martedì 29 gennaio 2019

Soave, innocente filastrocca di morte: un noir partenopeo con il ritmo incalzante di un film


Soave, innocente filastrocca di morte di Alferio Spagnuolo (Robin Edizioni), la cui presentazione si è tenuta lo scorso  24 gennaio nella partenopea libreria Raffaello, possiede tutti gli elementi dei grandi gialli, di ascendenza inglese ed americana, miscelati al giusto grado di suspense che sa tingersi di rosso sangue, ma rimane fedele ad un delitto classico, che trova la sua ragion d’essere nel movente, senza ridursi a mero esercizio di stile o perdersi nei vicoli dell’espediente letterario che fa da supporto al gusto, affermatosi attualmente, per i particolari sanguinolenti ed il genere splatter.

Il ritmo, come ricorda lo scrittore Domenico di Marzio, intervenuto alla presentazione  organizzata dalla scrittrice e giornalista  Monica Florio,  è equiparabile a quello di un film drammatico o di un thriller.

Trait d’union tra i personaggi, come hanno ricordato sia Di Marzio sia il critico letterario Annella Prisco, è la sofferenza generata da vari traumi mai del tutto superati, che tornano a chiedere il conto sotto forma di demoni che dilaniano la mente e  la coscienza. 

Quegli stessi demoni che si aggirano anche tra i vicoli dell’urbe , una città sospesa, come sottolinea Di Marzio, tra luce e ombra, vita e morte, bene e male, realtà e mistero, contrari che si attraggono e finiscono inevitabilmente per confondersi, sovrapponendosi, anche nell’animo dei protagonisti, di cui viene finemente e sapientemente tratteggiato il profilo psicologico. 



L’intreccio tra la città e i personaggi, come evidenziano gli addetti ai lavori, sembrerebbe essere presente sin dalla copertina di Soave innocente filastrocca di morte; una Napoli quasi da cartolina che guarda il mare. Una veduta aerea che, a ben vedere, già evidenzia l’intrico dei vicoli ed alcuni palazzoni addossati gli uni sugli altri dove potrebbero consumarsi, silentemente, svariate tragedie. Una città apparentemente quieta, ma che appare al centro di un mirino.



I ritmi del dialogo, come evidenzia Di Marzio, che, parimenti,  contribuiscono a rendere più veloce l’azione, sono quelli tipici di un film drammatico o di un thriller: brevi e stringati, vengono” recitati” a bassa voce o con tono sostenuto ed accompagnano interrogatori, verifiche di alibi, irruzioni nelle case dei sospettati… A delineare un rebus che rischia di non avere soluzione.

Secondo quanto evidenzia Di Marzio, gli elementi tipici del thriller ci sono tutti, compresa la colonna sonora, costituita dai rumori delle strade brulicanti di vita, attraversate dallo stridore del traffico, dei motorini, caratterizzata dalle voci di giorno e dai silenzi e dalle attese di notte.

Spazio, poi, al tema della violenza di genere e dell’abuso lavorativo, che si intreccia con quello sentimentale, attraverso lo strumento del saggio, capace di arrivare, grazie ad una narrazione avvincente, ad un pubblico trasversale.

A ben vedere, infatti, in base ad un’analisi psico-sociologica, l’uomo ucciso, l’architetto Ferrara, per come viene tratteggiato nel noir, parrebbe possedere le caratteristiche di un narcisista patologico e maligno. 



Per sua stessa ammissione tracotante, infatti, egli abusa del potere concessogli in relazione al ruolo che ricopre, in virtù di un’asimmetria di posizione, e manipola le giovani donne che gli capitano a tiro. 

Nel romanzo troviamo esplicitata anche l’attuale incapacità di assumersi la responsabilità che ogni tipo di interazione dovrebbe, invece, comportare, denunciata dal sociologo Bauman, che genera anche una correlata incapacità di mettersi nei panni dell’altro, realmente in connessione con i suoi dolori ed le sue gioie o, per dirla con termini sociologici, un’incapacità di assunzione del ruolo dell’altro (role taking). 

E’ per questo, direbbe Bauman, che le persone risultano intercambiabili, ridotte a beni di servizio da consumare velocemente, ma lo dice anche Spagnuolo nel suo romanzo.

