giovedì 19 dicembre 2019

Tam Tam Digifest: analisi sulle macchine del cambiamento ed educazione ad una fruizione consapevole delle immagini e dei mezzi


Segna la sua quattordicesima tappa Il festival Tam Tam Digifest, realizzato dalla cooperativa Tam Tam in collaborazione con la Compagnia della Città e l’Associazione Articolo 31, con il contributo dell’assessorato Turismo e Spettacolo della Regione Campania e con la direzione artistica di Giulio Gargia.

“Questa è l’edizione – racconta il direttore artistico – in cui abbiamo differenziato di più le proiezioni, con una sorta di scommessa particolare”.

La settima arte ha trovato casa nel Palazzo partenopeo che alle varie forme d’arte dedica il suo operato: il PAN, in via Dei Mille 60.

Trattandosi di una rassegna regionale, sono stati toccati diversi punti geografici:  Arzano, Napoli, Capaccio, Caserta. E’ attraverso queste terre che si è propagato il “tam tam” di questa edizione dedicata al tema del Restyling – Le macchine del cambiamento.


“Volevamo indagare – continua Gargia – questa sorta di voglia, che diviene ossessione,  per il  cambiamento continuo, quale tratto esistenziale delle persone”.

Questo il filo conduttore  delle tre sezioni che hanno analizzato come le macchine si umanizzino e come, al contrario, gli esseri umani divengano paradossalmente macchine.

Proiettati film ascrivibili agli anni ’20 e ’30, restaurati con il digitale, tra cui Metropolis nella versione di Giorgio Moroder, che decise di tentare un’operazione avanguardistica:  far incontrare il cinema muto con canzoni pop/rock contemporanee degli anni ’80.

“Il musicale ha stravolto tutto – spiega Gargia - . I film, grazie al digitale, hanno subito una sorta di lifting, un ringiovanimento, e sono stati anche colorizzati”.


Spazio, poi, a pellicole come Il volto di un’altra di Pappi Corsicato o Un maggiolino tutto matto, diretto da Robert Stevenson.

Come ha più volte sottolineato il sociologo Zygmunt Bauman, il capitalismo cerca sempre nuovi territori da colonizzare e depredare e, come un mutaforma di potteriana memoria, trova sempre nuovi modi: questa, dunque, è l’era in cui il marketing sembrerebbe aver impregnato di sé le nostre coscienze.

Proprio per questo, poi, hanno avuto ampio spazio i documentari, che raccontano storie coraggiose di persone combattenti, che mettono a repentaglio la loro vita per un ideale di libertà, di giustizia ed equità sociale. Un ideale che possa incontrarsi con il reale, come nel caso de Le Ragazze della rivoluzione (2019) di Giancarlo Bocchi.


IL PERCORSO

L’esordio avviene nelle vesti di una sezione della Rassegna Accordi @ Disaccordi al Parco del Poggio.

“Il nostro iter è all’insegna della continuità – evidenzia Gargia -. Anche in quel caso, infatti, si trattava del racconto di come l’innovazione digitale avesse modificato il modo di fare cinema. In quel caso presentammo Il mio film col telefonino di Pippo Delbono, una pellicola interamente girata con il cellulare”.

Una cornice nella cornice è poi stata rappresentata dall’incontro tra cinema e giornalismo e dalla peculiare marca stilistica di questo modo di narrare la realtà.
Secondo il direttore artistico della rassegna è fondamentale indagare come un mezzo agisca sulla percezione del pubblico.

“Nel caso del cosiddetto citizen jounalism – rimarca Gargia – vediamo come persone che non sono giornalisti lo divengano, in qualche modo, attraverso l’uso del mezzo che hanno in quel momento a disposizione”.

Questo testimonia della diffusione capillare  dell’uso di alcuni mezzi di comunicazione nel quotidiano. Proprio per questo, secondo il direttore artistico, è necessario educare alla fruizione delle immagini e creare coscienza e consapevolezza di come uno strumento, caratterizzato da specifiche caratteristiche e potenzialità, possa essere usato.

Un intento , quello di creare la coscienza del mezzo, che si ritrova anche nei documentari ispirati ai fatti di Genova, nel 2001, in occasione del G8, ed a quelli accaduti a Firenze.

Poi arriva la trilogia di cortometraggi La scomparsa dell'Auditel, un lavoro di avanguardia,  che analizza come questo meccanismo, secondo quanto racconta Gargia, in realtà serva a manipolare la percezione degli spettatori/consumatori, aumentando la pervasività del sistema di vendita ed orientando ad hoc le loro preferenze. 

“Si tratta  - ribadisce Gargia – di numeri non attendibili e mi sono chiesto che uso si faccia di questi numeri. Un utilizzo che si rivela manipolatorio come accade oggi con i social network”.
Come si legge nel libro L’Arbitro è il venduto, tappa d’approdo di questa inchiesta << con la 249, entrata in vigore nel ’97,  l’Authority dovrebbe gestire e rilevare in prima persona gli ascolti radiotelevisivi, sia a livello nazionale sia a livello regionale. Ma non lo fa>>, consentendo che si giochi una “partita truccata tra l’audience ed il mercato dei consumi” per conquistare il tempo dell’attenzione di chi sta dall’altra parte del video.

Per maggiori informazioni: http://tamtamdigifest.it/

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