Il regista Justin Baldoni ha avuto modo di conoscere più da vicino la
fibrosi cistica nel corso di una serie di documentari, My last days, che
racconta la vita di malati terminali, una puntata delle quali era dedicata
proprio a questa patologia, ed ha ispirato il personaggio femminile alla figura
di Claire, purtroppo scomparsa di recente, lo scorso 2 settembre, a causa di
alcune complicazioni sorte dopo il trapianto di polmoni.
La ragazza, con cui il regista aveva stretto amicizia, era diventata
un’importante youtuber ed influencer, grazie alla battaglia condotta attraverso
il web per far conoscere la fibrosi cistica, umanizzando la malattia. Tra le
sue riflessioni un posto nevralgico aveva assunto anche la sfera affettivo-sessuale
e le riflessioni sorte dalla difficoltà di rapportarsi ai propri coetanei in
quest’ambito.
Forse Justin Baldoni ha anche voluto, attraverso questa
pellicola, ipotizzare e rappresentare un destino diverso per Claire.
Il film è indubbiamente congegnato per carpire l'attenzione
di un pubblico adolescenziale (che però si divide tra schermo cinematografico e
schermo del cellulare e spesso quest’ultimo sembrerebbe avere la meglio) per
toccare le corde delle emozioni, battendo su alcuni tasti ben troppo noti e già
visti del teen drama, come Colpa delle stelle ed Il
sole a mezzanotte, pur introducendo elementi di riflessione nuovi.
Amare, infatti, vuol dire sfiorarsi corpo ed anima. Vuol
dire abbracciarsi e, con quell'abbraccio, trasmettere accoglienza e presenza,
conforto e vicinanza. In un abbraccio, in un tocco, è racchiuso il proprio
mondo, fatto di gioie, paure, trasporto, trepidazione, che si decide di
condividere con l'altro, senza distanze e cesure, attraverso il contatto pelle
a pelle.
Ma quando questo è precluso, per le più svariate ragioni, in
questo caso a causa della fibrosi cistica, entra subito in gioco, per chi lo
permette, il contatto dei pensieri, delle esperienze, la possibilità e
necessità di guardare l'altro negli occhi per ritrovarsi vicini, ma lontani,
simili e differenti. Perchè abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi davvero,
senza paura, e ci riconosca al di là delle etichette, degli stereotipi, delle
ferite e dei graffi, quelli che abbiamo sul corpo e sull’anima...
"Non siamo ragazzi normali - dice Poe - a noi alcune
cose non capitano tutti i giorni". Ma le relazioni, le emozioni, lo spazio
condiviso, ci restituiscono la possibilità di decidere per la nostra vita e di
essere davvero nel mondo.
La distanza emotiva e psicologica che da sempre scandisce il
ritmo del progressivo allontanamento dal partner, trasformando l’attrazione in
distanza, creando tensioni, incomprensioni, rotture, ed inasprendo le logiche
dell’amore e persino quelle del desiderio, che di solito riesce a tacitare le
obiezioni della ragione, qui viene resa tangibile.
Non si può stare insieme, e non lo si deve fare, perché si è
distanti non tanto nella visione delle cose e nell’approccio al mondo (e lo si
è dato che Stella è metodica e con l’ansia del controllo, tant’è vero che lei
stessa ammette di essere un tantino ossessivo-compulsiva, proprio per
riequilibrare la mancanza di controllo sul presente e sul futuro impostale
dalla malattia, mentre Will sembrerebbe essere allergico a tutte le regole ed
ha l’unico scopo di diventare maggiorenne per poter finalmente decidere della
propria vita, sospendere qualsivoglia cura e viaggiare per il mondo), quanto
perché la distanza fisica è necessaria a garantire la salute residua e quindi
la sopravvivenza.
Non è più un problema di differenze caratteriali, di scontri di visioni, di sensibilità e di
aspettative, bensì il nodo critico è marchiato, impresso indelebilmente, nel
corpo e passa attraverso il respiro che, se da una parte permette all’essere
umano di rimanere in vita, ed è quindi necessario salvaguardarlo strenuamente,
nel caso di due ragazzi, malati di fibrosi cistica, che rischiano di “passarsi
i batteri”, ed uno, il B- cepacea, appare particolarmente resistente tanto da
impiantarsi stabilmente nel corpo-ospite, cronicizzando, diviene vincolo,
confine invalicabile, privandoli del contatto vitale con il corpo dell’altro.
Il paradosso che la pellicola propone, dunque, è quello di
una distanza necessaria a preservare la vita che finisce, però, per privare
l’individuo del proprio legittimo slancio vitale, di quella linfa che sgorga
dal contatto con l’altrui corpo.
Probabilmente, però, sembrerebbe esserci anche un altro motivo
per cui un film che per troppi versi preme l’acceleratore su toni emotivi scontati,
onde favorire la lacrimuccia, piace. L’idea che in un’epoca di
intercambiabilità e relazioni usa e getta, come denunciano alcuni sociologi
contemporanei, con in testa Zygmunt Bauman, caratterizzata da un’estrema
sessualizzazione delle relazioni e dalla ricerca quasi ossessiva di interazioni
semplici, che non diano pensieri, due anime e due corpi possano riconoscersi
simili e complementari a tal punto da sfidare le logiche avverse, persino
quelle inscritte nella loro malattia.
Questo potrebbe essere definito come un film “a rilascio
lento”. Infatti, mentre lo si guarda, soprattutto se l’occhio non è quello di
un adolescente, spiccano subito tutti i difetti: la trama che in certi punti
cede rovinosamente, alcune comode banalizzazioni, il voler creare l’effetto
dramma, spesso in maniera davvero eclatante, lo spingere con forza su alcuni
tasti emozionali , fino ad arrivare ad alcune incongruenze, crepe e salti
temporali.
Il lavorio emotivo, però, erompe nei giorni successivi, quelli in
cui le emozioni sembrano ritornare sul cosiddetto luogo del delitto e non si riesce a non ripensare a quei due
ragazzi, rappresentanti di tanti altri possibili teenager: così ci si ritrova a
cercare informazioni sulla fibrosi cistica in rete, ad informarsi su quel
batterio tanto resistente, sperando che non sia poi tanto pericoloso e cattivo, che gliela si possa fare, ed a
sperare che tanti adolescenti come quelli interpretati dai due attori, senza
dimenticare l’amico del cuore, Poe, interpretato da Moisés Arias, possano davvero
vivere appieno la propria occasione di esistere ed amare “a pieni polmoni”.
Nessun commento:
Posta un commento