martedì 19 febbraio 2019

MisStake di e con Fabiana Fazio: una tragedia tesa tra amori impossibili

Tutta la verità sull'amore... O quasi

Fabiana Fazio riflette, in maniera gustosa, e mai banale, tale, pirandellianamente, da provocare il riso e il pianto insieme, sulle dinamiche amorose, con il suo MisStake, che potremmo riassumere in un "ti prendo, per metterti al centro della mia esistenza, ti penso e ti perdo".

 MisStake è scritto, diretto e interpretato da Fabiana Fazio, con gli assistenti alla regia Giulia Musciacco ed Angela Carrano e la collaborazione ai movimenti di scena di Maura Tarantino.

La location , dal 15 al 17 febbraio, è stato il piccolo e accogliente teatro Serra, in via Diocleziano, 316.

Perchè finisce un amore o sfocia in tragedia? A causa di errori evitabili, ma anche no.



Perchè ognuno impersona quello che è e, a ben vedere, non potrebbe e non saprebbe essere diversamente o, forse, semplicemente è la storia che non potrebbe andare diversamente, altrimenti non si configurerebbe come una tragedia (annunciata).

Fabiana Fazio dipana le sue riflessioni, partendo dalla tragedia amorosa per eccellenza, quella di Giulietta e Romeo, scritta dalla penna magistrale di Shakespeare, per poi ricostruire frammenti di tante tragedie, non meno dolorose, che hanno il sapore delle paure quotidiane e degli altrettanto quotidiani rimpianti.

Un sapore agrodolce e talvolta amaro, perchè, spesso, gli amori possibili finiscono per non essere vissuti per davvero, mentre quelli impossibili sono inseguiti, per il gusto della sfida o, chissà, solo perchè sono posti al di fuori di un orizzonte reale e quindi sappiamo che non si incarneranno mai, che non li vivremo mai e, quindi, non dovremmo mai fare i conti con le nostre paure più feroci e con lo spauracchio della fine, della solitudine e dell'abbandono.

Quello che emerge da questa coraggiosa messa in scena, da questo monologo, un soliloquio, che a tratti sa farsi dialogo, per quanto si muova tra presenze che hanno la consistenza di un'ombra, è che spesso si preferisce non vivere una possibilità d'amore che l'esistenza offre, per quanto ogni cosa reale sia necessariamente imperfetta, per l'accavallarsi di orde di paure, che assumono il volto di aspettative, di sogni irrealistici o di rimpianti per amori passati, il cui ricordo è, però, così vago che ormai, se li si incontrasse nell'oggi, non li si riconoscerebbe neanche più.



Forse è proprio questo che fa la differenza tra la Tragedia shakesperiana per antonomasia e le tragedie di tanti Giulietta e Romeo anonimi, le cui storie sfioriscono per poco coraggio prima ancora di cominciare.

Perchè Giulietta e Romeo si incontrano, si riconoscono e si amano nonostante tutto. Sono pronti ad affidarsi nelle mani e nelle braccia l'una dell'altro, a mettere in discussione il proprio destino e persino a morire per rimanere insieme. E lo fanno senza porsi troppe domande. Forse è il  coraggio a far meritare l'eternità al loro sentimento.

Invece gli amori di cui parlano le altre tragedie, che si ripetono in un loop di pensieri ed azioni ossessive, di schemi già visti e sentiti, sono pronti a fuggire a gambe levate quando la frontiera del reale incontra l'orizzonte dell'ideale e dell'amore sognato, per paura di mettersi concretamente in gioco.




Di  universi paralleli in cui ormai ci si rifugia, per rifuggire dalla realtà, parla, poi, Soulbook, riflessione sincopata sull'universo dei social, in scena al teatro Caos di Villarica sabato 23 e domenica 24 febbraio.

Un universo virtuale in cui si preferisce vendere l'anima ad uno schermo, lasciandosi ghermire dalle lusinghe della rete, invece di rischiare di mostrarsi per quello che si è in carne, pensieri ed ossa. 




