lunedì 21 maggio 2018

Museo Archeologico di Napoli: quei soffitti che raccontano di epoche lontane

E' più che giusto e fondato dire che al Mann, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, non si sa dove guardare, tanta è la sovrabbondanza di bellezza, storie racchiuse in oggetti e dipinti, arte e stimoli visivi di ogni sorta. Le statue e gli affreschi dialogano con i pavimenti riccamente istoriati e, scopro, una volta di più, con dovizia di particolari, in occasione della celebrazione della festa dei musei, anche con le volte ed i soffitti.

UN PO' DI STORIA DALLA FONDAZIONE IN POI

Alzando gli occhi verso i soffitti e le volte, si resta abbacinati da un biancore un po' polveroso: quello che molti non sanno è che quell'intonaco cela delle bellissime pitture pompeiane, con il loro rosso ed oro che, con il mutare, nei secoli, del gusto museografico, furono ricoperte.



La prima volta ad attrarre l'attenzione è quella realizzata con stelle rosse ed azzurre, che richiama la decorazione delle terme stabiesi a Pompei. Si prosegue con un altro soffitto che riproduce il simbolo della svastica, tipica delle terme maschili. Si vedono anche una lira, un cigno, una striscia di cassettoni e, a corredo, una serie di mobili e suppellettili che richiamano il gusto per l'antico e sono rifatti imitando tale stile.



Il Museo, come edificio, nasce come scuola di cavalleria nel 1555, ma la scuola non entrò mai in funzione a causa dei terreni paludosi. Poi, l'edificio viene adibito ad università per i regi studi. L'iniziale piano unico viene progressivamente ampliato. E' il periodo in cui si susseguono, in vari punti nevralgici, le vicende legate all'inizio degli Scavi: prima ad Ercolano, poi a Pompei, infine a Stabia.

I reperti bellissimi, preziosi e testimoni dell'avvicendarsi di varie epoche e stili, nonchè della storia e degli usi e costumi dei popoli, vengono allocati tra la Reggia di Portici e Palazzo Reale. In seguito, per celebrarne la bellezza e per celebrare la casata di sua madre Elisabetta Farnese, Carlo di Borbone pensa di creare un museo farnesiano. In seguito punta ad unire il museo ercolanense e quello farnesiano in un museo universale.



Dove oggi sorge lo scalone monumentale, inizialmente era ubicata l'aula magna dell'università degli  studi regi, detta anche aula del concorso. Poteva  ospitare diverse centinaia di persone.
Il sovrano chiama diversi scultori per creare una scala adatta a congiungere l'allora aula magna con i locali della biblioteca. Il primo a realizzare una scala in muratura è lo scultore Pompeo Schiantarelli.

 Ad Antonio Canova,  invece, viene affidato il compito  di realizzare la statua di Ferdinando I Pomponio. la statua, però, verrà realizzata solo nel 1822, dopo  numerose vicissitudini politiche, caratterizzate dall'allontanamento dalla città di Ferdinando e dalla fase francese di regnanza.



Viene, inoltre, creato un lucernario per far "piovere" la luce dall'alto, onde esaltare la magnificenza della statua dedicata a Ferdinando I. Ai  due lati di quello  che oggi è  lo scalone vengono poste due Veneri ed in basso il leone, simbolo dei Farnese.

LE SALE

Nel gran salone della Meridiana (che prima costituiva la biblioteca), una delle più imponenti sale coperte d'Europa (la cui costruzione fu iniziata tra il 1612 ed il 1615 ed ultimata solo nel 1804) sul soffitto troviamo la rappresentazione dell'apoteosi di Ferdinando IV, definito re Nasone e scugnizzo, e l'aristocratica Maria Carolina.



La coppia reale è circondata dalle virtù e ai lati si leggono due motti che sintetizzano la politica culturale dei Borbone  "Le virtù del popolo sono le virtù del re", concepito come protettore del suo popolo ed insieme delle arti che per fiorire e essere in rigoglio devono essere coltivate al pari delle scienze.

