Un'imponente mostra, che Napoli ha il privilegio di ospitare fino al 1 luglio, per la prima volta in Italia, che ripropone le riproduzioni fedelissime di alcuni degli 8000 guerrieri di terracotta, sepolti assieme all'imperatore, nella necropoli che doveva riprodurre il suo microcosmo. Quindi, il palazzo ed il suo entourage, con l'esercito a guardia, pronto a difenderlo dall'attacco dei nemici, la famiglia, le concubine, gli alti dignitari, il corpo amministrativo, la servitù e tutto l'insieme di comodità che avevano contraddistinto la vita di questo "imperatore" cosmico, che si era autoproclamato tale ed era riuscito ad unificare ed a governare un regno immenso, per la prima volta, ponendo fine ad annose e sanguinarie guerre intestine tra piccoli Stati, di cui però solo sette costituivano i più influenti.
La mostra, attraverso quello che è stato recuperato dalla necropoli a partire dal 1974 (le prime statue furono rinvenute da un contadino che stava scavando un pozzo per irrigare gli alberi della sua piantagione di loto, durante un periodo di siccità), è un importantissimo strumento di ricostruzione storica e di analisi socio-antropologica della vita dell'epoca, della condizione politica, dei processi espansivi e degli intrighi di corte, oltre, naturalmente agli strumenti e alle tecniche di combattimento.
LA STORIA
La dinastia Qin emerge dal fallimento della longeva dinastia Zhou. Il giovane successore, che salirà al trono all'età di soli 13 anni (anche se affiancato e rappresentato dal suo consigliere fino a 21 anni, data la giovanissima età), vede da subito adombrata la sua vita dagli intrighi di corte, dato che è figlio di una ex concubina, Lady Zhao, che prima è amante del consigliere in carica e poi viene sposata dal re. In seguito alcuni, dunque, metteranno in dubbio la paternità del giovane re e quindi il suo legittimo diritto di successione.
Il progetto di espansione di Qin Shi Huangdi (questo è il nome con cui il regnante si autoproclama imperatore di tutta la Cina) prevede alleanze con gli Stati più remoti, con cui non ci siano confini comuni, e guerre intraprese nei confronti degli Stati più vicini con interessi territoriali conflittuali.
Inoltre, l'imperatore avvia, con successo, una serie di riforme amministrative: un unico registro demografico, un unico sistema di pesi, un unico tipo e stile di scrittura, un sistema di accesso alle cariche basate su merito e competenza e dà molta importanza alla tutela e alla promozione della legalità.
L'ESERCITO DI TERRACOTTA
Dei circa 8000 guerrieri che si ritiene affollassero la necropoli del primo imperatore della Cina ne sono stati rinvenuti finora circa 1600. L'orientamento archeologico attuale è quello di non continuare a disotterrare reperti archeologici di inestimabile valore, laddove e fin quando non si sia sicuri di poterli tutelare e valorizzare pienamente. Altrimenti che si lasci che la terra generosa li continui a proteggere lì dove lì ha protetti e salvaguardati per millenni.
La costruzione della necropoli fu iniziata quando l'imperatore salì al trono a 13 anni. Egli volle che fosse costruita lontano dalle tombe degli antenati, perchè Qin Shi voleva segnare, anche metaforicamente, attraverso una serie di tratti distintivi, una frattura con il passato e l'inizio di una nuova epoca , contraddistinta dalla sua magnificenza indiscussa. Tant'è vero che aveva deciso che le sue dinastie successive si sarebbero chiamate seconda, terza, quarta, fino all'infinito. Purtroppo non andò così. A succedergli, infatti, fu solo il figlio, prima che il regno si disgregasse e piombasse nel caos.
Ci vollero 36 anni per completare la necropoli, attraverso l'impiego di migliaia di operai.
La necropoli, però, non fu completata secondo lo schema originario (già oggetto, nel corso degli anni, di numerose espansioni), perché nel 210 a. C. l'imperatore morì improvvisamente durante un viaggio militare, forse avvelenato da quella stessa mistura che assumeva per vedersi assicurata la vita eterna, e che si è poi scoperto contenere un elemento chimico in massicce quantità altamente tossico, in grado di portare alla morte se assunto quotidianamente.
L'esercito è disposto per file, al pari di quello reale.
Nella prima vi sono i fanti leggeri, ricoperti solo da vesti lunghe, tali da assicurare loro mobilità e velocità dei movimenti, ma anche perché le armi e le armature, con la protezione che ne conseguiva, si guadagnavano solo con il tempo, i rischi assunti e le vittorie riportate.
Poi ci sono i fanti dall'armatura "pesante", gli arcieri, con i loro archi, capaci per forma e caratteristiche, di attraversare i secoli, gli ufficiali di rango basso, medio e alto, con le loro armature fatte di lacci di cuoio indurito dalla lacca e tenuti insieme da nastri colorati (alcuni con una doppia copertura sul petto e sulla schiena e sotto, vari strati di vestiario), il copricapo a farfalla o adornato di piume di fagiano e l'acconciatura bassa, ed i generali (ve ne sono solo due nell'ultima sala della mostra, che ripropone la magnificenza di parte dell'esercito, carri compresi) con le scarpe quadrate, dalla punta rialzata, e l'armatura fatta di frammenti dai colori sgargianti o neri.
