giovedì 4 giugno 2020

La rivincita: la speranza che sopravvive al dolore


E’ disponibile gratuitamente da oggi, giovedì 4 giugno, su Raiplay il film La rivincita per la regia di Leo Muscato con Michele Venitucci, Michele Cipriani, Deniz Özdoğan, Sara Putignano, e con la partecipazione di Giuseppe Ciciriello, Vittorio Continelli, Francesco DeVito, Franco Ferrante, Domenico Fortunato. 



Una produzione Altre Storie con Rai Cinema Channel, prodotto da Cesare Fragnelli e realizzato con il contributo della Regione Puglia e di Apulia Film Commission.
Un film popolato da archetipi, come spiega Michele Santeramo, autore dell’omonimo libro da cui la pellicola è tratta. I protagonisti sono i cosiddetti nuovi poveri, quelli che si sono sentiti risucchiare da un presente senza certezze e da un futuro senza apparente speranza.

“Ho voluto puntare lo sguardo – spiega Santeramo – su un segmento ed un territorio ristretti, così da aver modo di arrivare fino in fondo, di scavare in profondità, intercettando sentimenti che possono diventare universali”.

E’ quello che accade, ad esempio, con il vecchio contadino che piange di fronte al taglio dei suoi olivi secolari. Il suo sguardo pieno di sofferenza e sdegno e  l’anatema “Vergonatevi!” gridato verso gli esecutori di un vero e proprio martirio, l’unica forma di ribellione che gli viene concessa mentre lo trascinano via, ci fa entrare nel cuore pulsante e sanguinante di un dolore vivo e ci spinge a considerare chi compie quell’azione truce al pari di un assassino. 



 Ad abitare il film sono quelli che devono lottare, come ricordano i protagonisti, per l’ottenimento delle cose più normali e per trovare, scavando e ferendosi le mani, alcune risorse insperate. Andando al di sotto ed oltre la superficie, come sottolineano gli ideatori, questo film rivela di essere anche e soprattutto un film sull’amore incondizionato, capace di sopravvivere al dolore ed alla disperazione.

Secondo Elena Capparelli, direttore di Rai Digital, è fondamentale che si sia aggiunto un altro tassello, un altro sguardo, un’altra prospettiva orientata verso un’umanità che non può mai riposare.

A conferire ai personaggi, già di per sé brechtianamente di carattere,  ulteriore spessore, ci pensano gli attori, un nucleo portante di estrazione teatrale, come evidenzia il regista, che con un apparente minimo sforzo riescono a raggiungere la massima resa emotiva, toccando tutte le corde dell’interiorità. 

La pellicola, come ribadisce Muscato, coagula pezzi di anima e di sentimento di cui gli attori si fanno vettori per arrivare allo spettatore.



“I due fratelli – evidenzia Michele Venitucci – rappresentano due personaggi complementari, la cui esistenza è necessaria e speculare l’una all’altra. Pur trattandosi di una sorta di personaggi verghiani della contemporaneità, estremamente realistici, la cifra narrativa è diversa e si innesta sui sentimenti, non seguendo necessariamente la strada lineare della verosimiglianza. Essi appartengono ad un luogo e ad un tempo, per quanto non sia esplicitata alcuna datazione, ma potrebbero benissimo essere senza tempo ed abitare un non luogo, un qualsiasi Sud del mondo”.

I protagonisti, secondo quanto ribadisce Cipriani, sono “uomini di carattere”, che posseggono sogni semplici, ma molto forti e voluti. Sogni che diventano una missione da perseguire, i cui artefici non abdicano mai a specifiche caratteristiche morali ed etiche.

Anche quando, per causa di forza maggiore, provano a percorrere la strada del compromesso, non arrivano mai all’abbrutimento totale e non rinunciano alla loro radice salda di profonda umanità e compassione.



“Non appare prevalente – continua Cipriani – l’adozione di un approccio realistico nella costruzione del personaggio. Ognuno conosce o è entrato in contatto con storie simili, ma nella narrazione si è provato a non generalizzare, bensì a raccontare questa specifica storia anziché quella dello stereotipo del povero sfortunato”.

Se i personaggi maschili appaiono speculari, lo stesso processo si attiva per quelli femminili, che incarnano due modi opposti di vivere la maternità. 

“Si tratta di una storia – dice Deniz Özdoğan -  che nutre un seme potente, tale da delineare un suo percorso. Una storia bella, umile, audace che, grazie a questo mix di elementi, riesce ad arrivare alla gente. Il mio personaggio rivoluziona la storia, ma in maniera serena, come acqua che scorre”. 



Per Sara Putignano, invece, si tratta dell’incarnazione di una maternità fallimentare, incasellata in una sorta di non famiglia, che contraddice i canoni sociali di maternità.

“La donna che interpreto – racconta Sara – compie un percorso intenso. La sua dinamica relazionale genera implosione. Ha un passato che compromette il suo rapporto con la maternità e solo alla fine riuscirà a dialogare davvero con gli altri ed a rapportarsi con la realtà che vive”.

Interessante entrare anche nella psicologia e nelle sfaccettature della narrazione dei cattivi della storia, che sono portatori di un’anti-etica paradossalmente dominata dai concetti di onore verso gli impegni ed educazione.

“Si tratta di un film – rimarca Domenico Fortunato – al contempo attualissimo ed universale. Alcuni personaggi che appartengono alla malavita organizzata allungano la loro presa tentacolare su un territorio, vi penetrano, spesso, in maniera silente, ma capillare ed inesorabile e riescono a coinvolgere anche persone perbene, facendo loro credere, attraverso il richiamo ad un concetto distorto d’onore, di essere nel giusto”.




Come si possono demistificare questi antieroi, togliendo loro potere?

Ad indicare una strada possibile è Franco Ferrante: “Occorre farne vedere e comprendere l’intrinseco ridicolo. Non sono eroi né antieroi: sono solo dei vigliacchi”.

La Rai attraverso la piattaforma Raiplay, in relazione a quanto spiega Paola Malanga, vice direttore, Produzione e Acquisti  Rai Cinema, amplia la propria offerta di storie e sentimenti che riguardano tutti. Lo fa all’indomani di una quarantena che, per alcuni versi, ha offerto un’occasione straordinaria, per poter sviluppare la fruizione di una piattaforma che consente ad un pubblico trasversale, che per un insieme di ragioni non riesce ad andare al cinema, di fruire di un’ampia scelta di pellicole di elevata qualità. 

Se è vero, come evidenzia, che la fruizione rimane ‘isolata’, è altrettanto vero che i collegamenti e le condivisioni si possono creare ed alimentare attraverso i social. In questo modo, nonostante sia un momento di sofferenza del cinema, i film trovano il modo di sopravvivere con una vitalità forte.

Solo nella scena finale la musica finalmente esplode, in maniera catartica e liberatoria: si tratta di “No potho reposare”, una melodia tradizionale sarda densa, potente, che richiama la forza delle radici e delle origini, interpretata e arrangiata dal trombettista Paolo Fresu.



“Nelle sequenze precedenti – spiega il regista – non vi era nessuna musica, perché non vi era bisogno di aggiungere altri elementi di emotività rispetto a quelli messi in campo dagli attori”.


1 commento:

hariotvalencia ha detto...

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