E adesso addentriamoci nella trama del noir e nei presupposti che hanno condotto alla sua stesura, assieme all’autore, Alferio Spagnuolo.



D. Una nuova, intricata indagine per il commissario Giulio Salvati. Un rompicapo, com’è un rompicapo la filastrocca che gli agenti sono chiamati a decifrare, nella quale risiede, forse, la soluzione del caso. C’è una continuità con le indagini precedenti?

R. Non esiste una continuità tra le indagini precedenti e quella attuale se non per i personaggi che si trovano  ad affrontare nuovi casi nel quartiere dive sono stati assegnati. L'unico collegamento forse può  intravedere nell'amicizia che poi sfocerà in un rapporto  nel libro successivo  tra il commissario e la collega della scientifica.

A quale genere o generi intersecati è ascrivibile il romanzo?

R. I riferimenti di genere sono sempre gli autori americani ma non quelli che si limitano a descrivere la violenza pura e semplice soltanto per il pretesto di scrivere . Io leggo gli autori che descrivono i caratteri dei personaggi il profondo del loro animo. Il migliore è Ross Macdonald che analizza la personalità dei personaggi scoprendo molto spesso nel loro passato sofferenze irrisolvibili.

D. Esiste un fil rouge di riferimento?

R. I miei esempi sono i gialli americani che da sempre  contengono moventi validi per un omicidio e non come spesso, ahimè, sta accadendo omicidi senza movente, cioè  dovuti alla sola pazzia e perversione del colpevole. Esiste un abuso oggi dei serial killer, mentre invece moltissimi omicidi vengono commessi per le ragioni più  diverse. Ecco io sfruttare i anche queste ragioni, tra le quali la gelosia o il rimorso che anche io ho utilizzato. Esiste una vasta letteratura di thriller ambientati nelle metropoli dell’Europa del nord che certamente non godono della mia simpatia. Il genere inglese ha abbandonato per strada le atmosfere e le valide idee che i loro epigoni avevano diligentemente creato.

D. Nel libro si parla anche di violenza  ed abuso contro le donne.  Attualmente, nonostante la legge 38/2009 sullo stalking e la legge 19/2013 di ratifica della Convenzione di Istanbul sui diritti delle donne, da una verifica del Consiglio D’Europa gli interventi per la tutela dei diritti di genere appaiono ancora pochi, non sistematici e a macchia di leopardo.  Risulta una carenza di circa 5mila posti letto nelle case protette. Le vittime di stalking sono per il 77% donne, mentre le vittime di violenza lo sono nel 92% dei casi. Il 25% degli omicidi è ascrivibile ad odio e violenza di genere. Cosa ne pensa?

R. Io, con il mio libro, sono partito da un argomento attuale e ricorrente. Il ricatto da parte dei potenti, nel mio caso di un  uomo, delle donne per poter emergere nel luogo di lavoro. Nel mio caso, il libro segue in generale la linea del rifiuto, altrimenti la trama sarebbe saltata .Però ho anche inserito alcuni casi dove la donna accetta, ma poi diventa essa stessa vittima di quel consenso, incredula addirittura che dopo poco quella promessa che le avevano fatto e per la quale lei si era sacrificata non venga mantenuta ,con l'indifferenza del potente artefice. Anzi la donna viene considerata meno di un rifiuto, qualcosa di superfluo, di inutile, ciò  perché  il potere ci permette di calpestare la dignità (nel mio caso di povere neolaureate)d elle  donne che a causa  delle allettanti promesse e della mancanza di sensibilità di animo diventano interscambiabili, ridotte a  giochi utilizzati per soddisfare il proprio ego ipertrofico(nel mio libro). Una sorta di vasetto della marmellata che si distingue da migliaia di altri solo per un semplice codice a barre. Ma nel mio libro, come ho detto, sono presenti donne che stanno al gioco della “vuota” promessa e ragazze che sanno discernere cosa è  giusto.

D. Quali progetti ha in cantiere per il futuro?

R. Ho in mente un episodio dove tutto parte dalla stancante consuetudine  del matrimonio e dalla donna, ormai adulta, sposata e con figli, che tradisce il marito, incredula del fatto che il suo corpo possa ancora essere desiderato e “rivalutato” da altri occhi, che possa ancora attirare gli uomini .Ma, attenzione: il suo amante è più  giovane di lei e non ha alcuna intenzione di “mettere fissa dimora” .

venerdì 25 gennaio 2019

Archivio storico: un incontro tra i sapori in un ambiente dall'atmosfera suggestiva

Cucina Borbonica “di classe” all’Archivio Storico di Napoli
Lo chef stellato Pasquale Palamaro firma il nuovo menù del ristorante


Se è vero che il cibo è un aggregatore di persone, anche se di culture diverse, è altrettanto vero che la cucina napoletana lo fa ancora di più! Questa importante funzione del cibo era già nota all’epoca dei Borbone, quando sia “O’ Scarpariello” (il ciabattino) che il “Monzù” (il cuoco di corte) preparavano i pasti utilizzando ingredienti comuni ma in ambienti diversi (il primo per strada, il secondo nelle spaziose cucine patrizie).
 Infatti gli ingredienti più conosciuti sono essenzialmente quelli semplici e genuini, che venivano poi maggiormente elaborati per le pietanze destinate ad imbandire le tavole dei nobili. 
Coesisteva, quindi, una cucina assai raffinata che si era sviluppata soprattutto grazie ai Borbone, che favorirono una fusione fra la cucina napoletana e quella francese concretizzando dei risultati spettacolari e di gran gusto.  
E’ dedicato alla cucina napoletana borbonica il ristorante dell’”Archivio Storico”, locale napoletano che omaggia la cultura borbonica in ogni suo angolo: le sale principali sono dedicate ai Re Borbone delle Due Sicilie Carlo, Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II  e Francesco II (con le rispettive Regine) ed all’ultimo pretendente al trono, l’erede legittimo, Sua Altezza Reale il Principe Carlo di Borbone, Duca di Castro e Gran Maestro di tutti gli Ordini Dinastici. 
Da  più di un anno il locale – tra i più frequentati di Napoli, essendo tra l’altro collocato in uno dei quartieri più inn della Città, ovvero il Vomero – divulga un patrimonio culinario che Luca Iannuzzi - ideatore del progetto, attento conoscitore della storia del Regno delle Due Sicilie e Cavaliere di Merito del Sacro Militare ordine costantiniano di San Giorgio -  ha riscoperto indagando nei testi dell’epoca e riproposto con l’ausilio di professionisti del gusto del calibro di Pasquale Palamaro, chef stellato che ha firmato il nuovo menù “di classe” dell’Archivio.

Il menù
4 antipasti, 5 primi piatti, 6 secondi, due zuppe, 4 dolci, due menù degustazione: tutte pietanze ispirate alla cucina napoletana di corte, riscoperte nei testi che parlano della storia dei Borbone e sapientemente reinterpretate dallo chef. Ad esempio la “Parmigiana”, piatto le cui origini sono contese da  Napoli, Parma e Sicilia: l’etimologia del nome deriverebbe dal termine siciliano “parmiciana” (le parmiciane sono le aste di legno che sovrapposte formano le persiane); tuttavia la ricetta di questo piatto è contenuta nel “Cuoco Galante” di Vincenzo Corrado (1733), che utilizzava le zucchine come ingrediente principale,  e poi ripresa Ippolito Cavalcanti che utilizzava invece le melanzane per assemblare la pietanza. 
Perciò nel menù dell’Archivio questo piatto diventa “Parmigiana di melanzane vista nell’Orto di Ippolito Cavalcanti”. Altro esempio, le zuppe: in particolare durante il regno di Ferdinando I si diffusero molto le zuppe di mare essendo il re goloso di pesce, che pescava egli stesso nelle acque sotto Posillipo; tuttavia questo piatto era spesso anche sulle tavole dei più poveri, veniva preparato con il pesce rimasto invenduto dai pescatori.

