lunedì 17 febbraio 2020

Viaggio nelle paure attraverso le narrazioni per sottrarsi ad un nulla che inghiotte


La paura siCura indaga le paure quale risposta ad un persistente bisogno di sicurezza, ma lancia anche il messaggio che dalla paura, intesa come angoscia logorante, si può uscire, perché ce ne sono molte non oggettive e fondate, tali da essere, appunto, curate. 

Durante il percorso audiovisuale delineato da Vacis incontriamo la storia di Suleiman, giovane africano ventiduenne, che ama la scrittura e la utilizza come via di fuga, come strumento catartico, per sottrarsi all’overthinking, al pensiero ossessivo, che si avvolge su se stesso ma attraverso il quale non si trova una soluzione.

I ragazzi ed i bambini si interrogano tra loro ed interrogano i più grandi, per comprenderne il punto di vista e le emozioni, entrando nelle loro vite e nelle loro storie… In questo modo scoprono che dietro chi credevano essere “uno qualunque” si celano dolori quasi inconfessabili, drammi, ferite e coaguli di paure.



In quegli sguardi, cui spesso sfuggiamo per non vedere, si ritrova una comune umanità .

“Non ho mai pensato – dice un’adolescente -  che oltre al bisogno di sussistenza, lavorare, avere soldi ed una casa, ci siano negli immigrati sogni, voglia di fare, aspirazioni…”.

I sogni svaniti: quelli di una giovane 17enne, che dopo un problema legato al comportamento alimentare che l’ha condotta a svariati ricoveri e quasi a perdere se stessa,  ha rinunciato al suo sogno di vivere con e per la danza, perché si sente “in ritardo per sfondare” e non sufficientemente all’altezza, e quelli di un giovane ventiduenne africano, scrittore, che ha visto via via svanire tutte le sue chimere, volatilizzate e distrutte ed alla fine l’Italia l’ha lasciata.

E poi la storia di Carmen, sudamericana.  che vorrebbe fare la psicologa a tempo pieno, ma dato che non le viene riconosciuto il titolo conseguito nel suo Paese, per sopravvivere è costretta a prostituirsi in un basso a Genova. 

Strade relativamente sicure e case dove, in maniera nascosta ed impensabile,  si consumano violenze ed orrori.

E poi la paura della morte tra fede e nichilismo, tra speranza e sgomento.

“Il metodo utilizzato – spiega Vacis – è quello dei video-colloqui, che sono diversi dalle interviste. Infatti, nell’intervista vi sono delle domande cui viene chiesto di rispondere fornendo un’opinione. Con i video-colloqui si chiede una narrazione. Ho fatto 300 video-colloqui per un film di un’ora e un quarto. Anche se non si sente io faccio delle domande in cui chiedo di fornire storie legato ad momento della vita in cui hanno avuto davvero paura e ne avevano ragione e ad altri in cui hanno davvero avvertito paura ma alla fine non ne avevano ragione,. Pensavo che molti racconti densi di timori sarebbero stati legati agli immigrati ed invece no: neanche uno. Non che questi sua statisticamente rilevante, ma credo, non me ne vogliano i sociologi, che il mondo non si possa descrivere e comprendere attraverso sondaggi e statistiche. Se cercassimo di capire il mondo attraverso le storie,  forse troveremmo delle ragioni di convivenza un po’ più solide”.



A Genova le prostitute  non hanno paura bensì vergogna, quando sono costrette ad “esporsi” per sopravvivere… Rinunciano ai propri sogni: da un ristorante sudamericano all’idea che, forse, avrebbero potuto diventare un giudice o un’avvocatessa. Rinunciano e chinano la testa… chiudono gli occhi e vanno avanti… anche se non sono nate per fare la “cortigiane”.

Davanti alle telecamere i ragazzi, gli adolescenti, piangono molto. Il loro è un pianto liberatorio ed empatico o piangono, forse, perché le trasmissioni televisive, di quelle scenografiche,  hanno fatto passare l’idea che “i giovani quando piangono sono più belli?".

