giovedì 31 maggio 2018

Una storia confusa: andare avanti per capire il passato

 Se quella che canta Gianluca Grignani  è "La sua storia storia tra le dita", quella raccontata da Enrico Pentonieri è Una storia confusa (Europa Edizioni).

Quello che l'autore ricostruisce è un microcosmo di amici, Andrea, Michele, Marina, Lara, Gemma.  I tempi e gli episodi delle loro esistenze si intrecciano, a volte si sfiorano solo, altre volte si scontrano, deragliano, per poi riannodare i fili. Quegli stessi fili che troppo spesso, per le vite di ognuno, finiscono per essere tranciati.

Abbiamo fatto una chiacchierata con l'autore per farci raccontare da lui il "suo" senso ed i frammenti di vita che rifluiscono in questo libro.

D. Perchè la tua è Una storia confusa?
, R. Perchè gioco volutamente sull'ambiguità temporale delle vicende narrate. D'altronde anche i tempi della scrittura di questo libro sono stati atipici, caratterizzati da brusche accelerazioni, interruzioni e veri e propri salti temporali. Ho scritto i primi quattro capitoli tutti d'un fiato. Poi vi è stato uno stop di circa un  anno e mezzo e, altrettanto all'improvviso mi sono detto "Quasi quasi lo finisco!"... nonostante avessi perso il filo conduttore. Anche la pubblicazione è arrivata quasi per caso. Mio padre, che si era appassionato all'idea, ha inviato la bozza a diverse case editrici ed  un bel giorno è arrivata una risposta positiva.

D. Il protagonista Andrea è molto legato ai suoi amici: sono in qualche modo il suo alterego, gli sono complementari e necessari. Ciononostante li delude, a volte li tradisce e li abbandona. E non farà mai un vero sforzo per recuperare il rapporto che avevano, per cercare un riavvicinamento autentico. Perchè?

R. Andrea distrugge i ponti ed i legami dietro di sé per non tornare indietro, perché è consapevole che la vita va vissuta in avanti. In tal senso, nella sua apparente confusività, la temporalità del romanzo è logica. A prima vista, quello che ruota intorno al protagonista non sembrerebbe essere importante. Andrea è protagonista, e vittima al contempo, del proprio egocentrismo. Costruisce ed alimenta il mito di se stesso. A volte si ritrae da alcune esperienze pur di mantenere intatto quell'immagine mitizzata, affinché il suo interlocutore non entri davvero in contatto e si confronti con le sue fragilità. Ma alle sue capacità e potenzialità, a quel mito, in fondo non crede fino in fondo neanche lui.



D. Qual è l'obiettivo di questo libro?

R. Far emergere una consapevolezza: che alla fine è il contorno di persone che aveva accanto ad aver permesso al protagonista di fare ciò che fa. Da soli, infatti, non si va da nessuna parte. Si è trattato di una scrittura terapeutica, a metà tra il dialogo interiore e lo 'sfogo' tra amici. D'altronde, per me la scrittura è sempre stata importante: scrivo, per me stesso, da quando avevo tredici anni. Questo romanzo mi è servito per riannodare i fili. Spesso si ricordano in ordine sparso le cose che hanno modificato le scelte della propria vita. Attraverso la scrittura si può riuscire a ricostruire un senso.

D. Dove e quando è ambientata la storia?

R. Non vi sono connotazioni temporali e geografiche. Il vero protagonista, infatti, è lo stato d'animo. Credo che non sia indispensabile identificare il luogo, anche se alcune atmosfere sono inequivocabilmente partenopee. L'identificazione, invece, potrebbe essere di tipo generazionale.



D. E lo stile?

R. Il linguaggio è volutamente "inurbano" e pieno di errori sintattici. Vi è un'attenta scelta di parole slang.


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