E adesso facciamo quattro chiacchiere con Fabiana Fazio.



D. Come definiresti l'operazione di libera (liberissima) interpretazione che si innesta a partire dal testo originale?



R. Credo sia un tentativo di alto tradimento. Nel senso... Del Romeo e Giulietta restano solo una frase “Oh Romeo Romeo perché sei tu Romeo?”, che poi è l'incipit da cui parte tutta la mia riflessione sull'amore, due ipotetici innamorati (Un Romeo, Una Giulietta) e la “tragedia”. La Giulietta, l'innamorata, è innamorata dell'idea dell'amore nella sua impossibilità, unico motivo per cui vuole Romeo (“Sei quello che non posso e ti voglio per questo”) oppure ama un'idea d'amore che non ha niente a che vedere col Romeo che si ritrova davanti e che nemmeno guarda (“Sei Tu Romeo? Davvero? Non mi pare...”) finendo per perdere quello che forse era amore. In altri casi la Giulietta in questione ama un amor perduto, nel tempo e nello spazio che ormai non riconosce più. E così via. In tutti i casi finirà. Come è giusto che accada per essere la tragedia che deve essere. La “tragedia”. E di tanto in tanto nella mente di queste Giulietta riaffiorano frasi di Shakespeare, di altre opere, che utilizzerà come citazioni talvolta inappropriate o come estemporanee riflessioni a seconda della propria necessità di fuggire dalle situazioni o di trovarne una giustificazione. Il Romeo e Giulietta è l'essenza stessa dell'amore. Beh, dall'Essenza all'Assenza dell'amore il passo può essere davvero breve... e viceversa. Se nel Romeo e Giulietta si rappresenta l'assolutezza dell'amore. Il coraggio. Qui provo a parlare, ci provo almeno, della paura, semmai, di Amare o della paura di non Amare. E sempre d'amore parliamo, alla fine. L'Amore. A- more.



D. In questo monologo, che sa farsi dialogo, che peso e che ruolo hanno gli elementi scenici?



R. Un ruolo fondamentale credo. Gli elementi di scena sono in alcuni casi proiezioni esterne di un mondo interiore di Giulietta. Sono i suoi giochi, o sono i suoi fantasmi... sono il mondo immaginario/immaginato a cui dà una forma, spesso anche goffa e inadatta.



D. In che modo riescono a dialogare gli amori impossibili che, fermati nell'unico attimo dell'incontro e della fusione, sono eternati, ed i tanti amori forse possibili che perdono la loro possibilità senza viverla davvero, schiacciati dal peso delle aspettative, delle paure e degli amori solo sognati?



R. Dialogano sull'unico piano che condividono. Quello del sentire, del sentimento. L'unica cosa che li rende simili: l'atto più o meno duraturo del sentire



D. C'è secondo te un modo per non far morire la propria rosa, per comunicare davvero e per uscire dall'eterno loop del ti amo, ti prendo, ti perdo?


R. Forse è un bene continuare a domandarselo. È giusto continuare a farsi domande, senza credere di aver trovato la risposta... e di aver capito tutto.



D. Quali sono i prossimi appuntamenti?



R. Nell'immediato sarò in scena, il 23 e 24 Febbraio al Caos Teatro di Villaricca, con “Soulbook”, spettacolo di tutt'altro genere, sui social network. Con me in scena Annalisa Direttore e Valeria Frallicciardi, in video Giulia Musciacco e come aiuto regia Angela Carrano. Progetto nato la scorsa stagione in collaborazione con ASCI cinema. Mentre a Marzo torno in scena, a Sala Assoli, questa volta solo come attrice, con “Tomcat”, di J. Rushbrooke, per la regia di Rosario Sparno, Progetto Bottega Bombardini Coproduzione Teatro Stabile Mercadante e Casa del contemporaneo (con Francesca de Nicolais, Luca Iervolino, Fabiana Fazio, Mirella Mazzeranghi, Rosario Sparno e l’aiuto regia è Paola Zecca)




D. Quali i tuoi prossimi progetti?



R. Parlando dei progetti miei, sto iniziando la scrittura degli ultimi capitoli di un altro progetto che portiamo avanti da un paio di anni sulla nevrosi e frullano per la testa un poco di idee che per ora sono solo tali. Quindi vedremo. Poi nella prossima stagione ripartirà “Audizioni”, regia di Carlo Cerciello, che ha debuttato a Gennaio e poi chissà.