Durante questo viaggio, Vacis incontra anche i nonni civici, che hanno riscoperto un’importanza e ruolo per la società, cui è corrisposta una rinascita individuale, anche per chi nonno biologico non è riuscito ad esserlo.

Eccoci catapultati a Catania, nel quartiere Librino.. Un ragazzino ricorda come si tratti effettivamente di una città dentro la città, come dicono i telegiornali, ma come  non sia “una città buona”. La parola passa ad un’operatrice sociale che ribadisce come non si sia pensato ad una città per l’uomo. E’ una città dove non si ha la possibilità di incontrarsi.

La mancanza di prospettive di futuro crea l’idea di una città vuota, simile ad una casa vuota. 

La povertà, la coesistenza di poteri istituzionali e mafiosi, spesso conniventi, crea la vera insicurezza, secondo chi quell’atmosfera lugubre e priva di prospettive cerca di trasformarla quotidianamente. Infatti, di fronte a questo scenario carico di nubi scure, la speranza è figlia degli sforzi fatti dagli animatori di strada per vivificare il quartiere-dormitorio, regalando un sorriso ai suoi abitanti. Se nei bambini Montegranaro fa paura la casa di Satana, che poi rivela di essere solo il locale caldaia, dove avevano trovato rifugio alcuni disperarti, un locale caldaia poi ripulito dalle forze dell’ordine, dove, i più grandi dicevano ci fossero drogati, stracci intrisi di sangue e persone quasi morte, a Librino a incutere timore è il palazzo di cemento.

“Io parlo da educatore – evidenzia Cesare Moreno, presidente dell'associazione Maestri di strada ONLUS - . Tutti noi pensiamo, anche a livello inconscio, che le paure siano irrazionali, ma il paradosso è che le paure di cui si parla in questo film sono perlopiù frutto della razionalità: sono paure intellettuali. Esistono le paure ‘fisiologiche’ che nascono da un pericolo oggettivo e generano la scarica di adrenalina. Ma in questo caso non è così: si tratta, ed in questo i bambini sono particolarmente acuti, perlopiù di una paura legata all’ignoto, anche il mancato apprendimento ad esempio è legato alla paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce. Ecco perché la paura della morte e la paura per antonomasia, poiché è legata al timore di non sapere cosa ci sarà dopo. Ci sono anche altri tipi di paure che sono più contingenti,  di tipo politico-giornalistico, che è evidente essere costruite. Poi c’è una paura concatenata ad altre, che secondo me è davvero importante: quella di essere totalmente assorbiti dal proprio ambiente. La paura di essere annullati da uno sguardo stereotipico e il paradosso di questa paura e che chi più ha paura del suo esistere in periferia , poi è proprio colui che rischia maggiormente di veder concretizzarsi quel timore, sia che scappi, sia che rimanga, come accade nella maggior parte dei casi, finendo per essere assorbito da questo nulla. La paura del nulla è la peggiore delle paure possibili, perché non ha un nome, perché è difficile da combattere. Noi siamo lì per provarci”.



Parlano proprio gli abitanti del temuto palazzo di cemento: “Qui non trovi niente… puoi andare solo a spacciare… a rubare – dice un ragazzo, con un’aria che impasta sfida e amarezza -. A 17 anni io non ho avuto nulla e non ho alcun sogno o desiderio.. forse l’unico e più vero e quello di andar via”.
A fargli eco un altro adolescente, sulla soglia dell’età adulto, cresciuto in quel condominio, tra spazzatura, topi e mancanza anche dei servizi più basilari “… E’ meglio andar via – dice -  che provare a cambiare le cose”.

I ragazzi di Librino, o per meglio dire quelli del palazzo di cemento, come racconta un ‘operatrice, hanno paura di non essere considerati bravi, belli, capaci ed  all’altezza, magari perché non sanno parlare bene italiano. Poi basta costruire insieme ad un operatore sociale un pinocchio di legno, impilando un mattoncino sopra l’altro e le paure si sciolgono come neve al sole...

Alla fine di questo viaggio, al regista resta una sola certezza, salda in mezzo a molteplici dolori e paure: “la sicurezza più che con le telecamere, le ordinanze la polizia ha che fare con la verità, la conoscenza, la bellezza”.

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