venerdì 14 febbraio 2020

La paura siCura di Vacis: viaggio tra le paure nelle periferie urbane e dell'anima


Il documentario “La paura siCura”, diretto da Gabriele Vacis racconta e interpreta le paure del presente attraverso la raccolta di storie personali capaci di agganciare sentimenti collettivi e generali. 

Il progetto de “La paura siCura”, promosso dal Forum Italiano per la Sicurezza Urbana in coproduzione con il Centro Internazionale di ricerca teatrale Inteatro, costruisce idealmente e materialmente un viaggio in Italia attraverso sei laboratori teatrali in altrettante città del Paese: Catania, Genova, Montegranaro, Ravenna, Schio, Settimo Torinese, disegnando la mappa delle maggiori paure nei diversi contesti, per le diverse età dei soggetti coinvolti, in riferimento alle diverse criticità che vengono affrontate.

Da quelle più intime, esistenziali e adolescenziali di tanti ragazzi; a quelle derivanti dai mutamenti in cui le nostre città grandi, medie e piccole sono state coinvolte in questi anni; a quelle, drammatiche, del degrado e della criminalità diffusa e organizzata. 

“Questo progetto – racconta il maestro di strada Nicola Laieta -   vede il coinvolgimento di almeno 50 ragazzi tra alunni della scuola media Aldo Moro di Ponticelli e trenta ragazzi che frequentano i laboratori territoriali delle arti dei maestri di strada. Coinvolge anche studenti universitari di psicologia, di scienze della formazione, e in generale studenti universitari che amano il teatro, come vero e proprio espediente sociale per creare una diversità che non è solo territoriale ma è soprattutto mentale. Aò centro vi è l'apprendimento che avviene in contemporanea tra piccoli e grandi: la mente degli adulti si mette al servizio della mente dei piccoli per vivere assieme questa avventura dell’apprendimento. E’ necessario ripensare la scuola in relazione non solo ai contenuti ma anche e soprattutto alle persone che vanno accompagnate nella conoscenza del mondo. Per fortuna l’associazione Maestri di strada mette al centro della sua metodologia proprio le persone”.



Da Montegranaro nelle Marche ad una Ravenna tranquilla e bizantina, passando per Schio, Settimo Torinese ed altri centri urbani, vari esseri umani si incontrano, restando a distanza di sicurezza o correndo il rischio, di  toccarsi reciprocamente, facendosi così esistere, scegliendo di accogliere, ritrovando l’umanità, riconoscendosi simile all’altro da sé, e percorrendo la via della tenerezza. La vera vittoria, infatti, è scegliere questo sentimento dentro qualcosa, come viene ribadito nel documentario, come la paura e l’angoscia che non prevedono la tenerezza.

 E’ questo gesto fondatore a fugare la paura ed a umanizzare colui che prima era percepito solo come ostile e diverso, privo di quei sentimenti di auto-miglioramento che possono rendercelo affine.
Settimo Torinese è una periferia che poteva diventare delinquenziale, facilmente esposta al degrado, ma che invece, attraverso una serie di azioni improntate al senso civico ed alla convivenza serena, è diventata sana.

Il documentario mostra come tutti si siano sentiti e siano stati trattati come  stranieri in un certo momento del loro percorso.

“Vai a casa tua che mi stai mangiando il pane… e venivo dal Veneto”, ricorda un’anziana signora.

Il regista, richiamando il libro di un noto psichiatra, ricorda come la forma di follia più grande  è quella che viene dall’interno, dalle proprie paure, angosce, fobie. Dai pericoli e dalle strade esterne che ci fanno paura si può fuggire, si possono evitare, si possono scegliere deviazioni… da quelle interne non si può fuggire mai e ci perseguitano.

La paura, come ricorda una ragazza, a proposito dell’atteggiamento materno,  ci porta a stare sempre attenti, vigili, in guardia. In questo documentario vengono presentati i vari volti che può assumere la paura. 



