Il documentario “La paura siCura”, diretto
da Gabriele Vacis racconta e interpreta le paure del presente attraverso la
raccolta di storie personali capaci di agganciare sentimenti collettivi e
generali.
Il progetto de “La paura siCura”, promosso dal Forum
Italiano per la Sicurezza Urbana in coproduzione con il Centro Internazionale
di ricerca teatrale Inteatro, costruisce idealmente e materialmente un viaggio
in Italia attraverso sei laboratori teatrali in altrettante città del Paese:
Catania, Genova, Montegranaro, Ravenna, Schio, Settimo Torinese, disegnando la
mappa delle maggiori paure nei diversi contesti, per le diverse età dei
soggetti coinvolti, in riferimento alle diverse criticità che vengono
affrontate.
Da quelle più intime, esistenziali e adolescenziali di tanti
ragazzi; a quelle derivanti dai mutamenti in cui le nostre città grandi, medie
e piccole sono state coinvolte in questi anni; a quelle, drammatiche, del
degrado e della criminalità diffusa e organizzata.
“Questo progetto – racconta il maestro di strada Nicola
Laieta - vede il coinvolgimento di almeno 50 ragazzi tra alunni della
scuola media Aldo Moro di Ponticelli e trenta ragazzi che frequentano i
laboratori territoriali delle arti dei maestri di strada. Coinvolge anche
studenti universitari di psicologia, di scienze della formazione, e in generale
studenti universitari che amano il teatro, come vero e proprio espediente
sociale per creare una diversità che non è solo territoriale ma è soprattutto
mentale. Aò centro vi è l'apprendimento che avviene in contemporanea tra piccoli e grandi: la
mente degli adulti si mette al servizio della mente dei piccoli per vivere
assieme questa avventura dell’apprendimento. E’ necessario ripensare la scuola
in relazione non solo ai contenuti ma anche e soprattutto alle persone che
vanno accompagnate nella conoscenza del mondo. Per fortuna l’associazione
Maestri di strada mette al centro della sua metodologia proprio le persone”.
Da Montegranaro nelle Marche ad una Ravenna
tranquilla e bizantina, passando per Schio, Settimo Torinese ed altri centri urbani,
vari esseri umani si incontrano, restando a distanza di sicurezza o correndo il
rischio, di toccarsi reciprocamente, facendosi
così esistere, scegliendo di accogliere, ritrovando l’umanità, riconoscendosi
simile all’altro da sé, e percorrendo la via della tenerezza. La vera vittoria,
infatti, è scegliere questo sentimento dentro qualcosa, come viene ribadito nel
documentario, come la paura e l’angoscia che non prevedono la tenerezza.
E’ questo
gesto fondatore a fugare la paura ed a umanizzare colui che prima era percepito
solo come ostile e diverso, privo di quei sentimenti di auto-miglioramento che
possono rendercelo affine.
Settimo Torinese è una periferia che poteva
diventare delinquenziale, facilmente esposta al degrado, ma che invece,
attraverso una serie di azioni improntate al senso civico ed alla convivenza
serena, è diventata sana.
Il documentario mostra come tutti si siano sentiti e
siano stati trattati come stranieri in
un certo momento del loro percorso.
“Vai a casa tua che mi stai mangiando il pane… e
venivo dal Veneto”, ricorda un’anziana signora.
Il regista, richiamando il libro di un noto
psichiatra, ricorda come la forma di follia più grande è quella che viene dall’interno, dalle
proprie paure, angosce, fobie. Dai pericoli e dalle strade esterne che ci fanno
paura si può fuggire, si possono evitare, si possono scegliere deviazioni… da
quelle interne non si può fuggire mai e ci perseguitano.
La paura, come ricorda una ragazza, a proposito dell’atteggiamento
materno, ci porta a stare sempre
attenti, vigili, in guardia. In questo documentario vengono presentati i vari
volti che può assumere la paura.
