Ad alcuni giorni dalla chiusura della mostra Genesi di Sebastiao Salgado (svoltasi fino al 28 gennaio al PAN di Napoli) , dopo aver fatto decantare le emozioni, è il momento per me di condividerle appieno.
Dedicata all'arte ed ai viaggi in terre selvagge e ai confini del mondo di un fotografo che riassume in sè, per molti versi, anche i tratti dell'etnologo e dell'antropologo, Genesi mescola più anime, più luoghi, più vite, a volte antitetiche.
Prede e predatori, popolazioni del Polo, dell'Antartide e dell'Africa, osservatori ed osservati.
Vita e morte sembrano camminare a braccetto in queste terre, dove cedere al freddo, al caldo estremo, agli animali in agguato ed alle condizioni avverse parrebbe molto più semplice che trovare modi ingegnosi per adattarsi e per sopravvivere.
Ed invece questi modi li hanno trovati popolazioni che vivono in zone opposte del globo: da quelle che sopravvivono allevando renne, a quelle che allevano bufali e ricoprono sia se stessi sia gli animali con cenere ricavata dallo sterco bruciato, per tenere lontani da entrambi gli insetti ed i parassiti.
Spesso la strategia di sopravvivenza sembrerebbe risiedere in uno stile di vita cooperativo, nello stringersi, più forte, nell'abbracciarsi, nel valorizzare le relazioni, tanto tra gli esseri umani quanto tra gli animali.
La galleria di immagini, in un suggestivo bianco e nero, che Salgado regala allo spettatore, assomigliano ad un libro su usi e costumi di persone e animali.
Spesso hanno il sapore e le sfumature sapienti di un ritratto, della china che scivola su un foglio. Di una matita a carboncino che disegna affascinanti alchimie.
Che si tratti di tribù che incidono sulla loro pelle vari simboli, che si inseriscono dischi di ceramica nei lobi e in bocca o si trafiggano il mento con un leggero cono di legno, per poi detergersi il corpo con accuratezza in acque limpide, tutto parla di stili di comportamento e di aggregazione.
Salgado studia anche i comportamenti degli animali: dei pinguini, adulti e pulcini, dei gabbiani, degli albatri, delle foche, dalla bocca spalancata e dagli enormi occhi liquidi, dei leoni marini.
Affascina la maestosità della balena franca australe, con la sua coda possente e il doppio sfiatatoio che fa fuoriuscire piccole gocce d'acqua vaporizzate che vanno a formare una V.
O la corsa dell'elefante africano, che, spaventato dai continui attacchi a tradimento dei bracconieri, carica la jeep del fotografo, per poi andarsi a nascondere nel folto degli alberi.
A colpire è non solo la professionalità e la perizia con cui le foto sono state scattate, e che è impossibile non riconoscere anche per un profano, ma anche la passione, la forza espressiva, che sgorga dallo sguardo attento di un uomo cresciuto in una fattoria, che spesso si rifugiava in un luogo isolato e scrutava la vetta delle montagne in lontananza, sognando un giorno di andare a scoprire cosa ci fosse oltre.
E così ha fatto, con testardaggine ed in barba alla sua non più giovane età. Lo ha fatto con ogni mezzo: treni, carovane locali e persino mongolfiere.
Un'osservazione partecipante in tutto e per tutto la sua.
Ma che molte di quelle popolazioni, alcune conosciute per il loro cannibalismo attuato nei confronti di nemici e di "stregoni" di tribù antagoniste, hanno accolto e lasciato osservare, perchè hanno percepito la sua richiesta genuina di un' alleanza comunicativa, in cui chi ritrae chiede a chi è ritratto di raccontare, con autenticità, qualcosa di sè.
Le emozioni a volte non hanno voce ma si riversano in parole ed immagini.
Gli scrittori ed i fotografi sono legati da un sottile e tenace fil rouge: scrivono storie, raccontano quello che le loro orecchie hanno udito ed i loro occhi visto e quelle emozioni che hanno sfiorato e si sono insinuate sotto la pelle.
I primi lo fanno con le parole, i secondi, parafrasando le parole di Salgado, disegnano storie tessendo fili di luce, intrecciando i chiari e gli scuri.
Nelle opere di un maestro come Salgado c'è tutto un mondo fatto di parole, suoni, colori, odori, sapori. Le popolazioni indigene, secondo il suo racconto, gli parlavano come se lui stesse registrando. Perchè, come sottolinea il regista Wim Wenders nel docufilm Il sale della terra, sono le persone la linfa che nutre i luoghi.
E quelle persone sentivano, percepivano nettamente, l'anima di quel fotografo esploratore, che sapeva raccontarne, attraverso le immagini, gli usi e le tradizioni. Con rispetto ed empatia. A lui, ripete spesso Wim Wenders, interessava davvero delle persone. E, nelle sue foto, c'è sempre l'incontro, ribadisce lo stesso Salgado, di due anime. Quella del fotografo e quella di chi alla fotografia si dona e si affida. L'Antartide e le gole del Gran Canyon; le riserve Navajo e gli sprazzi della vita degli animali e delle tribù indigene. La magnificenza delle piante più grandi ed il microcosmo di quelle più piccole, che hanno scelto di vivere, di adattarsi e resistere (così come gli uomini) in ambienti inospitali.
Le finestre aperte su una vita caratterizzata dalla continua necessità di trovare strategie di adattamento che permettano di avere la meglio nella partita a scacchi con un clima e delle condizioni ambientali estreme. Fino ad arrivare alle calde terre d'Africa, non meno ricche di fascino, ma altresì di insidie. Salgado è molto più di un fotografo. E' cantore, attraverso le sue trame di luce, di frammenti di storia e memoria.
Di quelle distese che si spera non scompaiano, aggredite dagli effetti distruttivi della cupidigia umana e di quegli animali e di quelle popolazioni che, a volte sostenendosi a vicenda, si muovono tra miti e riti (incisi sulla pelle e che solcano il loro corpo). Sembra di sentire sulla pelle la dolcezza dello zefiro o la calura appiccicosa della foresta pluviale, i morsi del gelo e l'ardimento che riempie il petto, qualora si lanci lo sguardo verso i filamenti di nubi, che si specchiamo e si confondono con la foschia e gli spruzzi che si sollevano dai fiumi. Così intrecciati che, spesso, pare difficile distinguerli. E resta nel cuore la maestosità di quel corso d'acqua dai riflessi neri laddove i suoi rivoli si incontrano e fanno l'amore con un lembo di terra scura e riarsa.
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