Lunedì 15 aprile, alle 17.30, verrà presentato a
Montecitorio, nella Sala Aldo Moro, il volume Loveability, edito da Erickson, un momento per riflettere,
confrontandosi, sul tema del diritto alla sessualità delle persone con
disabilità.
A partecipare Maximiliano Ulivieri, curatore del volume e
presidente del Comitato LoveGiver,
Fabrizio Quattrini, psicoterapeuta sessuologo e docente presso l’Università
degli Studi dell’Aquila, Carmelo Comisi, presidente dell’associazione Disability Pride, Marica Pugliese, tra i
referenti del centro d’ascolto Duchenne
dell’associazione Parent Project,
Viola Tofani dell’associazione Luca Coscioni e Anna Pierobon, operatrice
all’emotività, all’affettività ed alla sessualità per persone con disabilità LoveGiver. Sul fronte politico: il
presidente della Camera, Roberto Fico ed i deputati del Movimento 5 Stelle
Francesca Troiano e Lorenzo Aldo Penna. A moderare l’incontro il giornalista
Onofrio Dispenza.
Un’occasione preziosa per una possibile rivalutazione del
progetto arrivato in Senato, in precedenza, grazie al sostegno del senatore Sergio
Lo Giudice. Attualmente, però, a causa della mancata rielezione di Lo Giudice,
il disegno di legge 1442, essendo stato solo calendarizzato ma non discusso in
tempo, è decaduto.
Sulla linea dell’orizzonte lo sviluppo di un percorso
universitario, organizzato da Quattrini, sotto forma di un master di I livello,
incentrato sui temi della disabilità, dell’affettività e della sessualità, rivolto,
come potenziali interlocutori, a medici, infermieri, sociologi e assistenti sociali.
Saranno loro, infatti, a formarsi per diventare supervisori dei futuri
operatori all’emotività, all’affettività ed alla sessualità per persone con
disabilità.
La data d’avvio della prima edizione è fissata per il 2020.
Nell’attesa di scoprire i risvolti di quest’incontro ormai
vicino, ne abbiamo approfittato per fare il punto della situazione con Fabrizio
Quattrini, ripercorrendo le tappe del progetto LoveGiver e del percorso di formazione degli O.E.A.S.
DOVE ERAVAMO
Tutto è nato nel 2013 quando Maximiliano Ulivieri, ideatore,
fra gli altri, del sito www.diversamenteagibile.it, dedicato ad un turismo
accessibile, che conosce il mondo della disabilità “dall’interno”, dato che è
affetto da una neuropatia motorio-sensitiva ereditaria, fonda il Comitato LoveGiver e lancia la proposta di
prevedere quella che allora viene definita assistenza
sessuale.
Infatti, i potenziali utenti di questo tipo di sostegno sarebbero
proprio le persone con disabilità, in special modo grave e gravissima.
Nel 2014 comincia un ragionamento più articolato e
strutturato sul progetto che viene trasformato in un disegno di legge che
approda in Senato. Nel 2014 esce anche il libro Loveability, che può essere considerato, a tutti gli effetti, un manifesto scritto a più mani, come
sottolinea Quattrini. Già all’atto della presentazione del disegno di legge si
segnala una svolta evolutiva nel progetto, poiché il termine assistenza
sessuale viene sostituito con quello di operatore all’emotività, all’affettività
ed alla sessualità per persone con disabilità.
“La locuzione assistenza sessuale - racconta Quattrini – risultava troppo
fuorviante e facilmente accostabile alla prostituzione. Di conseguenza, in
raccordo anche con il senatore Lo Giudice, abbiamo deciso di sostituirla
con quella di operatore all’emotività,
all’affettività ed alla sessualità, che sgancia definitivamente questo ambito
da quello del sex working, andando,
invece, ad individuare una persona formata per operare un intervento mirato”.
Negli altri Paesi il sex
worker, come sottolinea il sessuologo, pratica anche l’assistenza sessuale
alle persone con disabilità, ma il termine rischiava di risultare monco
e non sufficiente per spiegare il percorso proposto in Italia dal
Comitato LoveGiver.
La definizione di operatore all’emotività all’affettività ed
alla sessualità, secondo quanto ribadisce Quattrini, fa comprendere
immediatamente che la questione non è riducibile solo al fare sesso ma che
intercetta anche tutta una serie di bisogni emotivi, con lo scopo di condurre
la persona al riconoscimento del piacere, ma anche e soprattutto per renderla
autonoma e consapevole nel contatto con il proprio corpo.
“L’operatore – evidenzia Quattrini - arriva a praticare la
masturbazione alla persona con disabilità come possibilità estrema e solo per
quei soggetti che abbiano gravi compromissioni nell’attività masturbatoria e
non abbiano mai lavorato sulla propria autonomia”.
Prima di arrivare all’eventuale, e non scontata, fase della
masturbazione, in base alla spiegazione dei promotori, vi è tutto un percorso
che permetta di comprendere la reale condizione vissuta dalla persona con disabilità,
dopo un’attenta valutazione dell’educazione sessuale e corporea posseduta.
IL PERCORSO
Nell’estate del 2014 comincia la selezione degli aspiranti operatori,
mentre tra il 2015 ed il 2016 coloro che sono stati selezionati siedono tra i
banchi per la fase di formazione in aula. Nel 2017 si comincia a strutturare
l’alternanza tra le 200 ore di teoria e le 100 ore di tirocinio. Sulla tabella
di marcia del 2019 sei persone risultano
seguite sul campo nell’ambito di alcuni tirocini resi possibili grazie all’attivazione
di convenzioni con enti ed associazioni afferenti all’Osservatorio Nazionale
sull’Assistenza Sessuale italiana.
“Applichiamo un protocollo formativo ed operativo – spiega
Quattrini - strutturato secondo
parametri e fasi ben precisi. Cerchiamo di rendere concretamente sostenibile il
percorso formativo, prevedendo una quota di partecipazione poco dispendiosa a
livello economico. Siamo consapevoli di dover completare la parte che riguarda
l’approccio alle disabilità psichiche e cognitive, che attualmente costituisce
una parziale lacuna nell’iter conoscitivo, ma nel frattempo abbiamo voluto far
partire il lavoro sul campo”.
Rispetto ai potenziali beneficiari del futuro intervento,
secondo quanto spiegano ancora i promotori, è prevista un’attenta valutazione
del loro grado di consapevolezza sessuo-corporea, affinché possano assumere una
progressiva confidenza con il proprio corpo, per poi permettere loro di
comprendere come funzioni il motore del
desiderio e farglielo sperimentare.
Nel percorso che li condurrà ad un contatto autentico ed
autonomo con il loro corpo, inteso come un corpo sessuato e desiderante, si cerca innanzitutto di comprendere
perché, nell’ambito del contesto familiare, la persona con disabilità non sia
stata educata alla gestione della propria privacy e perché non gliene venga
riconosciuta una sfera sua propria.
“Il contesto familiare e relazionale – continua Quattrini –
rappresenta un ambito nevralgico all’interno del progetto”.
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