Vincenzo è un mediometraggio
scritto, diretto e interpretato da Antonio d'Avino in arte Marco J.M.
Nella pellicola, realizzata senza fini di lucro e interamente
autofinanziata da “Juna e Marco Arte”
e prodotta da “OXEIA – L'isola dell'arte”,
sono nevralgici i tema del bullismo, del recupero giovanile e della violenza di
genere. Dalla realizzazione di questo film è nato anche un sito
(http://www.vincenzothemovie.com/), con backstage e curiosità sul cast e la
produzione.
Vincenzo ha 15 anni e
vive in un contesto difficile. La nonna cerca di crescerlo come meglio può e di
tenerlo lontano dalle cattive compagnie redarguendolo, per non fargli fare la
stessa fine del padre, in stato di carcerazione.
Il “capobranco” della
compagnia è Peppe, che sta uscendo con una ragazza, ma è proprio in quel momento che avviene il
cortocircuito.
“Peppe – spiega Antonio
D’Avino, in arte Marco – sente che sta perdendo il rispetto e la
considerazione del branco, perché si sta facendo ‘fare fesso’ dal sentimento. E’
per questo che decide di passare la sua ragazza al gruppo, come si farebbe con
una sigaretta o un cane”.
La violenza nasce da quel
momento in cui si insegue una falsa idea di rispetto, un concetto distorto
e pericoloso.
A quella “spedizione” prende parte anche Vincenzo che, anche
se non parteciperà alla violenza in sé, sarà reo di non essersi opposto al
perpetrarsi delle atrocità ai danni di Serena.
Per lui, però, non si apriranno le porte del carcere, ma quelle più confortanti e piene di speranza di
una comunità di recupero, dove dovrà svolgere, per otto mesi,
un percorso di rieducazione.
In questo periodo, attraverso una presa di
consapevolezza progressiva, Vincenzo
cambierà, o forse diventerà finalmente se stesso. A supportarlo gli operatori
sociali e i libri, attraverso i quali gli raccontano la loro vita e quella
degli altri, ed in fondo la sua stessa, grandi autori, come ad esempio Pasolini. In quei libri Vincenzo ritroverà la
sua sofferenza, il suo stesso tormento interiore e l’impatto duro e crudele con
i pregiudizi provenienti dall’esterno.
Dall’insieme, dall’impasto, di questi elementi emergerà dal
suo cuore la consapevolezza delle sue responsabilità, la coscienza che non
basta astenersi dal compiere un’azione per non essere colpevole.
Ecco perché comincerà a scrivere alcune e-mail a Serena, la
vittima, per raccontarle le sue giornate e chiederle perdono.
Un perdono che , spesso, non è però possibile ricevere perché
se c’è chi può intraprendere una nuova vita, grazie alle nuove consapevolezze
maturate, c’è anche chi invece resterà inchiodata per sempre in un frammento di
tempo capace di congelare un’intera esistenza, come quelle ferite che “anche se
si rimarginano , tu sai che ci sono, perché rimane lo sfregio e quando le
sfiori con le dita fanno e faranno sempre male”.
Dalla finzione
scenica alla realtà il passo è breve in
questo caso.
“Il film – sottolinea il regista Antonio D’Avino, in arte
Marco – vuole essere una testimonianza di come si possa non omologarsi al
pensiero unico. Indica un percorso possibile sul come emanciparsi e superare il
disagio sociale attraverso gli strumenti culturali, che non sono
però applicabili e sufficientemente
solidi se non vi è a monte il sostegno
delle istituzioni, anche di natura economica, in manieria tale da poter creare
concrete opportunità lavorative , tali
da non far cedere i giovani alla mentalità del guadagno facile”.
A fargli eco Mariarosaria Alfieri, presidente dell'associazione
culturale CriminAlt: “Attualmente -
ribadisce – i ragazzi vivono una condizione di anestesia emozionale,
amplificata dall’azione dei social network. Riescono, a volte inconsapevolmente,
ad operare una dissociazione emozionale, provando un’emozione ma esplicitandone
un’altra e nel tempo non riescono più a gestire questa frattura”.
L’associazione, secondo quanto racconta la presidente,
lavora su progetti e campagne di prevenzione, di tipo capillare, puntando sul
lavoro di rete.
Il target per eccellenza sono le scuole: ragazzi che frequentano
corsi di diverso ordine e grado, dalla terza elementare agli ultimi anni delle
superiori.
“In un anno - prosegue
Alfieri – abbiamo incontrato circa 5mila studenti. La domanda ricorrente è ‘come si fa a dire di no se non si
vuole essere esclusi dal gruppo?’ "
Una domanda che ha in
sé una possibile parabola discendente
caratterizzata dalla disperazione individuale
e collettiva: dal disagio
familiare e della persona, fino al
crimine, passando per l’esperienza
deviante.
Come sottolineava Peppino Impastato, che viene citato come esempio e monito,
le persone devono essere formate al bello, perché attraverso il bello si
può reagire all’omertà, alla rassegnazione ed alla violenza.
Uno sguardo ed un
orecchio volti al bello, che vengono sostenuti anche dalla colonna sonora originale
del film, una musica maturata nelle
coscienze, capace di tradurre in
note le emozioni e di essere
commento e sottolineatura ai momenti
dolci o aspri
della pellicola.
Anche Laura Russo,
presidente di Telefono Rosa Napoli, sottolinea come sia importante cogliere i
campanelli d’allarme della violenza, lavorando tempestivamente sul disagio e
attivando circuiti di
prevenzione e un punti
di ascolto per
uscire dal circuito della violenza.
Telefono rosa, nato nel
1988 a Roma e nel 2010
a Napoli, è un canale che riceve
le richieste d’aiuto contro la violenza
fisica, psicologica, economica e
di stalking ed attiva una vera e propria rete di protezione, secondo
quanto evidenzia la referente.
Un lavoro, di
squadra, quello della pellicola Vincenzo, basato sulle competenze e sulla
fiducia, tale da far emergere il bello
dell’arte e l’arte del bello.
Trentadue attori, 606 ciack, 757 minuti di riprese, 5
location.
Un plauso va a tutti i giovanissimi attori dell’area
vesuviana, formati dall’Accademia Vesuviana del Teatro e del Cinema diretta
dall’attore Gianni Sallustro.
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