martedì 18 marzo 2014

Il Vocabolario Sociale: le parole che tutelano i diritti

Ci vorrebbe più delicatezza nei confronti di quello che è importante per gli altri. Invece la gente di solito misura tutto sul proprio metro: quello che non fa male a me non fa male a nessuno. Quello che non è importante per me non è importante per nessuno. Ci vorrebbe più tenerezza, più cura, per ciò che non è nostro. (Fausto Maraldi).

Potrebbe cominciare da questa considerazione la riflessione sull'importanza di "parlare bene", dove per parlare bene non si intende un linguaggio forbito ed elegante nè corretto grammaticalmente (anche se una buona grammatica non guasta naturalmente) ma un uso consapevole delle parole che rispetti i diritti di coloro le cui storie, i cui frammenti di vita, vengono raccontati.


Parte da questa esigenza la creazione di un "Vocabolario sociale" (edito da Gesco), presentato giovedì scorso, 13 marzo, presso il Palazzo Reale partenopeo, nell'ambito del primo incontro destinato all'aggiornamento dei giornalisti della Campania (sia pubblicisti che professionisti).






Il convegno “Terzo settore e comunicazione sociale: parole e azioni che includono. Il Vocabolario sociale per una nuova deontologia dell’informazione” è organizzato dall’Agenzia cittadina del terzo settore e dal gruppo di imprese sociali Gesco nell’ambito delle attività del portale Napoli Città Sociale del Comune di Napoli, in collaborazione con l’Agenzia di stampa Redattore Sociale e con l’Ordine dei Giornalisti della Campania.

Le parole sono il primo baluardo a difesa dei diritti, come sottolinea il sociologo Fabio Corbisiero, e segnano l'evoluzione della società, il cambiamento di atteggiamento (e la relativa ricaduta comportamentale) nei confronti di determinati gruppi e sottogruppi, soprattutto di quelli a maggior rischio di esclusione e di marginalizzazione.

Un cambiamento che può essere solo di facciata, secondo quella che gli psicologi sociali chiamano acquiescenza, in base ad una moda, ad un'etichetta, ad un finto buonismo o all'adozione di uno stile "politically correct".

O può altresì costituire un cambiamento sociale epocale, segnando il passo di una reale e profonda "conversione" a livello individuale e  collettivo.

Le parole sono il primo avamposto a difesa dei diritti, dicevamo, e segnano il trionfo della consuetudine, del è opportuno comportarsi così a livello collettivo, su cui in seguito si edificheranno le fondamenta del diritto positivo.

Le parole difendono i diritti, o li negano, prima ancora che ci sia la formalizzazione delle leggi, quindi.

Arrivano prima della 104/92 e della Convenzione Onu del 2007 (ratificata in italia a fine 2009) a sottolineare che è importante lottare per una reale integrazione delle persone con disabilità in ogni settore della vita.

Prima del 196/2003 e successive modifiche ed integrazioni a difendere il diritto alla privacy ed a trattare con delicatezza l'intimità delle persone.

Prima della 190/2012 a trovare il coraggio e la dignità di  urlare a gran voce che bisogna dire no alla corruzione ed all'ottica clientelare  nel settore pubblico e non solo).

Di questo dovrebbero essere consapevoli tutti coloro, in prima linea i giornalisti, che delle parole hanno fatto il loro pane quotidiano.




Così come dovrebbero essere consapevoli, come viene sottolineato da più parti, che le parole che si sceglie di utilizzare non sono mai neutrali, ma portano con sè, marxianamente, tutta una sovrastruttura culturale, la propria immagine del mondo, cui è impossibile sfuggire, al di là di una sedicente "pretesa" di oggettività assoluta, come sottolinea il giornalista Francesco Romanetti.

Le parole sono "pietre" e come tali possono far male.

Ci si dovrebbe rendere conto che ci si sta muovendo su un territorio delicato e "scivoloso", quando una conversazione, sin dalle prime battute si trasforma in un attacco verso specifiche categorie, come sottolinea Nicola Blasi, curatore del Dizionario sociale assieme a Fabio Corbisiero ed alla giornalista Ida Palisi.

Un vocabolario che lungi dall'essere una matita blu e rossa delle cose che si dicono o che non si dicono vuole semplicemente essere uno strumento volto ad indicare nuove strade possibili per guardare al mondo ed all'altro da sè.

Nato da un sondaggio lanciato sul portale www.napolisociale.it in cui veniva chiesto ai lettori in merito a quale temi sentivano il bisogno di un approfondimento e maggiori spiegazioni il Vocabolario sociale  si snoda attraverso il significato attualizzato di alcuni termini divisi per macrocategorie (nella top list disabilità, immigrazione, omosessualità e differenze di genere), ma esamina anche il percorso compiuto dalle parole, con un excursus storico, e rintraccia anche i principali riferimenti di legge che l'hanno accompagnato come spiega Ida Palisi, che aggiunge come all'uso di specifiche parole corrisponda l'assunzione di profili di responsabilità nevralgici. 

Perchè con l'uso di alcune parole anzichè di altre si indirizza il tipo di comportamento verso alcune categorie.


A redigere il Vocabolario sociale i giornalisti Alessandra Del Giudice, Raffaella R. Ferrè, Luca Romano ed il sociologo Raffaele Masolino.




La sensibilità verso l'altro, l'apertura ad un dialogo vero e completo, dovrebbe guidare la scelta delle nostre parole anzichè la coercizione legata a leggi imposte dall'alto come ribadisce Patricia Bianchi, docente di Linguistica Italiana presso l'Università Federico II.

Perchè, e in questo gli studi sull'importanza delle Human Relations sono maestri, qualsiasi controllo, per quanto capillare, verrà evaso se coloro che dovrebbero assoggettarvisi non credono nei suoi principi ispiratori.


Naturalmente, visto che solo gli stupidi non cambiano idea, si è sempre in tempo per modificare, anche in maniera profonda e sostanziale il proprio universo di senso di riferimento.


Le parole, dunque sono i compassi che misurano l'ampiezza del mondo nel quale ci muoviamo, che permettono o negano l'accesso a vari ambiti, al pari di come fanno le barriere architettoniche nelle strutture urbane.


Sono le parole che permettono ad un individuo d prendere forma nella mente dell'interlocutore in maniera veritiera ed equilibrata o che altresì lo schiacciano in una categoria "a tenuta stagna".





Come succedeva (ed ancora succede spesso) per le persone con disabilità i cui attributi sociali, come ricorda Giampiero Griffo, responsabile della Sezione sulla Diversità della Biblioteca Nazionale di Napoli, sono: un po' sciancate (quindi è meglio che la persona vada 'piano piano'), con disabilità lieve, grave o gravissima (da questo dipende l'essere in carico o meno ad un istituto) e titolari o meno di pensione di invalidità (e qui si aprirebbe tutto un altro capitolo sulla questione relativa ai veri ed i falsi invalidi)

Non resta quindi che tenere il Vocabolario sulla propria scrivania, o sul proprio desktop, anche solo per fugare alcuni dubbi interpretativi che spesso possono trasformarsi in vere e proprie questioni esistenziali.


Per scaricarlo gratuitamente: http://www.napolicittasociale.it/portal/files/documenti/vocabolario-sociale.pdf

Nessun commento: