sabato 28 dicembre 2019

Actor Dei: un musical capace di commuovere e di fare cultura


Le sere che ruotano attorno al Natale ed a tutte le festività che ci accompagneranno fino all’Epifania sono o dovrebbero essere circondate da un’aura di forte spiritualità, non  solo ed esclusivamente cristiano-cattolica, perché non dobbiamo dimenticare che tutte le forme di religione sono tenute insieme da un sottile filo rosso: quello di dare all’anima speranza ed una direzione al suo cammino, per quanto difficile ed accidentato possa essere, portandola a trascendere un orizzonte ristretto ed angusto di senso e significato. 

Proprio per questo una piccola pietra miliare di queste feste, che arrivano in un momento socio-economico sul cui orizzonte si addensano nubi scure, dovrebbe essere il musical Actor Dei, per la regia e le scene di Bruno Garofalo.

Le quinte ed il palcoscenico, fino al 6 gennaio, sono quelle del Trianon - Viviani, il teatro del popolo.




Attilio Fontana che interpreta il frate da Pietrelcina e Lello Giulivo, incarnazione del male e suo antagonista, sono le vecchie guardie che con passione, competenza e mestiere guidano un cast, proveniente dalle terre del Sud, composto da circa 40 giovani.

Una scommessa non facile quella accettata da Attilio Fontana e da tutta la squadra: quella di narrare la storia dell’uomo dietro al santo, compiendo un processo di umanizzazione, di farne emergere pienamente i tormenti, le paure, i dubbi, la sofferenza, i sacrifici, il marchio della diversità, ma anche la piena umanità che lo rendeva così vicino alla gente semplice. 

“Parlare di religione  e di una personalità peculiare come quella di Padre Pio – racconta Fontana – non è semplice. E’ come maneggiare un cristallo fragilissimo: bisogna fare sempre i conti con le possibili accuse di strumentalizzazione”.

Attilio Fontana  firma le canzoni con Mariagrazia Fontana, in una scommessa triplice: quella di riuscire ad esprimere i moti dell’animo di un uomo amato dal popolo, ripudiato in alcune fasi (come già accadde per San Gennaro prima di lui) e vittima di un alterno trattamento da parte delle gerarchie ecclesiastiche. 

Quella di dare lustro alle lingue regionali, troppo spesso tacciate di volgarità e non comprese appieno nel loro spirito. Quella di affidare la storia quasi esclusivamente a canzoni,  musica e danza. 

 Actor Dei è stato allestito da Rosario Imparato per Immaginando produzioni, con l’organizzazione di Mario Minopoli.

Il vocal coach della compagnia è Maria Grazia Fontana. I costumi sono firmati da Maria Grazia Nicotra e le videoimmagini scenografiche sono curate da Claudio Garofalo. Regista assistente Gennaro Monti. L'arrangiatore è Federico Capranica.




VALORIZZAZIONE LINGUISTICA
Secondo quanto spiega il sociologo Claudio Roberti, il Napoletano, di cui il Pugliese è una variante (eccetto il versante leccese che si rifà alla tradizione linguistica siciliana) è una lingua composita: su di una base di osco, un’antica lingua italica pre-greca si sono innestate strutture greco-latine e poi si sono andati ad inserire lo Spagnolo, il Francese, degli elementi di tedesco tramite gli Svevi e gli Austriaci. 

E’ lingua anche perché possiede una struttura sintattico-grammaticale e perché è veicolo di trasmissione socio-culturale imprescindibile. Questo non vuol dire che un testo o una canzone in lingua napoletana, compreso ad esempio il teatro di Eduardo, non possano essere tradotti in tedesco, ma perderebbero quella capacità di estrinsecamento di una cultura tipica con una forte connotazione etnico-linguistica.   

L’operazione di sminuimento della lingua napoletana si inserisce in un insieme di vicende storiche concatenatesi a partire dall’unità d’Italia del 1861, che non fu processo di unificazione bensì di annessione[1] forzata,  per le cui conseguenze ancora oggi paghiamo un prezzo amaro.
Plauso dunque a questo musical coraggioso, che miscela sapientemente più lingue, valorizzandone le sonorità, le specifiche caratteristiche, le radici, la forza, con orgoglio.

CULTURA POPOLARE, FOLKLORE E PROCESSO DI SANTIFICAZIONE

Che importanza ha avuto la religione nella vita del popolo dal punto di vista umano e socio-culturale?
Nel vissuto religioso sembrerebbe possibile cogliere la trama delle concezioni, delle attese, delle realizzazioni, dei bisogni di un popolo, alla continua ricerca di un fondamento e di un senso al proprio esistere, di un orizzonte di significato più ampio, ma anche di una risposta ai tanti dolori e problemi che lo affliggono.

