domenica 26 febbraio 2023

Io sono Fedra: al teatro Tram una tragedia di amore e tentativi di riscatto

 In Io sono Fedra di Marina Salvetti, in scena al teatro Tram fino a oggi, domenica 26 febbraio con la regia di Gianmarco Cesario, assistiamo ai conflitti che albergano in ognuno di noi.

Infatti, in tutti i personaggi, come ci racconta il regista, alberga luce e ombra. Nessuno è esente da zone oscure e, proprio per questo, il regista, nella resa scenica, ha fatto grande uso dei chiaroscuri, a indicare un'oscurità che dall'interno esonda e si palesa all'esterno.


La stessa conflittualità intride anche i dialoghi che spesso vengono origliati nell'ombra. Come evidenzia l'attrice Titti Nuzzolese, che dà le fattezze a Fedra, su ogni cosa spira un'aura di sacralità simile a quella che permea i testi originari: l'Ippolito di Euripide e la Fedra di Seneca, oggetto di un'operazione di attualizzazione. Mentre nell'originale avevamo una consacrazione alla dea Diana, ora abbiamo una consacrazione a Dio Padre che in entrambi i casi viene in qualche modo tradito. 

Ippolito, infatti, si trincera dietro una fede dogmatica e si fa scudo con regole rigide che generano facili giudizi. 

Fedra, nonostante la cerchi disperatamente, non arriva mai a sviluppare una reale e sentita fede, ma si rifugia nel seminario per convenienza, per sfuggire al suo passato e affrancarsi da legami pesanti è scomodi. 

Ciononostante  per entrambi il seminario rappresenta un luogo di ritrovata pace e di salvezza possibile.

 Il personaggio di Fedra è protagonista di un conflitto lacerante, erosivo e feroce. Cerca di salvarsi, ma non riesce mai ad affrancarsi veramente dalle sue origini e dal marchio della sua famiglia, abitata da sopruso e violenza. 

Il giudizio più pesante proviene proprio da sé stessa che non si ritiene meritevole, in fondo, di ciò che ha legittimamente conquistato e di un amore puro e disinteressato. E' vittima di bullismo, perché Ippolito Costantini attiva la macchina del fango, andando a sminuire la radice stessa della sua identità, con lo scopo di dare origine a un passaparola di maldicenze, come sottolinea il regista Gianmarco Cesario.



Gli attori in scena (Titti Nuzzolese, Antonio Buonanno, Errico Liguori, Antonello Cossia) danno anima e sangue a personaggi, che si dibattono tra conflitti e umanissime fragilità, in cui i desideri e gli istinti negati si insinuano sotto la pelle e rischiano di deflagrare con violenza.

Ora lasciamo la parola a Titti Nuzzolese, affinché dia voce alla sua Fedra, ai suoi conflitti multipli, ma anche al suo bisogno di riscatto, che rifugge da un'interpretazione della fede estremista, alla ricerca di quella pietas e di quell'empatia che ci può salvare dall'inferno peggiore: quello dei pregiudizi e degli stereotipi, che non ci consentono di vedere il vero volto delle persone che abbiamo di fronte e di percepirne l'essenza.

L'INTERVISTA

D. In cosa Chiara/Fedra rimane fedele al personaggio originario in cosa se ne discosta?

R. Resta sicuramente l’aspetto psicologico, seppure il dramma si svolga in altra epoca e contesto, resta vivo il tormento di una donna che sente di custodire il seme del male e di non riuscire a conviverci e a trovare un equilibrio. 

D. L'attualizzazione/trasposizione sposta la proibizione dal tema dell'incesto a quella della consacrazione a Dio. Qual è  il fil rouge

R. Anche nel testo di Euripide è presente forte una sacralità che interviene sui personaggi, ovviamente prima di tutto su Ippolito. In questo caso ci muoviamo in un contesto fortemente cattolico che rappresenta per entrambi i personaggi una rinascita ed anche un modo di dare senso alla propria esistenza. Tuttavia questo Padre, inteso come Dio, viene da entrambi tradito, Fedra non si riconosce fino in fondo nella fede e Ippolito fa della fede uno scudo per le proprie fragilità. Lei si sente una minaccia per il percorso di Ippolito che sente “pulito” rispetto al suo passato. 

D. Quant'è  stato difficile calarsi nei panni di un personaggio che vive conflitti così forti con sé stessa, tra voglia di riscatto e vergogna?

R. Dare verità ad un dolore così distruttivo non è stato facile, ho sentito immediatamente il bisogno di allontanarmi dal ragionamento e lavorare di pancia, cercando sentimenti talvolta violenti affinché diventasse per me plausibile il gesto estremo nella nostra attualità. Devo dire che  il contesto in cui si svolge tutta l’azione scenica mi ha aiutata tantissimo.

D. Alcuni passaggi si muovono tra il pedagogico e il didascalico. Si esplicita che occorre essere pieni di empatia e pietas e che le regole a volte vanno violate non per convenienza o vigliaccheria ma per coraggio e in cerca di salvezza. Secondo te è  stata un'operazione necessaria dati i tempo che viviamo per rendere il messaggio chiaro, univoco, inequivocabile e incisivo?

R. Credo che oggi più che mai si ha necessità di tornare all’essenza.  Soprattutto quando si parla di fede. Troppo spesso ci troviamo ad assistere ad un utilizzo improprio e fanatico della fede, per cui ho trovato molto interessante portare a teatro ragioni e pensieri che parlano di semplicità e ascolto e non di inutili e talvolta pericolosi stereotipi.