 Inoltre presso la corte borbonica era in uso uno gnocco realizzato con mandorle tritate, latte e mollica di pane (gli gnocchi di patate arrivarono solo dopo le importazioni di patate dall’America; furono Alessandro Volta a portare la nuova ricetta nei salotti del re e Vincenzo Corrado a convincere i Borbone a investire nella diffusione della coltura del tubero per sfamare la popolazione dopo la carestia della rivoluzione del 1799). 
Dunque, la zuppa di “mare” e gli gnocchi di patate sono due capisaldi della tradizione napoletana che formano un connubio perfetto nel piatto ideato dallo chef Palamaro, ovvero la “Zuppa di scampi con gnocchi di patate ripieni di mozzarella”. Ancora, un altro esempio di  ingrediente comune alla cucina di corte e a quella popolare: il pollo. Il “Pollo alla Marengo” (che nel menù dell’Archivio diventa “Pollo ruspante e gamberi rossi laccati su mais piccante ed erbe amare “) era un ricco e prelibato secondo piatto, le cui origini risalgono al 1800 quando Napoleone Bonaparte sconfisse l’esercito austriaco a Marengo e chiese a Dunand, il suo cuoco, di creargli un piatto che fosse buono e nutriente. 
Non avendo materie prime a disposizione, improvvisò una pietanza con ciò che riuscì a reperire nelle vicine campagne: un pollo, dei gamberi di fiume, qualche pomodoro, delle uova, del pane raffermo e del cognac. Napoleone, soddisfattissimo, richiese questo piatto a Dunand dopo ogni battaglia e divenne per il condottiero un portafortuna.

La nuova drink list: tra le new entry anche il “Babà Punch”
Inverno. Un ambiente elegante, un’atmosfera calda, e un cocktail “rassicurante” (che emana i profumi e sprigiona i sapori della nostra terra) sono gli ingredienti giusti per accendere le serate napoletane. La nuova drink list dell’Archivio Storico, ad opera di Salvatore D’Anna, bar manager della struttura, è pronta a riscaldare tutti i palati della città e ad alleviare dalle fatiche che il freddo e i frenetici ritmi lavorativi impongono.
Una drink list in parte diversa dalle precedenti, il cui filo conduttore è l’energia dei sapori della tradizione. Cocktail pensati per raccontare a chi li degusta (in orario aperitivo domenicale, cena settimanale e post-cena) la storia, la cultura, le tradizioni della Napoli Borbonica e di quella moderna. Tra questi il “Babà Punch” ottenuto con Rum Jamaicano, Rum Speziato, Oleo Saccarhum, Pisto mix, succo di limone, the, cannella, arancia. Il punch è da sempre una presenza fissa della drink list dell’Archivio Storico. 
Questa versione partenopea della nota bevanda alcolica è nata da un’osservazione di Salvatore D’Anna che, curiosando nelle cucine del locale (che oltre ad essere premium bar, è anche ristorante) ha notato delle similitudini  tra la preparazione della bagna per il babà dell’Archivio Storico (il “Lazzarone”) e le tecniche di preparazione del punch.  “Ho da sempre avuto una grande ammirazione per la pasticceria e per i maestri pasticcieri napoletani – spiega il bar manager -, ho colto così l’occasione al volo e ho cercato di replicare il piacere che si prova nel gustare un babà al rum in questo punch. Qualche piccolo aggiusto qua e là (ad esempio far riposare zucchero e scorzette di agrumi insieme), la scelta del mix di rum (quello jamaicano si deve sentire) e della tipologia giusta di the, l’utilizzo delle spezie usate per insaporire i dolci della pasticceria napoletana come il pisto, e il Babà punch è pronto!”.
Altre new entry della drink list del locale - ispirate dai sapori, dalla cultura e dalla storia di Napoli - sono:
-        Il “Crisommola Negroni” con Jin  Aperol, Vermouth dry, liquore all’albicocca, Orange bitters;

-        L’”Espresso fizz” con Rum chiaro, liquore al caffè, zucchero, succo di limone, soda al caffè espresso;

-        Il “San Gennaro” con Scotch Whisky, Islay single malt whisky, Porto Rosso, Cherry brandy, succo d’arancia;

-        Il “Piennolo” con Vodka e Bloody Mary mix mediterraneo.

Pasquale Palamaro
Lo chef Pasquale Palamaro, nato nella splendida isola di Ischia nel 1978, era destinato alla qualifica di “stellato” sin agli esordi della sua carriera: vanta, infatti, importanti collaborazioni con nomi illustri del panorama culinario, italiano ed internazionale, come gli chef stellati Aimo e Nadia, Ugo Alciati, Alfonso Iaccarino, Antonino Cannavacciuolo, Anthony Genovese. 
Uno scambio continuo che ha portato il giovane chef a consolidare la sua cucina come specchio gustativo del territorio in cui vive, ovvero il meridione d’Italia. Il 2013 rappresenta, per la carriera dello Chef Palamaro, una pietra miliare: viene, infatti, insignito dell’ambita stella Michelin grazie al suo encomiabile lavoro presso l’”Indaco”, il ristorante dell’Albergo della Regina Isabella per cui è Executive Chef.