Il divino, quale orizzonte che trascende l’oscurità e le angustie della quotidianità, è garanzia di dignità e richiamo alla solidarietà. E’ così che nasce un umanesimo cristiano, una cristianità profondamente umana, che genera un’etica e specifiche pratiche rituali e devozionali che rispondono a bisogni di rassicurazione e di salvezza, coniugati alla voce speranza, in cui si fondono ed intrecciano aspetti materiali, psicologici, culturali e salvifici.

Il rito, e la devozione che esso presuppone, si basano sulla fiducia nella potenza protettiva del sacro e da un legame personale profondo con la figura che lo rappresenta ed incarna (in questo caso Padre Pio). Fonte e giustificazione della devozione è la tradizione , da intendersi come patrimonio culturale-ambientale-familiare su cui si fonda l’esistenza stessa[2].

Nel mondo dei contadini non c’è posto per la ragione, per la religione e per la storia. Non c’è posto per la religione, appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magia naturale. Anche le cerimonie della chiesa diventano dei riti pagani, celebratori della indifferenziata esistenza delle cose, degli infiniti terrestri dèi del villaggio. (Levi Carlo, Cristo si è fermato ad Eboli, p. 102).

La religione dei ceti popolari viene interpretata essenzialmente, come ben testimonia e documenta l’antropologo Ernesto De Martino nel suo Sud e Magia, come un amalgama, dove il sacro si confonde con il profano (o con il ‘pagano’). La fede, dunque,  è riplasmata e ripensata a partire dai bisogni più materiali dell’esistenza[3].



“La ricerca della santificazione – continua Roberti – è un fatto diffuso ed antico nel Mezzogiorno d’Italia ed in Italia in genere. La ricerca di un personaggio che possa essere foriero di speranza, un’ancora di salvezza per il popolo, parrebbe sussistere da sempre, anche in epoca pre-cristiana. Si pensi al Virgilio mago, secondo alcuni un antesignano di San Gennaro, tanto amato dai Partenopei, che in sostanza era una sorta di santo, solo che i suoi miracoli venivano definite magie all’epoca”.

Per De Martino, in una quotidianità dominata dalla minaccia del negativo, rito e mito permettono di sopravvivere in una sorta di limbo, dove la collettività rimane  nella storia, ma come se non ci fosse, in una specie di dimensione sospesa. 

La magia, anche nella sua versione cristianizzata, è perlopiù appannaggio delle classi popolari, si pensi ad esempio al malocchio, alla jettatura,  ed ai suoi antidoti, deputata a proteggere le classi subalterne[4].


Per questo Padre Pio, figura figlia dei suoi tempi, connotati da sacrifici e paure, ma al contempo fuori dal tempo, destinata ad eternarsi, piace tanto al popolo. Il popolo, anche se all’inizio lo percepisce come un tipo strano ed anomalo, solitario e brusco, al contempo lo vede come un suo membro a pieno titolo, afflitto dagli stessi mali, dagli stessi demoni che mordono l’anima, che altro non sono che le voci di coloro che hanno perso ogni speranza o che la cercano in lusinghe fittizie come successo e potere.



Lo stesso diavolo, egocentrico, star e guascone, come lo definisce l’interprete Lello Giulivo, non mette tanto i bastoni tra le ruote al frate (che è anche fratello per i più, uno di famiglia insomma, al pari delle capuzzelle dell’omonimo culto), ma gli prospetta una vita diversa, non afflitta dal dolore  e da una strana malattia, così come gli mostra che, dopo la sua morte, il suo popolo sarà disunito, diviso, non più solidale, bensì fratricida. 

Un musical, dunque, dove confluiscono varie anime, che vince la sfida di saper parlare di spiritualità ad un pubblico trasversale, emozionando profondamente.





[1] Come si legge in Wikipedia <<L'annessione è l'atto tramite cui uno Stato amplia il proprio territorio, nella maggior parte dei casi a scapito di un altro Stato>>.
[2] Don Orlando Vito,  Religiosità popolare e identità culturale. La valenza culturale del vissuto religioso popolare, pp. 1-4.
[3] Zardin Danilo (2001), La “religione popolare”: interpretazioni storiografiche e ipotesi di ricerca, Memorandum, 1,
pp. 41-60 in  Retirado em
[4] Dei Fabio (2016), Folklore, cultura popolare, cultura di massa, in Antropologia Culturale, Il Mulino.








** Le foto sono di Grazia Guarino