martedì 18 settembre 2018

Violenza contro le donne: un percorso di contrasto ancora tutto in salita

C'è un trait d'union tra la mentalità mafiosa e quella che sostiene la violenza di genere: la logica dell'assoggettamento di un altro essere umano, una condizione coattiva di subalternità da cui trarre vantaggio.

Una soggezione innanzitutto psicologica che si nutre di un misto di dipendenza economica e di un appello a non "sfasciare" la famiglia.

Per uscire da questa logica deviante è necessario agire sui due poli della relazione: la vittima dell'abuso, che non deve essere concepita come un fastidio, ma come un'opportunità di verità e giustizia, come sottolineano gli addetti ai lavoro.

Mentre sull'uomo maltrattante bisogna attivare un processo su due versanti: quello penale e quello amministrativo, di riabilitazione e rieducazione (in cui una motivazione ad intraprenderlo seriamente potrebbe essere costituito anche dalla prospettiva di un'eventuale sconto di pena).

Attualmente, secondo i dati, in Italia circa il 25% degli omicidi sono classificabili come "di genere" e questa caratterizzazione, secondo gli addetti ai lavori, è dovuta al fatto che il partner non accetti la fine di una relazione concepita come di tipo proprietario.

Si tratta, dunque, di un problema culturale e relazionale, come sottolinea il magistrato Fabio Roia nel corso dell'incontro partenopeo del 14 settembre scorso "CRIMINI CONTRO LE DONNE. POLITICHE, LEGGI E BUONE PRASSI – INFORMAZIONE E MANIFESTO DI VENEZIA", di chi non sa rapportarsi e rispettare la differenza di genere.



Sempre secondo gli esperti, circa il 10% delle donne che subisce abusi non sa di essere vittima di violenza.

Vi sarebbe, dunque, un problema alla radice legato alla decodifica culturale, dove tutto è consentito in nome dell'indissolubilità della famiglia.

Un problema radicato ed operante, purtroppo, secondo gli esperti, anche nello stesso apparato istituzionale, spesso incapace di:

 - ascoltare e non giudicare, non porre le donne di fronte a pregiudizi di tipo conservativo della famiglia

 - mettere in atto un vero percorso trattamentale che diminuisca l'alto rischio di recidiva, facendo comprendere il profondo disvalore del comportamento violento agito.

Attualmente, in base ai dati forniti, il 77% delle vittime di stalking è donna ed è donna anche il 92% delle vittime di maltrattamento.

Secondo la Convenzione di Istanbul (2013), recepita dalla legge 19/2013,  è necessario evitare forme di vittimizzazione secondaria, aspetto che imporrebbe un ribaltamento dell'attuale procedura: la donna dovrebbe essere lasciata a casa con i figli e l'uomo, in base alla gravità degli atti compiuti, dovrebbe essere interdetto dai luoghi da lei frequentati (divieto di avvicinamento e ordine di avvicinamento) o soggetto a regime carcerario, con l'attuazione di misure cautelari gravi.



Secondo gli addetti ai lavori, il problema della presenza e dell'assenza di un ascolto attivo e di un sentimento di accoglienza nella relazione di cura e presa in carico non sarebbe legato ad una comune o differente identità di genere, capace aprioristicamente di ispirare vicinanza ed empatia, bensì all'interiorizzazione eventuale, da parte delle donne stesse, di una cultura maschilista, tale da portare chi ascolta a sottostare ad una serie di stereotipi e pregiudizi, laddove la donna denunciante non rispecchi la rappresentazione sociale di persona dai costumi morigerati.       

Un'ottica limitata e limitante che sembrerebbe possibile eradicare solo attraverso un processo di professionalizzazione, perchè "la mancanza di formazione, l'approssimazione ed il pressapochismo, minano alle radici lo Stato di diritto".

Un pericolo è in agguato, secondo gli esperti, nel processo di rieducazione di un uomo maltrattante: infatti, laddove l'operatore non fosse adeguatamente formato, si potrebbe andare incontro alla soggezione a processi di manipolazione, messi in atto dal soggetto maltrattante al fine di ottenere una riduzione della pena.       

Quella della violenza di genere, invero, è una materia delicata che sconta il fio di ritardi atavici, dato che prima del 1996 gli abusi domestici erano classificati come componimento di dissidi privati ed inseriti nei reati contro la morale e solo dopo il '96 divengono reati contro la persona.

Poi arriva, solo nel 2009,  la legge 38 contro lo stalking e nel 2013 la 19 che recepisce la Convenzione di Istanbul.

Per combattere la violenza di genere appare nevralgica la collaborazione attiva  con le forze di polizia giudiziaria. 

Numerose le tappe nevralgiche: nel 2009 arriva la Convenzione tra il Ministero per le Pari opportunità e il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, in raccordo con il Reparto di Analisi criminologica.

Nel 2010 è il momento della Rete Attiva, presso tutti i comandi provinciali investigativi, comprendente 300 unità, che agisce in raccordo con la Sezione Atti persecutori.

Nel 2016, poi, viene siglato il protocollo d'intesa per realizzare uno spazio dove effettuare le cosiddette audizioni protette.

Attualmente, in Italia ci sono 105 "stanze tutte per sè", ubicate presso il Comando dei Carabinieri (quella partenopea è a Capodimonte).

Ma il percorso da compiere appare ancora lungo e tutto in salita.
                   

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