Giovedì 20 marzo alle ore 20.30 nella bellissima cornice di Villa Contarini Nenzi di Dosson di Casier (TV), in via Guizzetti, 78/82, lo scrittore Alessandro Pierfederici presenta i suoi due romanzi “Ritorno al Tempo che non fu" e "Ascesa al mondo degli immortali", entrambi pubblicati da edizioni del Leone – LCE.
Un incontro in cui le parole incontrano la musica in un "minuetto perfetto ed alchemico.
Gli intermezzi musicali eseguiti al pianoforte da Alessandro Pierfederici.
Dialoga con l'autore Franca Barzan.
L'evento, ad ingresso gratuito, è realizzato con il patrocinio dell'Assessorato alla cultura del comune di Casier.
La vicenda del romanzo “Ascesa al Mondo degli Immortali” di
Alessandro Pierfederici è ambientato al tempo della cosiddetta
Belle Époque.
A
descrivere questo periodo è lo stesso autore.
“Si
tratta di quel periodo fra Ottocento e Novecento in cui in Europa si
era consolidato un nuovo ordine politico che, sotto una pace
apparente, nascondeva tensioni e conflitti pronti a scatenarsi. Fu il
periodo dell’emigrazione di massa dall’Italia unificata, delle
repressioni armate dei moti popolari, delle disfatte nelle guerre
coloniali. Di lì a poco il mondo occidentale precipitò nel più
spaventoso conflitto bellico mai visto, il tragico punto di arrivo di
un’epoca, che distrusse, assieme a milioni di persone inconsapevoli
ed innocenti, l’eredità di secoli di storia”.
Un'epoca,
quindi, macchiata dal sangue e dalla violenza e attraversata da una
progressiva decadenza. Un tempo che, contrariamente a quanto sembra
suggerire il nome, è oscuro e “spettrale”. Così lo dipinge
l'autore del romanzo, che ambienta la vicenda tra belle epòque
triestina e viennese, creando un ponte tra le due realtà
territoriali e sociali.
“Centro
nevralgico, quasi simbolico, di questa decadenza – rimarca
Pierfederici - è la Vienna imperiale che l’enorme numero di
musicisti, scrittori, pittori, scienziati, uomini di cultura e
intellettuali allora attivi aveva reso una delle capitali culturali
del mondo. Tutti avvertivano il dramma che si andava preparando, ne
traevano linfa per le loro creazioni ma nello tesso tempo erano
prostrati dalla consapevolezza dell’impotenza a fronteggiarlo”.
A
questo clima di sgretolamento di un'epoca e delle sue certezze fa da
contraltare il senso di fallimento di Anton, il protagonista. Ne
nasce un'atmosfera lenta, attutita dove spira una sorta di aria di
catastrofe e morte incombente.
Il
protagonista aspira all'idea di infinito, a trascendere la finitudine
ed i limiti umani e lo strumento creativo scelto per salire la
lunga scala che conduce al cielo è l'arte ideale. Aspirare ad
un’arte ideale. La capacità dell'arte di aspirare all'infinito,
come ricorda l'autore, è ravvisabile nella perfezione e
nell'emozione suscitata da alcuni capolavori, così potenti che
l'anima stenta a credere sia possibile siano frutto di una mera mente
umana.
Di
fronte ai cocenti dolori dell'infanzia ed alle disillusioni
dell'adolescenza, Anton si convince che la realtà fattuale non è
altro che una pesante zavorra da cui liberarsi, in quanto è
considerato una limitazione al sogno di una creazione assoluta,
un’arte pura, e quindi impossibile. Negare il reale a favore di un
ideale difficile se non impossibile da raggiungere ed afferrare porta
Anton a vivere in uno stato di conflitto e di scissione perenne
dell'anima... in parole povere a “non vivere”.
Anton,
infatti, arriva sempre troppo tardi, è bloccato dall’insicurezza,
dal dubbio se sia giusto o meno agire d’istinto o proseguire sul
cammino che si è scelto, è tormentato da incertezze costanti,
perché il suo percorso si fonda sul vizio originario, l’idea di
poter scindere quotidianità e creazione artistica.
A
salvarlo, pur tra dubbi, ripensamenti ed esitazioni, sarà proprio la
musica , sotto una duplice veste. Sia a livello di interpretazione di
una musica altrui che tragga ispirazione dalla realtà sociale
dell'epoca, sia la musica che compone se stessa e che diviene
strumento per narrare i dissidi di un tempo, la miseria di un popolo
ed il dolore individuale e collettivo.
Il
suo approccio al mondo cambia radicalmente: da un universo al riparo
dalle emozioni ad uno dove le emozioni sono la cifra stilistica
dominante e si trasfondono con forza nella musica. In questo modo i
dolori e le delusioni, date e ricevute, non sono più qualcosa di
pericoloso da cui guardarsi e schermarsi, da negare, ma la vera
ricchezza dell'esistenza con cui confrontarsi costantemente.
“Non
sono più un sacrificio – chiarisce Pierderici – bensì una
benedizione, il segno indelebile della viuta vissuta. Sia il maestro
Kohn che l’amica Helene lo avvisano, a distanza di tanti anni, che
la scoperta dell’amore vero e del dolore vero (forse i due estremi
fra le emozioni umane) e la sua trasfigurazione nell’arte e poi
nell’anima dell’artista sono ciò che lo porterà davvero verso
l’immortalità della memoria”.
