Se una
ciliegia tira l’altra, così come i baci, purtroppo esiste un effetto a catena
molto meno piacevole e parallelamente pericoloso se non si monitora
costantemente lo stato di salute della bocca.
Infatti, si rischia che un problema che potrebbe essere risolto in tempi
relativamente brevi ed in maniera poco invasiva degeneri, fino a portare
all’estrazione di un dente, con un’inevitabile riduzione della capacità
masticatoria. O che una patologia silente ma progressiva non venga intercettata
in tempo, fino a quando non “esplode” in maniera manifesta con effetti,
purtroppo, potenzialmente irreversibili.
D. Di norma ogni quanto bisogna fare un controllo e la pulizia dentale?
R. Per i giovani che abbiano denti forti e sani ed un perfetto
spazzolamento manuale ogni anno. Per il 60% dei pazienti ogni sei mesi. Per
coloro che abbiano la cosiddetta parodontite cronica dell’adulto, che provoca
la perdita di tessuto di supporto dei denti, cioè del legamento parodontale e
dell’osso, comportandone il riassorbimento, ogni 3-4 mesi.
La pulizia può
essere preceduta da controlli radiografici ma quello che non manca mai è il
controllo clinico, che si esegue con l’aiuto di 4 strumenti alleati del
dentista: lo specchietto, lo specillo
appuntito per i solchi e le fossette per diagnosticare le carie iniziali, la
sonda parodontale smussa da passare nel solco gengivale, ed una pinzetta con la
quale fare specifici test, utilizzando ad esempio batuffoli di ovatta imbevuti
di opportune sostanze atte allo scopo; la sonda parodontale è
millimetrata e consente di misurare fisicamente la profondità delle tasche
parodontali.
Questi valori, insieme ad altri parametri come il sanguinamento al
sondaggio e l’indice di placca costituiscono il charting, cioè il
sondaggio nelle tasche parodontali, una procedura necessaria per individuare la
presenza di malattia parodontale. Altri parametri quali la mobilità dentale e
le recessioni completano il quadro clinico. Il sondaggio parodontale
fisiologico va da 0 a 3 millimetri, sondaggi maggiori evidenziano perdita di
attacco e presenza di tasca patologica.
Inoltre la mobilità dei denti può essere inquadrata così:
·
Classe 0: mobilità fisiologica appena percettibile.
·
Classe 1: mobilità leggermente aumentata, lievi spostamenti orizzontali di
circa 1mm.
·
Classe 2: mobilità decisamente aumentata senza impedimento funzionale,
spostamenti in senso orizzontale di circa 2 mm.
·
Classe 3: mobilità notevole con impedimento funzionale, spostamenti anche
in senso verticale.
C’è da tener presente che purtroppo la malattia parodontale, come la carie,
ha una componente ereditaria. I trattamenti parodontali, se eseguiti per tempo
e correttamente, assieme ad un sano stile di vita possono rallentare ed a volte
arrestare l’incedere della malattia.
D. Da cosa è generata la parodontite cronica dell’adulto?
R. Vi è una componente batterica, con una proliferazione legata ad
un’insufficiente igiene orale. In tal senso, fino ad un certo punto, la saliva,
con le sue proprietà antibatteriche, può fungere da tampone. In parte, però, la
demineralizzazione, con perdita del legamento parodontale e riassorbimento
dell’osso di supporto, ha una componente ed una predisposizione genetica.
D. Quali sono i campanelli d’allarme che dovrebbero spingerci subito a fare
una visita di controllo?
Un’ipersensibilità anomala, un sanguinamento o il fatto di avvertire con la
lingua la presenza di cavità anomale. In alcuni casi, si rischia di intervenire
quando esiste già una carie profonda e quindi è necessario effettuare una terapia
canalare, la cosiddetta devitalizzazione, ed una successiva ricostruzione del
dente. Si tratta di una tecnica più invasiva di una semplice cura di carie, che
però ha comunque un alto grado di riuscita, pari a circa il 95%.
Dopo la
terapia canalare e la ricostruzione l’elemento può risultare ancora dolorante
per uno o due mesi a causa della cicatrice apicale o dei biomateriali
utilizzati che, per quanto biocompatibili, possono provocare un’irritazione del
tessuti profondi.
Quando i batteri responsabili della carie colonizzano i
canali radicolari si può avere il cosiddetto ascesso. Dopo una fase acuta
dell’infezione, però, arriva una fase cronica, in cui l’organismo umano tende
ad auto-ripararsi o quantomeno a “mettere una toppa”, creando una sorta di “manicotto”
di tessuto, il granuloma, che tenta di circoscrivere il focolaio infettivo.
Il
granuloma o l'ascesso tendono a regredire nel tempo se si esegue una terapia
canalare o “endodontica” adeguata. In tali casi le percentuali di successo si
riducono, ma restano comunque elevate.
Se nonostante queste terapie si andasse incontro alla perdita del o degli
elementi dentari, l’implantologia ci viene incontro come valida possibilità di
sostituzione dei denti persi. Ma di questo ne parleremo quando saremo tornati alla
normalità. Per il momento cerchiamo di mantenere massima cura di ciò che ci ha
dato madre natura, perché né io né nessun altro dentista sarò in grado di
ridarcelo.