Molto importante anche il ruolo dei cavalli, utilizzati in ogni settore della vita cinese, per arare, per tirare i carri ed in battaglia.
Inizialmente viene utilizzata una razza, tipica della steppa, molto tozza e poco agile, della stessa altezza del guerriero (come testimonia una statua), ma tenace e resistente agli sforzi.
Con il cambiare dei metodi di battaglia verranno utilizzati i cosiddetti Celeste, una razza molto più alta, veloce ed agile. Anche l'utilizzo dei carri cambia. Verranno, infatti, utilizzati soprattutto per trasportare persone, equipaggiamenti e vettovaglie, ma non in battaglia, perché le ruote si bloccavano nei terreni paludosi e fangosi. Anche le ruote progressivamente vengono modificate, divenendo più piccole e con un numero superiore di raggi.
Queste modifiche funzionali sono testimoniate anche dalla riproduzione in scala di due tipi di carro: uno dotato di un ombrello alto oltre un metro e l'altro, chiamato carro dalla temperatura regolabile o dello spirito, dotato di un doppio ambiente, uno destinato al cocchiere, che guidava il carro in ginocchio, e l'altro al trasporto degli alti dignitari di corte, che vi potevano anche dormire, con l'ingresso ricavato nell'area posteriore del veicolo.
LE TECNICHE DI COSTRUZIONE
Queste statue, le cui dimensioni sono leggermente più grandi del reale, tra 1,66 e 2,02 metri, furono costruite dai sapienti artigiani dell'epoca secondo una tecnica via via standardizzata ed in qualche modo seriale.
Furono creati 8 stampi per le teste e apposti stampi anche per piedi, braccia e mani.
I vari pezzi poi venivano cotti ed assemblati dal basso verso l'alto, cioè dal basamento, dai piedi e dalle gambe, fino alle mani ed alla testa, infilata in una scanalatura (mentre le mani venivano infilate nella tunica con l'aiuto di un attrezzo di legno).
L'argilla doveva essere abbastanza corposa e indurita da reggere il peso della parte superiore ma abbastanza morbida e flessibile da continuare ad essere modellabile.
Come si spiega la varietà di espressioni facciali, data il ricorso ad un tipo di produzione in qualche modo standardizzata?
Questo aspetto nevralgico si deve alla bravura degli artigiani, che prima della cottura (il forno doveva essere di notevoli dimensioni data l'imponenza delle statue e non lontano dalla necropoli, perché il peso non permetteva di trasportarle per lunghi tratti, ma non è stato ancora rinvenuto allo stato attuale), modellavano le espressioni facciali nella terracotta ancora fresca e modificavano la postura di gambe, braccia e mani, a seconda che si trattasse di un fanciullo, un fante, un arciere o un auriga.
Un'altra modifica veniva fatta ad orecchie, occhi, sopracciglia e baffi dopo la cottura e il tutto veniva completato con la pittura delle statue, momento in cui venivano inseriti ulteriori elementi mimici di differenziazione.
IL CONTROLLO QUALITA'
Qin Shi era molto attento alla qualità di tutti i materiali utilizzati, affinché fossero di primissima scelta e aveva fatto in modo da rendere ricostruibile l'intera filiera.
Il laboratorio artigiano, infatti, doveva rendere individuabile la propria ubicazione ed apporla sulla statua e il capomastro doveva essere rintracciabile, in caso di un difetto di fabbricazione, apponendo il proprio sigillo e vergando il proprio nome in un angolo dell'opera.
CURA ESPOSITIVA
La mostra presenta una cura eccezionale nella redazione dei pannelli espositivi, che ricostruiscono la vita dell'epoca, la periodizzazione, i processi di espansione, le lotte intestine e gli intrighi di corte, le figure chiave, le tecniche di guerra, nonché le caratteristiche minuziose delle statue esposte.
Di pregio anche il materiale audiovisuale a corredo.
Una notazione va alle panche poste strategicamente, affinché lo spettatore possa riposarsi ma anche leggere ed ammirare alcune sezioni della mostra stessa.
I GEMELLAGGI
Una mostra che propone un ulteriorie arricchimento di visioni e prospettive grazie al dialogo con altre forme di cultura ed arte e la collaborazione con realtà virtuose del territorio.
Dalle degustazioni di tè, come quella a cura di Qualcosa di tè, il primo tea shop partenopeo, che ripropongono, magistralmente, la solennità dell'antica cerimonia che a questa bevanda è dedicata; agli approfondimenti dedicati all'arte funeraria, realizzati in collaborazione con il MANN, il Museo Archeologico Nazionale partenopeo, diretto da Paolo Giulierini. Fino ad arrivare alla realizzazione delle visite dei medici cinesi, ospiti del'Istituto dei Tumori e fondazione G. Pascale ed al concerto, suggestivo ed intenso, Nessun Dorma.
**Le foto sono opera di Francesco Minopoli.
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