** Le foto dello spettacolo MisStake sono di Loredana Carannante



sabato 16 febbraio 2019

Al teatro Tram di Port'Alba This is not what it is, amara riflessione sul vuoto contemporaneo

This is not what it is”, di e con Marco Sanna e Francesca Ventriglia è un progetto prodotto da Meridiano Zero, collettivo di artisti nato nel 1995 in Sardegna, che rappresenta uno dei tre capitoli di “B-tragedies - trilogia shakespeariana trash”.

Dopo Macbeth e Amleto, questa volta la coppia artistica, che cura ogni aspetto dell'opera, dalla scrittura alla regia, per finire alla recitazione,  si confronta con Otello, in un'operazione teatrale e comunicativa coraggiosa, portata sul palco del Teatro Tram di Port'Alba da ieri, venerdì 15 febbraio, a domenica 17 febbraio.


Una rappresentazione che parla del senso di sradicamento di una generazione, della voglia di distinguersi, ma anche del bisogno, che diventa un diktat, di confondersi nella massa, per appartenere a qualcosa ed a qualcuno, per avere una possibilità di esistere e di integrarsi, per confondere e mischiare le proprie ferite e le proprie ambizioni con quelle degli altri, ma anche per sentirsi finalmente guardati e visti.

 Ma anche e soprattutto per avere una reale possibilità da giocarsi fino in fondo e non sentirsi ingabbiati in un destino "inevitabile", perchè già scritto e deciso dalle logiche del sistema.

I due protagonisti, non a caso, sono bloccati sull'isola di Cipro, perchè è l'unica scelta possibile, nel tentativo di trovare l'idea giusta per rispondere ai requisiti richiesti dall'ennesimo bando ed avere così la loro occasione di visibilità e riscatto professionale ed esistenziale.

In un carosello paradossale, tra velleità artistiche, in primis quella di voler creare una nuova drammaturgia, e l'acuta consapevolezza del loro scarso talento e del fatto che il pubblico premi ed "osanni" la superficialità, la comunicazione vuota e l'assenza di momenti pensanti, lo spettacolo procede alternando un linguaggio alto, che prende le mosse da Shakespeare,ed espressioni più triviali proprie dei reality show e della cronaca scandalistica.

"In questa trilogia - spiegano Marco Sanna e Francesca Ventriglia - non ci sono grandi elementi di continuità, se non, forse, che si tratta di alcune tra le tragedie shakespiane più conosciute dal grande pubblico e per la possibilità, in qualche modo legata ad una scelta inconcia,  di poter lavorare sull'elemento della coppia".



Così, secondo quanto ribadiscono i protagonisti, in Addà passà a nuttata, che si ricollega al Macbeth, la coppia costituita da Macbeth e Lady Macbeth presenta delle similitudini, addirittura paraddosali e ridicole nella loro tragicità, con quella costituita da Rosa e Olinda, protagonisti della tragica vicenda della strage di Erba.

Una coppia unita fino all'inverosimile, legata da un rapporto morboso, come testimoniano gli atti del processo, detenuta in un luogo che assume le caratteristiche alienanti ed impersonali di un "non luogo".

Menti contorte per le quali le vicende sanguinose accadute sono reinterpretate alla luce di un'ottica deviata, del tutto soggettiva e priva di qualunque obiettività, tale da scadere nel più bieco ed ottuso psicologismo.

