Quando si
partecipa ad un convegno o ad una tavola rotonda in cui varie opinioni su un
tema si incrociano e vengono espresse verbalmente, bisogna dare il tempo ai
nuovi concetti intercettati, alle nuove visioni incontrate, sottese alle parole, di farsi spazio nella propria coscienza e di
generare, dopo una prima fase di comprensione, nuovi collegamenti, nuove
riflessioni e, perché no?, nuovi dubbi.
Questo necessario
processo di elaborazione, di decantazione e di presa momentanea di distanza
dall’oggetto al centro di un qualsivoglia evento, è ancora più nevralgico
quando abbiamo a che fare con i vari linguaggi dell’arte.
Quando in ballo non
c’è solo il canale razionale, quello dell’intelligenza geometrico-spaziale,
quello della logica, bensì quello delle emozioni, che a volte possono
confondere fino a generare vere e proprie tempeste.
Allora, proprio in
quel punto di massima agitazione ed infervoramento emotivo, è il momento di
dare il tempo all’anima di orientarsi tra varie sensazioni.
Si è chiusa il 13
marzo scorso la mostra “L'Eterno Femminino", una collettiva che ha visto protagoniste
le opere, fino ad un massimo di due ad autore, di ben 39 artisti, sia uomini
che donne.
La precisazione
circa la differenza di genere tra gli autori non è pleonastica perché il tema
su cui sono stati chiamati ad esprimersi è l’eterno femminino, ossia la potenza
creativa, la deità, tipica dell’animo (e del corpo) femminile.
Ad ospitare l’esposizione,
a cura di Gina Affinito del Centro Culturale Arianna, di cui è presidente
Immacolata Maddaloni, il complesso di San Severo al Pendino nella centralissima
via Duomo a Napoli.
Decidere per i
giurati, non è stato semplice, tra opere aventi un elevato valore artistico ma
anche un grande spessore in relazione al messaggio sociale ed esistenziale
veicolato.
Due le sezioni: pittura e scultura.
A classificarsi sul podio rispettivamente al primo, secondo
e terzo posto, Lia Maglione (in arte Malia), con la sua Espressione Femminile.
Al secondo posto graffiano l’anima i “Pensieri prima di Morire” di Paola
Paesano.
Al terzo posto Anna Ciufo ci rivela il dolore di alcuni “Segni
Indelebili”.
Menzioni
speciali poi per Rosa Gammella, Carmela Cafaro, Gilda Niola, Aurora
Baiano, Angela Impagliazzo, Silvia Rea, Rosa Zuppa, Antonio Magnotta.
La parola agli artisti.
“La mia opera – spiega Lia Maglione alias Malia – rappresenta una
persona, una donna, frutto della mia fantasia, con i capelli neri. Una moderna Proserpina".
Un’opera di stampo maggiormente realista rispetto alla linea pittorica
dell’artista che solitamente predilige un’arte più figurativa, espressionista, astratta. Com’è nel caso della creazione “Attitudini” , i cui protagonisti sono
posti su uno sfondo bianco, atemporale. Tra di loro, però, è possibile intuire
un legame, costituito da interessi in comune e da un sentire simile. Attraverso
di loro l’autrice pensa e rappresenta lo sguardo che dall’interno si proietta
verso l’esterno ed indaga il mondo e l’altro da sé.
Paola Paesano spiega la sua opera “Sguardo prima di morire” un’opera
apparentemente “eccentrica” ed atipica rispetto al tema trattato dalla
collettiva d’arte.
“La mia opera – evidenzia – può essere considerata un mezzo per lanciare
un messaggio politico in merito alla annosa problematica della bufala in Terra di lavoro. Come ho spiegato
nella sinossi del quadro, il mio lavoro di medico veterinario
mi porta spesso ad affrontare e condividere realtà lavorative spesso
incresciose e tristi”.
Secondo l’artista, sicuramente le sorti della bufala, incrociate alla
battaglia contro la mozzarella alla diossina (per certi versi un caso creato ad
arte per danneggiare un’intera economia secondo alcuni esperti) rientrano in
questà realtà.
“Ecco quindi - continua - la mia
forte motivazione nel rappresentarla pittoricamente ma anche nel modellato
essendo anche artista di arte presepiale.