L'altro motto recita: "Iacet nisi pateant" ed allude alla liberalità del re ed al fatto che le arti finiscano per languire se non vengono esposte e fruite dal pubblico. In questa sala, dove a terra vi è ancora, in stato di perfetta conservazione, la meridiana, realizzata tra il 1790 ed il 1793, doveva sorgere, negli intenti dell'astronomo Giuseppe Casella, l'osservatorio astronomico, un progetto presto abbandonato per l'inadeguatezza del luogo.

In quello che oggi è il salone della Meridiana, in virtù di una continuità tematica, un tempo era posta la statua di Atlante, che regge sulle sue spalle il peso del mondo, oggi ubicata all'ingresso.



Sulle imponenti pareti fanno bella mostra di sé alcune tele di grandi dimensioni, di non grande valore, realizzate dal pittore genovese Giovanni Battista Draghi realizzate nel 1800, suddivise in due cicli. Si tratta di tele autocelebrative. Il primo ciclo è dedicato ad Alessandro Farnese ed al futuro papa Paolo III. Il secondo alle nozze tra Elisabetta Farnese e Filippo di Spagna. Queste tele furono recuperate dal Re da Palazzo farnese a Piacenza, che nei secoli subì un destino di progressivo spolio   e parziale distruzione,  ed in  parte furono poi restituite e ricollocate nel medesimo palazzo.

Alessadro  Farnese viene rappresentato  con  abiti di  foggia  barocca ma con  un atteggiamento e cipiglio  da imperatore romano, continuatore dei fasti dell'antichità e, allo stesso tempo, strenuo difensore del cattolicesimo, abile militarmente e dotato di ingegno acuto.



Infatti, alcune tele mostrano la  messa in opera di ingegnosi stratagemmi  militari, volti ad espugnare le città nemiche,  come ad  esempio i ponti di barche e le  torri  di legno che superavano, in altezza, le mura di cinta.



In un quadro viene anche rappresentata la morte del condottiero e stratega: un angelo gli pone sul capo una corona di alloro, simbolo di successo e vittoria militari terrene, ed una di stelle, emblema di spiritualità.

Alle pareti, poi, sono ancora visibili alcuni ganci. Trattandosi del locale dove in un primo momento era ubicata la biblioteca, a questi ganci erano fissati pesanti scaffali lignei. In seguito,  fino al 1957,   il salone fu abbellito con ricchi arazzi,  che  rappresentavano la battaglia di Pavia dono della casata d'Avalos. In seguito ad  un  doppio dono reciproc,o gli arazzi vengono trasferiti al Museo di Capodimonte e le tele ottocentesche al Museo Archeologico.



A quell'epoca, nelle diverse sale, facevano sfoggio di sé anche numerose stampe, prodotte dalla  stamperia interna: il Gabinetto delle  stampe.

Due sale sono dedicate alla  dinastia dei  Lucchesi Palli (nel nome è richiamata la provenienza dalla città di Lucca). Eduardo,  marito  di Giovanna De Gregorio, nel 1888  dona al  museo  la sua preziosa e ricchissima biblioteca drammatica e musicale.




La sala è dedicata ad Adelaide Tosi, moglie di Ferdinando, una cantante lirica che si esibiva nel ruolo di soprano. Il figlio Febo Edoardo fa affrescare le sale e le volte con scene tratte dalla letteratura drammatica e fornisce gli arredi, comprese alcune panche.

Poi dà  ordini che alla gestione degli ambienti sia destinata una rendita di 3000 lire, affinché sia loro assicurata  la  massima cura e possano godere di un destino autonomo di fasti, al di là del destino cui possa essere soggetto il resto dell'edificio.

Tra i bibliotecari cui viene affida  la direzione della biblioteca lucchesiana spicca il commediografo Achille Torelli. A quell'epoca Benedetto Croce ricopre il ruolo di ministro dell'istruzione.



Questo viaggio attraverso le epoche e gli stili, i fasti e le cadute, sul filo della memoria e del racconto, si conclude con un dubbio, che in fondo è anche una speranza: quello che al di sotto degli spessi strati di intonaco siano celati, e custoditi dall'agguato della morsa del tempo, preziosi affreschi pompeiani, dagli inconfondibili toni rosso e oro.



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