’effetto sulla leaky gut e sull’infiammazione infiammazione intestinale.
- Cibi ricchi in FODMAPs, fibre con alti livelli di zuccheri fermentati a livello intestinale che peggiorano le disbiosi preesistenti
- Solanaceae: melanzane patate, pomodori, peperoni bacche di Goji, perché contengono la solanina, un alcaloide glicosilico responsabile dell’infiammazione della parete intestinale
- Eccesso di fruttosio, perché limita l’assorbimento intestinale di triptofano e di conseguenza la produzione endogena di serotonina
- Legumi non decorticati per la presenza dei fitati per gli antinutrienti contenuti che limitano l’assorbimento di sostanze nutritive.

Per chi voglia approfondire il tema del regime alimentare più adeguato per una vasta gamma di disturbi o malattie, può leggere il libro L'alimentazione corretta nelle diverse patologie. edito da Tecniche Nuove (2019). Un viaggio nell’alimentazione eubiotica che accompagna i lettori nell’interpretazione delle ultime evidenze scientifiche, attraverso una spiegazione teorica prima e pratica poi del perché sia opportuno, per tutelare il proprio organismo, mangiare in certo modo.
Tante le patologie contemplate <>.