Il mio percorso degustativo  
Metti una sera all’Archivio Storico dove, sull’onda del glorioso periodo borbonico,  lo chef stellato Pasquale Palamaro, ha ideato un menù dove si incontrano cucina aristocratica partenopea e piatti della tradizione popolare e contadina, legati ai frutti ed alle delizie della terra.

Eh sì, perché Napoli, città stretta nell’abbraccio, a volte confortante, a volte periglioso, del mare, non mette in tavola, e di tavola da re si tratta, solo specialità di mare, ma attinge a piene mani anche ai doni della terra.
Nel mio percorso mangereccio ho cominciato con un soft drink: il “Crisommola Negroni” con Jin  Aperol, Vermouth dry, liquore all’albicocca, Orange bitters.



A seguire un’ entrée di parmigiana di melanzane vista nell’orto di Ippolito Cavalcanti , fatta con  cubetti fritti di melanzana ricoperti con una glassa nera di melanzana stracotta, guarniti con salsa di mozzarella, salsa di pomodoro e crumble di friselle fritte.



In un gustoso doppio, in tavola anche l’Anitrello di alici in velo d’ovi su salsa verde, composto da palline di alici ripiene di zucchine, mozzarella e menta. A completare il tutto una doppia salsa: di zucchine e latte, e di acciughe, capperi e cetrioli. Il tutto accompagnato da chips di acciughe essiccate

Le alici, infatti, come recita il menù, diviso in sezioni, che non si limita ad elencare i piatti, ma offre anche una spiegazione degli ingredienti utilizzati, di altissima qualità, e ne spiega origini e preparazione tradizionale, che affonda le radici in usi antichi, sono un pesce azzurro, povero ma ricco di tanti elementi utili alla salute.


Per continuare, all’insegna di perizia, creatività e sapidità, con i tortelli ripieni di crema di  provolone del Monaco DOP,  su letto di purea di zucca lunga piena di Napoli e perle di tartufo , in cui questo prezioso elemento è “raggomitolato”, tale da ricordare il caviale, accompagnati con semi di zucca e tartufo nero.

Poi spiedini di verdure di stagione, tagliate in maniera tale da esaltarne la consistenza e donar loro il giusto mix di morbidezza e croccantezza. Dalla zucca ai broccoli un tripudio di sapori dell’orto, esaltati da un tocco di spezie.

Per concludere in bellezza due dolci tipici della tradizione pasquale partenopea più autentica e verace: una Nuvola di pastira storica, costituita da una sfera di pan di spagna ripiena con crema di pastiera, panne e purè al mandarino, articolato in tre sapienti e gustosi innesti, dove il tipico sapore asprigno del mandarino incontra la dolcezza di crema e panna.

E una pizza di crema e amarene, fatta con una cialda farcita di crema gialla, dove si incontrano, ballando un valzer del gusto, il sapore del limone e della vaniglia, e una glassa di zucchero, che richiama la scioglievolezza della mozzarella fusa e le amarene che occhieggiano ai pomodorini del piennolo per forma e colore.

L’atmosfera è soffusa, rischiarata dalla luce delle candele,  la cui cera si scioglie e scivola lungo i colli delle raffinate bottiglie che le contengono, per poi coagularsi e formare, in maniera del tutto naturale, un'affascinante composizione artistica, un'arabesque di sapienti intrecci e sovrapposizioni.

Tutte le sale sono arredate con mobilio e quadri che ricordano il periodo storico proprio del Regno di Napoli e del Regno delle due Sicilie. 


Un viaggio nel tempo e nei fasti di un Regno potente ed avanguardistico che si conclude con un percorso nei sapori, altrettanto ricco e suggestivo, capace di viziare il palato e di far riscoprire sapori dimenticati o di farli apprezzare in una veste inedita.

Ph. Paola Tufo (tranne quella della carta dei vini, dell'Anitrello di alici e della candela  rossa in bottiglia).