L’arte
perciò, come ribadisce l'autore, è strumento di salvezza non tanto
per un’epoca ed un mondo in rapida disgregazione (è l’illusione
coltivata invece dall’amico scrittore Ralli) quanto per l’artista
stesso. E la memoria eterna non è quella dei libri di storia e
delle enciclopedie, ma quella di coloro che hanno trovato, attraverso
l’arte, ma soprattutto attraverso la loro vita, la propria identità
e il proprio ruolo.
Anton
è sempre in cerca di certezze, di punti di riferimento stabili cui
aggrapparsi. Ma più li cerca, più le sue insicurezza esistenziali
lo fanno sentire in bilico, sulle sabbie mobili.
Ad un certo punto il suo approccio alla vita subisce una rivoluzione copernicana, che cambia irrimediabilmente il suo punto di vista.
“Aveva
rinunciato da giovane all’amore – racconta ancora Pierfederici -
alle amicizie, alla condivisione sociale in nome dell’ideale, e
comprende ora che l’arte, per essere davvero tale ed esprimersi
pienamente, gli richiede di tuffarsi a fondo nelle vicende umane, non
solo quando queste lo vengono a prendere e trascinare verso il
dolore, ma anche quando lo pongono di fronte ad una scelta: negazione
dei propri principi morali, tradimento dell’amico e vivificazione
artistica, o fedeltà a sé stesso e al proprio credo interiore e
conseguente, possibile fermata al di qua della grande ascesa
creativa?”
Il
tipo di scrittura prescelta vuole essere per il lettore una sorta di
scandaglio del tormento psichico del protagonista, messo di fronte al
bivio di una scelta che per lui implica un terribile abbrutimento
morale e che quindi ben presto diventa un vicolo cieco.
Quello che viene percepito da Anton come un vicolo cieco che viene rigettato in nome di una superiore levatura morale ed arte ideale diventa nei fatti reale abbrutimento autoimposto in qualche modo.
Quello che viene percepito da Anton come un vicolo cieco che viene rigettato in nome di una superiore levatura morale ed arte ideale diventa nei fatti reale abbrutimento autoimposto in qualche modo.
Quindici
anni di : isolamento, apatia, vanità, convinzione di essere
l’artista sommo incompreso da un mondo indifferente, misantropia e
dolore per chi lo ama.
Quando,
senza esserne consapevole fino in fondo, Anton sta per perdere
definitivamente se stesso, il dolore per la morte della madre (chi ha
dolore sente e chi sente è vivo) lo riporta alla vita, perchè “lo
costringe a tornare fra la gente, in un mondo che però ha le proprie
regole, inconciliabili con quelle dell’artista isolato e
idealista”.
E'
questo il tempo inevitabile del confronto, anche difficile, duro ed
aspro, con il reale. E' questo il tempo di mettersi davvero in gioco
anche a costo di farsi male e fallire davvero non solo nel mondo
delle idee e del pensiero solipsistico.
“Anton
accetta dunque – dice l'autore - a fatica e al termine di un lungo
travaglio interiore, il sacrificio di far penetrare il mondo nella
propria realtà di artista, ma ancora non comprende che quella è
solo una possibile via e non lo scopo finale”.
L’arte, secondo le parole di Pierfederici, è un mezzo di ascesa e
di assunzione di consapevolezza di sè non il punto di arrivo.
LA
TRAMA ED IL SENSO DEL LIBRO NELLE PAROLE DI CHI LO HA GENERATO
“Ascesa
al regno degli immortali” è la storia di un duro conflitto fra
queste due spinte opposte, conflitto che inizialmente ha per campo di
battaglia l’animo inquieto di un ragazzino votato a imprese
maggiori di lui e destinato a smarrirsi in un mondo inesistente, e
poi l’uomo adulto impegnato a far convivere in sé due pulsioni
apparentemente inconciliabili. La coesistenza tra versante ideale e
reale è possibile ma nasce solo da una successione di lotte,
delusioni, desideri inappagati e rimorsi, uno stato d’animo
ricorrente e costante nell’artista, anch’esso di matrice
autobiografica.
La
storia è colma di esempi di creatori moralmente riprovevoli, che
hanno però additato la via di una più alta esistenza ad un’umanità
da cui erano respinti o che addirittura detestavano, e suggerisce
l’ipotesi che forse è proprio tale convivenza che origina la vera
arte.
Citando
una frase tratta dal Ritratto di Dorian Gray “Il vizio e la virtù
sono per l’artista materia d’arte.”
L'arte
viene poi proposta come uno strumento di catarsi, individuale
innanzitutto.
Infatti,
se cessa di essere fine esclusivo dell’artista, se diventa
strumento per combattere prima di tutto contro la parte oscura di sé,
allora la via della conciliazione e della salvezza è possibile.
Tutto
dell’artista in quanto essere umano, il bello come il brutto, la
totalità dell’essere, entra nella sua opera. L'opera si nutre
della vita vera e così diventa di carne e sangue e propruio per
questo è in grado di generare profonde emozioni.
Il
riconoscimento in sé della natura difettosa, fragile, instabile di
uomo da parte dell’artista conduce ad una riconciliazione
interiore. Nella conclusione della storia, in cui il protagonista
dei quattro canti di Mahler diventa l’immagine trasfigurata dello
stesso Anton, questa ricomposizione avviene attraverso la
comprensione che arte, vita e morte mai sono state disgiunte e mai
potranno esserlo.
E'
questa la suprema consapevolezza che porta l’uomo, prima ancora che
l’artista, nel regno degli immortali.
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