Richiamando le teorizzazioni del sociologo Zygmunt
Bauman che parla del Significato della
paura nella società liquida, c’è una paura simile all’ansia, una sensazione
persistente e incessante di allarme, che mette in dubbio, attraverso un costante
processo di erosione, il senso ed il significato del nostro io. Quando, poi, la
paura incontra e si mischia con la sfiducia parrebbe esserci la frantumazione dei
legami umani, mentre la solidarietà si indebolisce e la diffidenza e l’isolamento
prendono il posto della fiducia e della cooperazione.
Ne Il Demone
della paura Bauman ci fa presente come la paura sia una compagna costante
nella nostra “società aperta”, così come lo spettro della morte. Per
sottrarvisi, come all’insicurezza che procura, rafforziamo confini e cesure, ma
questi rimangono sfuggenti.
Siamo esposti
si colpi del destino, un’umanità vulnerabile sventurata alla mercé di forze che
non comprende e non controlla fino in fondo che di fronte all’incapacità di
difendersi, tenta di erigere nuovi muri divisori.
Secondo Adam Curtis non ci sono nuovi mostri
terrificanti ma è il veleno della paura che trasuda, fino a saturare
quotidianamente l’esistenza umana attraverso la crescente preoccupazione per l’incolumità
personale.
Anche secondo l’antropologo Marc Augè , ne Le nuove paure, attualmente gli esseri
umani hanno l’oppressiva impressione di vivere immersi nella paura, nell’angoscia
e nell’inquietudine, che hanno la sinistra capacità di rendere gli orizzonti
più cupi, in maniera indifferenziata, disegnando scenari apocalittici, tra
nuove paure, spesso fomentate da media ansiogeni, e sgomenti atavici che
riaffiorano alla coscienza.
Viviamo, come evidenzia Vacis, attraverso le parole
degli intervistati, in società opulente ma insicure, abitate da una popolazione
paurosa, assillate dal timore dello sconosciuto, dell’estraneo ignorante,
manipolabile. Non si cerca più il benessere, forse perché lo si ha già, bensì
la sicurezza.
“Questo docufilm – evidenzia il giornalista Giulio
Baffi, testimonianza del teatro in città – è un altro modo di delineare il suo
essere uomo di teatro di Gabriele Vacis e si pone in una soluzione di ideale
continuità con uno spettacolo ed una rivelazione straordinarie Elementi
di struttura del sentimento che
significò la possibilità di tradurre il linguaggio letterario in linguaggio
teatrale, all’insegna della legittimazione dell’uso di alcuni linguaggi che non
avevamo immaginato si potessero adoperare, sancendo il superamento di certe barriere.
Rappresentano un’apertura che rende possibile delle poetiche teatrali”.
Secondo quanto evidenziato da Baffi, Vacis, assieme,
ad alcuni suoi collaboratori tra i quali una straordinaria Laura Curino, con il
suo Olivetti, costruiscono il racconto teatrale, non per letteratura, ma per
rappresentazione. Nella convinzione di Baffi, il teatro è permanenza di un’esperienza che si
supera e si riafferma continuamente.
In tal senso, c’è necessità della memoria
del teatro e del repertorio teatrale, in un momento in cui il teatro e il modo
di fare teatro è incentrato sulla cancellazione della memoria e il superamento
di quello che si fa e caratterizza uno specifico momento.
“In un momento – continua Baffi - in cui ad un attore veniva richiesta o la
grande interpretazione o l’immiserimento dell’attore che racconta se stesso,
proporre una poetica del teatro in cui l’attore racconta, come se stesso, ma
attraverso una drammaturgia, pezzi della storia, pezzi della letteratura, da
solo, ma in scena moltiplicandosi, è stata un’indicazione per fare teatro molto
importante che ha avuto il suo seguito con altri attori interessanti ed importanti
che hanno continuato a percorrere questa strada. E’ un’osservazione della
realtà rappresentata che troviamo anche in questo docufilm, a parte la bellezza
della ripresa, dell’immagine, l’attenzione dei giovani presenti che diventano
attori, la gioia della confusione, la grande capacità di coinvolgimento, di emozionare, che è poi il punto di partenza
del fare teatro e del fare spettacolo, di documentare qualcosa che ci
appartiene”.
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