Richiamando le teorizzazioni del sociologo Zygmunt Bauman che parla del Significato della paura nella società liquida, c’è una paura simile all’ansia, una sensazione persistente e incessante di allarme, che mette in dubbio, attraverso un costante processo di erosione, il senso ed il significato del nostro io. Quando, poi, la paura incontra e si mischia con la sfiducia parrebbe esserci la frantumazione dei legami umani, mentre la solidarietà si indebolisce e la diffidenza e l’isolamento prendono il posto della fiducia e della cooperazione.

Ne Il Demone della paura Bauman ci fa presente come la paura sia una compagna costante nella nostra “società aperta”, così come lo spettro della morte. Per sottrarvisi, come all’insicurezza che procura, rafforziamo confini e cesure, ma questi rimangono sfuggenti.

Siamo  esposti si colpi del destino, un’umanità vulnerabile sventurata alla mercé di forze che non comprende e non controlla fino in fondo che di fronte all’incapacità di difendersi, tenta di erigere nuovi muri divisori.

Secondo Adam Curtis non ci sono nuovi mostri terrificanti ma è il veleno della paura che trasuda, fino a saturare quotidianamente l’esistenza umana attraverso la crescente preoccupazione per l’incolumità personale.

Anche secondo l’antropologo Marc Augè , ne Le nuove paure, attualmente gli esseri umani hanno l’oppressiva impressione di vivere immersi nella paura, nell’angoscia e nell’inquietudine, che hanno la sinistra capacità di rendere gli orizzonti più cupi, in maniera indifferenziata, disegnando scenari apocalittici, tra nuove paure, spesso fomentate da media ansiogeni, e sgomenti atavici che riaffiorano alla coscienza.

Viviamo, come evidenzia Vacis, attraverso le parole degli intervistati, in società opulente ma insicure, abitate da una popolazione paurosa, assillate dal timore dello sconosciuto, dell’estraneo ignorante, manipolabile. Non si cerca più il benessere, forse perché lo si ha già, bensì la sicurezza.

“Questo docufilm – evidenzia il giornalista Giulio Baffi, testimonianza del teatro in città – è un altro modo di delineare il suo essere uomo di teatro di Gabriele Vacis e si pone in una soluzione di ideale continuità con uno spettacolo ed una rivelazione straordinarie  Elementi di struttura del sentimento  che significò la possibilità di tradurre il linguaggio letterario in linguaggio teatrale, all’insegna della legittimazione dell’uso di alcuni linguaggi che non avevamo immaginato si potessero adoperare, sancendo il superamento di certe barriere. Rappresentano un’apertura che rende possibile delle poetiche teatrali”.



Secondo quanto evidenziato da Baffi, Vacis, assieme, ad alcuni suoi collaboratori tra i quali una straordinaria Laura Curino, con il suo Olivetti, costruiscono il racconto teatrale, non per letteratura, ma per rappresentazione. Nella convinzione di Baffi,  il teatro è permanenza di un’esperienza che si supera e si riafferma continuamente.

 In tal senso, c’è necessità della memoria del teatro e del repertorio teatrale, in un momento in cui il teatro e il modo di fare teatro è incentrato sulla cancellazione della memoria e il superamento di quello che si fa e caratterizza uno specifico momento. 

“In un momento – continua Baffi -  in cui ad un attore veniva richiesta o la grande interpretazione o l’immiserimento dell’attore che racconta se stesso, proporre una poetica del teatro in cui l’attore racconta, come se stesso, ma attraverso una drammaturgia, pezzi della storia, pezzi della letteratura, da solo, ma in scena moltiplicandosi, è stata un’indicazione per fare teatro molto importante che ha avuto il suo seguito con altri attori interessanti ed importanti che hanno continuato a percorrere questa strada. E’ un’osservazione della realtà rappresentata che troviamo anche in questo docufilm, a parte la bellezza della ripresa, dell’immagine, l’attenzione dei giovani presenti che diventano attori, la gioia della confusione, la grande capacità di coinvolgimento, di  emozionare, che è poi il punto di partenza del fare teatro e del fare spettacolo, di documentare qualcosa che ci appartiene”.

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