Tornare a Parigi ad un anno dall’attentato al Bataclan. Un
attentato in cui 90 ragazzi hanno trovato la morte, laddove avrebbe dovuto
regnare l’allegria, la spensieratezza, la voglia di vivere e di sorridere e lo
spirito d’aggregazione, che ogni tipo di musica condivisa porta con sé.
Tornare in quei luoghi e trovare l’atmosfera e le geometrie
di una città totalmente cambiate.
Dedica a questo ricordo la sua prima personale, conclusasi ieri, 15 ottobre, Renato Aiello.
Una mostra che non a caso reca il nome di un luogo, il Bataclan, dove gli opposti, la ferocia
e la violenza insensata, ma anche la forza di resistere e di ritrovare la
propria identità collettiva, sulla scia di una spiritualità fortemente
secolarizzata, parrebbero poter trovare
una loro composizione.
“Ho incontrato – sottolinea Renato Aiello, giornalista e videomaker,
autore della mostra ospitata nella suggestiva location della Chiesa di San
Severo al Pendino (via Duomo 286) – una città totalmente trasfigurata,
contraddistinta non solo da una soglia di attenzione fondatamente estrema, e
soggetta a numerosi controlli, ma anche più cupa e privata della gioia di viere,
in bilico sul confine dell’apatia”.
A sostituire l’atmosfera gaia, dunque, un’aria oscura di
melanconia e mestizia.
Vivo, poi, il desiderio di mantenere quel colloquio di
amorosi sensi di foscoliana memoria, di non recidere in maniera permanente un
legame spezzatosi troppo presto e per un’altrui violenta e incomprensibile
volontà.
Ecco il perché di quella silloge di messaggi laici e
religiosi in dialogo, di quei volti uniti dalla medesima espressione assorta ed
assorbita dalla sofferenza, senza distinzione di bandiere e di religione, cristiani
e musulmani uniti, perché la violenza è
condannabile sempre da chi crede in qualcosa.
“Quei cumuli di fiori e messaggi – evidenzia Aiello - mi hanno ricordato, con un tragico ponte
emotivo, le valigie, le scarpe, i giocattoli, accatastati, simbolo della shoah
ebraica”
Come sottolinea l’autore dei 30 scatti in bianco e nero, che
hanno saputo cogliere frammenti di emozioni intense e di una storia “strappata”,
dilaniata dalla ferocia, a colpire in quell’atmosfera intrisa di sofferenza è
la percezione che “la comunità si sia stretta come una grande famiglia, condividendo
una sorta di religione laica”.
L’autore delle foto, Renato Aiello, classe 1987, porta
avanti questo ricordo trasfuso in immagini, con uno sguardo vivido e
coraggioso, che sfida le sue stesse paure, in particolare quella di poter essere male
interpretato, urtando così la sensibilità di chi quella tragedia l’ha vissuta
sulla sua pelle e ne reca le ferite indelebili.
“In realtà molti Francesi sono venuti a visitare la mostra –
continua l’autore – e hanno espresso un’impressione molto positiva attraverso i
loro pensieri impressi nel libro degli ospiti”.
Per documentare quel ricordo Renato sceglie un bianco e nero
contrastato, dove “il bianco dei corpi, dei fiori e della luce delle candele,
contrasta con l’oscurità che tenta di inghiottire ogni cosa. Ma, nonostante
tutto, il bianco riesce a farsi spazio ed a vincere la paura”.
L’attentato del Bataclan,
tragicamente incastonato in una notte di terrore, dove ci furono una
serie di attentati coordinati, che fecero contare oltre 300 vittime, simbolicamente
assurge, come ricorda Aiello, ad un 11 settembre Europeo, dove tutti, anche chi
non c’era o chi è sopravvissuto, è rimasto
“ustionato” a vita da quella tragedia.
Le foto sono unite da un sottile ma tenace fil rouge: un
senso di smarrimento, di incredulità, la percezione di una morte senza senso. Lo
stesso sentimento di assurdo che hanno suscitato “tutti i genocidi del ‘900”.
“Il Bataclan si trova in Boulevard Voltaire. L’ennesimo
paradosso di questa tragedia. – ribadisce Aiello - Questo attentato, infatti,
costituisce la negazione del senso di identità e del rispetto della dignità
umana. La negazione di qualsivoglia forma di tolleranza e di quei valori
proclamati dall’Illuminismo”.
Una sfida coraggiosa, quella di Renato Aiello che, anche
attraverso alcune installazioni, non teme di affrontare la più grande paura di
tutti: quella relativa al tanto paventato tramonto dell’Occidente.
Renato Aiello dà corpo a quest’ombra scura attraverso un
installazione in cui, in mezzo alle macerie europee, che egli rappresenta con alcuni
mattoni, spiccano la Torre Eiffel e il Colosseo. Una maglietta ricorda le Torri
Gemelle illuminate, sempre vive nella memoria, e pesanti catene, quelle del terrorismo e
della paura, ingabbiano tutto.
La parola chiave, dunque, è proprio la memoria.
“Se comprendere è impossibile – sottolinea Renato –
conoscere, in special modo il male, è necessario”.
La mostra di Renato Aiello, in tal senso, è un tassello in
quel percorso di necessaria conoscenza ed il pubblico l’ha premiato con un’affluenza
che ha fatto registrare oltre 300 presenze.
E sembra proprio essere di monito l'immagine di quell'uomo, di cui Aiello ha voluto immortalare il memento, che, nel silenzio della commemorazione, arriva con la sua croce lignea legata al collo e ad altre parti del corpo attaverso una corda.
Le sue fattezze "scavate" e quasi cristologiche e la sua magrezza sembrano evidenziare come la sofferenza, che macera dentro, consumi inesorabilmente.
Le sue fattezze "scavate" e quasi cristologiche e la sua magrezza sembrano evidenziare come la sofferenza, che macera dentro, consumi inesorabilmente.
I telefonini di plastica incollati alla croce se da una parte parrebbero ricordare gli ultimi momenti dei ragazzi morti, i loro ultimi messaggi, forse le disperate richieste d'aiuto; dall'altra sembrerebbero essere un richiamo all'importanza di ritrovare e coltivare relazioni davvero umane, non perdendosi la bellezza e l'autenticità dell'altro da sè, depauperata e svilita dai legami fittizi caratteristici dei social network
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