L’edizione ottobrina di Cibo
a Regola d’Arte, organizzato dall’Istituto
Valorizzazione salumi Italiani (IVSI), in collaborazione con il Corriere della Sera, svoltosi nel Museo Villa Pignatelli, sabato 27 e
domenica 28, riscuote un grande successo di pubblico, all’insegna del gusto.
Spicca tra i vari eventi domenicali, quello dedicato al
maiale tra gusto e cultura, con un’analisi che parte dal Medioevo, dal titolo “Il
maiale e la sua identità culturale: dal Medioevo alla società contemporanea”.
Perché, come evidenzia Luca Govoni, docente di Storia della cucina
e gastronomia ad ALMA, citando Eugenio Montale, osservando il modo di mangiare
degli altri sembrerebbe possibile capire il loro modo di comportarsi e risalire ai come
ed ai perché.
Il cibo, dunque, è da sempre legato a doppio filo con la
cultura dato che, come ribadisce l’antropologo Claude Levi Strauss, “non si
mangia ciò che è buono da mangiare, bensì ciò che è buono da pensare”, mentre
la cultura si articola in una struttura simmetrica.
“Il cibo – sottolinea Luca Govoni – ci racconta di come
siamo oggi e di come siamo stati. Nel Medioevo, ad esempio, regnava la paura
della privazione alimentare”.
Perché proprio il maiale? Perché il suino trova nella
geografia tipica dell’Italia il suo habitat ideale. Non a caso, poi, nel
paradiso troviamo un maiale che si autorigenera, simbolo di abbondanza e della
vita che si rinnova.
Esiste dunque, secondo l’immaginario medievale, per i cristiani, anche un maiale buono. Il più
famoso è quello raffigurato in numerose immagini insieme a Sant’Antonio,
considerato il padre del monachesimo e di quel “pregare e lavorare” che ispirò
la regola di San Benedetto.
Però, per la Chiesa, il maiale è soprattutto il simbolo del
vizio: cavalcatura del peccato e compagno di perdizione. Ecco perché la chiesa
vede nel regno dei magri il regno del bene (opposto a quello dei grassi) e
prescrive ben 150 giorni di “magro”. Di fronte a proibizioni e privazioni,
dunque, il popolo sogna dei posti ove
vigano poche regole, come nel caso del Paese di Bengodi, dove abbondano
montagne di parmigiano e succulenti ravioli immersi in brodo di cappone; o la Città del sole, auspicata dal filosofo
Tommaso Campanella.
O, ancora, la Torre di Babele, dove si parlano mille lingue
diverse, capace di ergersi verso il cielo.
“Dopo che l’utilizzo del maiale e la sua trasformazione –
continua Govoni – si è consolidato nella memoria collettiva, si può passare
alle sue oscillazioni, alle varianti”.
Attualmente, secondo quanto evidenzia il docente di storia
della cucina e gastronomia, l’educazione alimentare si configura come un’educazione
al “non spreco”, dopo tanto spreco compiuto, ma la lezione parrebbe provenire
già dal Medioevo, dove “non sprecava nulla di nulla”. In questo modo i valori
passati vengono attualizzati.
Secondo la spiegazione di Govoni il gusto nasce dal giusto
mix di necessità e penuria.
“Non a caso – dice – si parla di pane, che è l’elemento
necessario a riempire lo stomaco, e di companatico, un elemento accessorio, di
accompagnamento, scarso perché costoso”.
Secondo gli addetti ai lavori, oggi forse appare improprio,
almeno in Occidente, parlare di penuria del cibo e di necessità.
La selezione è
legata, semmai, alla ricerca della particolarità e dell’eccellenza, al dialogo
tra quantità e qualità.
Ma emergono, e vanno tutelati, valori parimenti importanti,
come l’importanza dell’ecologia, la biodiversità, la sostenibilità, la tipicità
e la località dei prodotti.
IL PANINO DEMOCRATICO
Per Daniele Reponi,
maestro dei panini gourmet, il panino è di per sé simbolo del cibo democratico,
molto popolare e “popolano”.
Per l’occasione ne
sono state proposte due versioni. Una, in omaggio alla città ospitante, con
salame di Napoli, friarielli, cime di rapa leggermente scottate ed amarognole,
e zucca, un ponte ideale con il resto d’Italia.
L’altro è farcito con
mortadella di Bologna IGP, in cui c’è un’alternanza di sapidità e dolcezza.
Infatti, secondo il maestro gourmet, la mortadella viene dolcificata e contiene
zuccheri e questa componente può essere amplificata aggiungendo una nota dolce
con rivoli di miele. A conferire sapidità, poi, ci pensa il cappero, mentre i
pomodorini, semi-secchi, datterini, gialli e rossi, donano una scarica di
acidità e agiscono anche sull’aspetto visivo, essendo un tipo di pomodoro a
buccia un po’ grossa.
“Sia il salame che la
mortadella – spiega Reponi – sono costituiti da un impasto. Ciò vuol dire che
sono uguali dalla prima all’ultima fetta, a rappresentare l’uguaglianza degli
individui. Gli ingredienti di accompagnamento alludono alla divisione dei
poteri nella democrazia. Ecco perché è necessario vi sia un grande equilibrio nell’utilizzo
di tutti e tre gli ingredienti”.
Secondo Reponi, poi,
la vera democraticità consisterebbe nel permettere a tutti di accedere ad un
cibo sano.
“Si tratta –
ribadisce – di un problema culturale, alla base delle scelte. E’ una questione
di approccio nello scegliere cosa mettere a tavola. Attualmente si registra un
fermento positivo, all’insegna della qualità e della larghezza di vedute negli
accostamenti. Prediligendo consapevolmente un cibo sano, infatti, si
valorizzano mestieri e conoscenze , alimentando una cultura e un sapere legati
al cibo”.
Attenzione, però:
interrompendo questa cultura rischiamo di perdere anche il sapere connesso.
Occorre, invece, ammoniscono
gli esperti, riscoprire un rapporto di fiducia con chi ci vende il cibo,
alimentando tutta la filiera e difendendo lavoro e competenze.
Ph. Grazia Guarino
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