"In questo modo - continuano i due attori - anche il riferimento alle tragedie shakesperiane diventa un puro pretesto. Nel caso della vicenda di Olindo e Rosa, ed in parallelo nella coppia del Macbeth, i due finiscono per comandarsi a vicenda, incapaci di ricordare bene il proprio passato".

Secondo le parole dei protagonisti, il loro Amleto in versione trash, ribattezzato Search and Destroy , è più un'operazione rock & roll, di cui è protagonista un Amleto che è ormai stanco di ripetere sempre lo stesso copione ed è convinto di essere giunto alla fine del numero di repliche possibili a lui assegnate.

Rimasto solo ed isolato sulla scena, abbandonato dagli altri personaggi, che si rifiutano di recitare e restano ai margini e dietro le quinte, Amleto si sente invadere da un senso di inevitabile fine.

Anche i personaggi di This is not what it is (Non è quello che è) sono tesi tra la loro solitudine ed il desiderio di integrarsi, di essere riconosciuti, di entrare nel gruppo di coloro che contano, ma finiscono per rimanere sempre ai margini, sul ciglio dell'occasione giusta, che non arriva mai, ma che a loro sembra spesso di lambire.



Rifacendosi alle parole di Marco e Francesca, i due sono combattuti, ma sanno che se non si è integrati nel sistema si è meno di un'ombra, e ciononostante sono troppo folli ed alienati per volere davvero qualcosa.

"La nostra  - evidenziano Marco e Francesca - è una generazione letteralmente colta di sorpresa, una generazione schiacciata ed appiatita, che oggi si vede sorpassare da quelli che sono arrivati dopo".

L'antidoto quale potrebbe essere, secondo i due attori?

"Crearsi delle nicchie e continuare ad innamorarsi del proprio mestiere. Tra il cosiddetto grande teatro e quello delle cantine, non esiste più uno spazio intermedio, quello del teatro di sperimentazione, dell'underground, un spazio prezioso che in passato ha salvato il teatro italiano. Il mondo dell'alternativo va scomparendo".

Quello che rimane, forse, è un un sentimento di alienazione e scissione, un senso di inadeguatezza frammisto al bisogno di trovare un legittimo spazio espressivo.

Una condizione capace di creare una continua tensione verso una meta, un obiettivo, che continua inesorabilmente a sfuggire non appena gli si avvicina, arrivando quasi a sfiorarlo con la punta delle dita, prigionieri dell'illusione di avercela finalmente fatta... anche a costo di rinunciare a se stessi.

** Foto di Roberta Causin

venerdì 15 febbraio 2019

La mia vita senza parole: quando una malattia si umanizza

Tra poco meno di un'ora, alle ore 12 di venerdì 15 febbraio 2019, verrà inaugurata la sede partenopea del Centro NeMO, centro di ricerca sulle malattie neuromuscolari, ubicato nell'ospedale Monaldi.

Non a caso oggi scelgo di parlare di un libro che ha, tra i suoi meriti, quello di travalicare l'immaginario confine, la barriera fittizia ed illusoria, ma forse rassicurante, nella dalettica noi-loro


La mia vita senza parole scritto da Antonio Tessitore in collaborazione con il giornalista Mario Pepe, la cui scrittura conferisce al libro uno stile asciutto ma coinvolgente (Pironti Editore), è la seconda opera  del presidente AISLA (Associazione italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) di Caserta ed arriva dopo il racconto dei frammenti di vita e di lotta quotidiana, coagulati in un grumo duro di dolore e speranza, raccolti da Antonio nel testo Ogni volta che chiudo gli occhi. Sogni e incubi di un leone nella gabbia della SLA, realizzato in collaborazione con il giornalista Pietro Cuccaro.