Di donne si parla pur non dipingendone necessariamente visi e corpi,
perchè le opere sono frutto della creatività femminile o di quella
maschile rispetto all'universo muliebre, come ha spiegato Maria Mezzina critico d’arte e
responsabile editoriale di Cg Magazine.
“L'opera – continua Paesano - non
è altro che l'espressione del mio essere donna nell' ambito lavorativo,
con tutte le difficoltà che si incontrano nel confrontarsi con l'universo maschile, soprattutto in un territorio dove
culturalmente non ti è permesso a volte neanche di ridere, dove devi
spesso esprimere un'altra personalità, dove meno parli meglio è..., dove
devi comunque lottare per
andare avanti secondo quello che il tuo cuore ti dice di fare...”.
andare avanti secondo quello che il tuo cuore ti dice di fare...”.
“C’è in questo ritratto – si legge nelle notte critiche redatte da Maria
Mezzina - l’abilità ritrattistica, la
conoscenza scientifica e il pathos di chi, come l’autrice, è artista presepiale, per professione conosce fino nel
profondo gli animali e sa farsi interprete dell’empatia che da questi proviene. È un ritratto oltremodo drammatico, questo, che
giustamente l’artista ha presentato per questa
mostra: dove dell’eterno femminino, nella espressione della povera bestia condannata
al macello è incarnata la condizione drammatica di tante donne senza più alcuna
speranza. Opera intensa, efficacissima”.
Ed eccoci ora catapultati nell’universo di senso e significato di Anna
Ciufo.
Nell’opera, tra le due, che ha riportato la vittoria recante
il titolo “Segni indelebili” l’artista dipinge, con una pittura materica e
densa, i ‘graffi’ lasciati sul volto di una donna dai dolori, dalle amarezze,
dai sogni infranti che ella vive.
Il volto appare appena accennato, con le palpebre abbassate
messe in evidenza, su uno sfondo forte e confuso.
Da sotto le palpebre trapelano e si allungano due “raggi”.
Lo sguardo da cui si dipanano è assente e sembra quasi non esserci, come sottolinea l’autrice stessa.
“Ma quei raggi – chiarisce Anna Ciufo - sono le esperienze dolorose che lasciano
nell’anima, e qualche volta anche sulla pelle, cicatrici dolorose al solo
ricordarle attraverso lo sguardo della memoria”.
Tra le
varie menzioni ci soffermeremo su quella conferita ad Antonio Magnotta con la
sua Venere.
Il motivo è
semplice. Si tratta di un’opera che si pone su una linea di confine tra pittura
e scultura.
Il lavoro, infatti,
secondo quanto spiega Mezzina nelle note critiche, è realizzato su una grande mattonella porcellanata, e presenta una figura di donna, la dea Venere, del titolo.
La dea
appare mollemente adagiata su un triclinio. A prima vista il soggetto si rifà
ad un gusto classicheggiante ma a ben vedere lo stile è tutto contemporaneo,
ben lontano dall’aspirazione ad una perfezione idealizzata.
Nella
sezione scultura la palma del vincitore va a Chiara Rojo con la sua opera
Ascensione.
Una
figurina esile scolpita nel bronzo allarga le braccia nell’atto di librarsi
verso l’alto. Ma quella che è un’ascesa ricorda anche, circolarmente una
crocefissione, con una sorta di croce che emerge dall’intreccio dei rami e
dalla peculiare posizione del soggetto protagonista della stessa.
Ad essere
premiato anche Gianni Morra con la sua opera Esaltazione (cui fa da contraltare
l’altro soggetto scultoreo dedicato alla Fragilità.
Dalle note
critiche: “Opera di straordinaria potenza dinamica ed emotiva. Il gruppo
scultoreo, che è di dimensioni contenute, ha un’architettura complessa. Due possenti destrieri, montati da amazzoni, sono scolpiti nell’attimo di più intenso
pathos, quando sul campo della battaglia è l’uomo a soccombere.
Eccezionale la
resa della concitazione del momento. Al
dinamismo della rappresentazione scultorea si accompagna la preziosità della ceramica raku, che aggiunge alla scena
luce e colore. L’impatto visivo globale è di rara bellezza".
Per
ammirare tutte le opere è possibile visionare il catalogo online della mostra:
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