sabato 22 settembre 2018

Vincenzo: riscattarsi si può


Vincenzo  è un  mediometraggio scritto, diretto e interpretato da Antonio d'Avino in arte Marco J.M.



Nella pellicola, realizzata senza fini di lucro e interamente autofinanziata da “Juna e Marco Arte” e prodotta da “OXEIA – L'isola dell'arte”, sono nevralgici i tema del bullismo, del recupero giovanile e della violenza di genere. Dalla realizzazione di questo film è nato anche un sito (http://www.vincenzothemovie.com/), con backstage e curiosità sul cast e la produzione.
Vincenzo ha  15 anni e vive in un contesto difficile. La nonna cerca di crescerlo come meglio può e di tenerlo lontano dalle cattive compagnie redarguendolo, per non fargli fare la stessa fine del padre, in stato di carcerazione.



Il  “capobranco” della compagnia è Peppe, che sta uscendo con una ragazza,  ma è proprio in quel momento che avviene il cortocircuito.

“Peppe – spiega Antonio D’Avino, in  arte  Marco  – sente che sta perdendo il rispetto e la considerazione del branco, perché si sta facendo ‘fare fesso’ dal sentimento. E’ per questo che decide di passare la sua ragazza al gruppo, come si farebbe con una sigaretta o un cane”.
La violenza  nasce da quel momento in cui si insegue una falsa idea di rispetto, un concetto distorto e  pericoloso.



A quella “spedizione” prende parte anche Vincenzo che, anche se non parteciperà alla violenza in sé, sarà reo di non essersi opposto al perpetrarsi delle atrocità ai danni di Serena.

Per lui, però, non si apriranno le porte  del carcere, ma  quelle più confortanti e piene di speranza di una comunità di recupero, dove dovrà svolgere, per otto  mesi,  un percorso di rieducazione.
In questo periodo, attraverso una presa di consapevolezza  progressiva, Vincenzo cambierà, o forse diventerà finalmente se stesso. A supportarlo gli operatori sociali e i libri, attraverso i quali gli raccontano la loro vita e quella degli altri, ed in fondo la sua stessa, grandi autori, come ad esempio  Pasolini. In quei libri Vincenzo ritroverà la sua sofferenza, il suo stesso tormento interiore e l’impatto duro e crudele con  i pregiudizi provenienti dall’esterno.



Dall’insieme, dall’impasto, di questi elementi emergerà dal suo cuore la consapevolezza delle sue responsabilità, la coscienza che non basta astenersi dal compiere un’azione per non essere colpevole.

Ecco perché comincerà a scrivere alcune e-mail a Serena, la vittima, per raccontarle le sue giornate e chiederle perdono.

Un perdono che , spesso, non è però possibile ricevere perché se c’è chi può intraprendere una nuova vita, grazie alle nuove consapevolezze maturate, c’è anche chi invece resterà inchiodata per sempre in un frammento di tempo capace di congelare un’intera esistenza, come quelle ferite che “anche se si rimarginano , tu sai che ci sono, perché rimane lo sfregio e quando le sfiori con le dita fanno e faranno sempre male”.



Dalla  finzione scenica alla realtà il passo è  breve in questo caso.

“Il film – sottolinea il regista Antonio D’Avino, in arte Marco – vuole essere una testimonianza di come si possa non omologarsi al pensiero unico. Indica un percorso possibile sul come emanciparsi e superare il disagio  sociale attraverso  gli strumenti culturali, che non sono però  applicabili e sufficientemente solidi se non vi è  a monte il sostegno delle istituzioni, anche di natura economica, in manieria tale da poter creare concrete opportunità lavorative ,  tali da non far cedere i giovani alla mentalità del guadagno facile”.

A  fargli eco Mariarosaria  Alfieri, presidente dell'associazione culturale CriminAlt: “Attualmente -  ribadisce – i ragazzi vivono una condizione di anestesia emozionale, amplificata dall’azione dei social network. Riescono, a volte inconsapevolmente, ad operare una dissociazione emozionale, provando un’emozione ma esplicitandone un’altra e nel tempo non riescono più a gestire questa frattura”.

L’associazione, secondo quanto racconta la presidente, lavora su progetti e campagne di prevenzione, di tipo capillare, puntando sul lavoro di rete.

Il target per eccellenza sono le scuole: ragazzi che frequentano corsi di diverso ordine e grado, dalla terza elementare agli ultimi anni delle superiori.

“In un anno  - prosegue Alfieri – abbiamo incontrato circa 5mila studenti. La domanda ricorrente  è ‘come si fa a dire di no se non si vuole  essere esclusi dal gruppo?’ "

Una domanda che  ha in sé una  possibile parabola discendente caratterizzata dalla  disperazione  individuale  e collettiva: dal  disagio familiare e della persona, fino al  crimine, passando  per l’esperienza deviante.

Come sottolineava Peppino Impastato,  che viene citato come esempio  e  monito, le persone  devono  essere formate  al bello, perché attraverso il bello  si  può  reagire all’omertà, alla  rassegnazione ed alla violenza.

Uno sguardo  ed un orecchio volti al bello, che vengono sostenuti anche dalla colonna sonora originale del film, una musica maturata  nelle coscienze,  capace di tradurre  in  note le  emozioni e  di essere  commento  e sottolineatura  ai momenti  dolci  o  aspri  della pellicola.

Anche Laura Russo, presidente di Telefono Rosa Napoli, sottolinea come sia importante cogliere i campanelli d’allarme della violenza, lavorando tempestivamente  sul disagio e  attivando  circuiti  di  prevenzione  e  un  punti di  ascolto  per  uscire  dal circuito della  violenza.

Telefono rosa, nato nel  1988 a  Roma  e nel 2010  a  Napoli, è un canale che riceve le richieste d’aiuto contro la violenza  fisica,  psicologica, economica e di stalking  ed  attiva una vera e propria rete  di protezione,  secondo  quanto  evidenzia  la referente.

Un lavoro,  di squadra, quello della pellicola Vincenzo, basato sulle competenze e sulla fiducia, tale da far emergere  il bello dell’arte  e l’arte  del bello.

Trentadue attori, 606 ciack, 757 minuti di riprese, 5 location.

Un plauso va a tutti i giovanissimi attori dell’area vesuviana, formati dall’Accademia Vesuviana del Teatro e del Cinema diretta dall’attore Gianni Sallustro.

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