"Il mio secondo libro - spiega Tessitore -  nasce dal mio desiderio di capire me stesso attraverso il racconto degli altri che mi hanno conosciuto e che hanno avuto a che fare con me. Nel mio primo libro mi ero raccontato, passando dalla mia vita prima della malattia a quella che mi sono trovato a dover affrontare e affronto ancora. Essere qui a poter raccontare ancora una volta le mie emozioni e il mio vissuto attraverso gli occhi degli altri è per me sprone per proseguire nella mia lotta contro la sla per me e per gli altri e per incentivare la ricerca".
Le atmosfere iniziali, quelle di quando Antonio incontra per la prima volta la Sla, mi hanno ricordato quelle dei dialoghi e delle interazioni tra il protagonista e la strega suadente dai capelli verdi della pellicola  Benvenuti a Marwen,  che ho visto rdi recente.

La Sla, infatti, viene descritta come una donna seduttiva, maliarda ed apparentemente dolce all'inizio, che in maniera subdola si insinua nella vita di Antonio, quasi senza che lui se ne renda conto, dando solo pochi segnali, per poi rivelarsi dura ed impositiva, riducendolo al silenzio ed immobilizzandolo sotto il suo peso. Una fidanzata non desiderata ed arrogante.

Il libro nasce dall'impulso fornito da Antonio stesso a chi lo ha conosciuto, affinchè egli racconti le tracce di quell'incontro con lui e con la malattia stessa.

Ne nasce un dialogo a due voci, che testimonia di come la forza e la tenacia di Antonio abbiano cambiato la percezione che i suoi interlocutori hanno della malattia che, per i più, arrivava, in un indefinito prima, solo come un'eco lontana proveniente dai mass media.


Grazie ad Antonio ed alle sue battaglie a favore del miglioramento della qualità di vita dei pazienti, la malattia non è più una macchia sfocata sullo sfondo, o la silloge di informazioni frammentate e monotone provenienti da uno schermo, ma si incarna in un corpo e in uno sguardo, prende le forme di un individuo, si umanizza, accorcia le distanze tra il noi ed il loro.

Antonio Tessitore la racconta attraverso il suo rapporto con gli esperti, con il mondo della ricerca, con l'universo del sociale, con quello dei caregivers. Anche il suo compleanno diviene occasione di ulteriore scambio di idee e di progettualità possibili, in mezzo ai sorrisi ed ai respiri un po' più lunghi.

"Il mio - continua Antonio - È un testo anche divulgativo, visto che contiene interviste a medici esperti nel trattamento dei pazienti affetti da sla. Questo è un contributo di conoscenza utile sia a chi è ammalato sia per chi vuole saperne di più su questa malattia".
Attraverso le parole di Antonio e quelle di chi, per diverse ragioni e con innumerevoli obiettivi condivisi, lo ha conosciuto o anche solo incrociato, si delinea un universo di difficoltà, ma anche di possibilità. Di dolore ma anche di tenacia e speranza.

Il  libro di Antonio diviene anche una sorta di vademecum su come procedere nell'interazione con la malattia, dopo la diagnosi, cercando di anticipare le mosse di una progressione che schiaccia il senso del presente e del futuro, invece di farsi cogliere del tutto inermi e impreparati.

Diviene una sorta di antidoto al senso di smarrimento e di solitudine, di isolamento, quando, proprio malgrado, gli altri possono finire per allontanarsi e la persona stessa si sente scissa e troppo lontana da quello che era e dalla vita che avrebbe voluto per sè e per i suoi cari.
Grazie anche alle interviste con i medici, infatti, chi legge, che sia paziente, familiare, caregiver o semplice spettatore dell'esistenza altrui, sa che, anche se a piccoli passi, la ricerca sta procedendo e riesce ad avere le prime nevralgiche informazioni, venendo a conoscenza degli esperti cui potersi rivolgere e dell'esistenza di una realtà associativa. Una consapevolezza che può rivelarsi utile a nutrire la speranza.
Anche questo libro costituisce un piccolo tassello nella scalata, faticosa ma tenace, della ricerca.
Non mi resta che augurarvi buona lettura, una lettura intensa, dolorosa, a tratti paralizzante, ma che ha il merito di aprire finestre sulla vita degli altri, creare ponti e strade di contatto.