sabato 30 maggio 2020

Tramonti di cartone: quando il monologo esistenziale sa farsi dialogo foriero di consapevolezza



Tramonti di cartone non racconta una sola storia ma tanti frammenti di storie: frammenti aguzzi, taglienti, che restituiscono al lettore dei segmenti di speranze disilluse, di paure, di ossessioni e di possessioni. 

Sì perché si può essere posseduti: da una paura che diventa nevrosi, da un legame che diventa legaccio, dal un amore finito o interrotto che si rifiuta di sfumare nella dolcezza del ricordo, ma resta arpionato al cuore, creando un dolore costante, con picchi acuti. 

E’ il senso acuto della separazione, dell’abbandono, della perdita, accompagnato però anche dalla speranza di non essere davvero soli. Una speranza che nasce da una condivisione autentica, trovando il proprio presupposto in una comune radice umana di fragilità, fallibilità e caducità, ma anche di empatia e resilienza.

Il tramonto, come sottolinea uno degli autori, Marcello Affuso, è proprio questo: un momento di passaggio verso nuove fasi e consapevolezze. E’ la luna che ancora deve spuntare; è il sole che sta per immergersi nel mare o nascondersi dietro un massiccio montuoso. 

I tramonti, poi, sono di cartone: infatti, è sul cartone che si possono sfumare meglio le tonalità pastello, quella arancione di un meriggio intenso; quella marrone di un terreno fecondo, che però a volte diviene arido e bruciato; quella verde dell’erba fresca ed odorosa, che ha il colore ed il sapore dei nuovi inizi possibili all’insegna del riscatto.

Un effetto alchemico ottenuto fondendo insieme varie nuance, anche quelle apparentemente più in contrasto, con le fibre legnose del cartone, che, talvolta, in seguito a forti sollecitazioni,  possono anche accartocciarsi, fendersi, deformarsi, “ferirsi” con grande facilità.

Il fascino e l’intensità di questo dialogo a più voci, dove si sommano vari monologhi interiori, con Valentina Bonavolontà, Giulia Verruti, Marcello Affuso, che trovano il loro contraltare nei disegni di Federica Crispo e nelle foto di Erica Bardi , risiede nel fatto che gestalticamente, sappiano dare vita ad una qualità emergente, ad un tutto che ha in sé qualcosa di molto diverso e più ricco della mera somma delle parti. 

E’ la possibilità concessa, non scontata né usuale, di guardare un medesimo frammento esistenziale riflesso e moltiplicato in vari specchi, da più angolazioni e prospettive, declinandolo attraverso diversi codici espressivi: la poesia, la prosa, i disegni, le fotografie. 

Una perfetta specularità e complementarietà li caratterizza, ma in ciascuno di essi si respira forte anche la storia e il percorso specifico, l’identità, del suo autore. 

Un’identità che, pur non perdendosi né annullandosi, sa farsi, attraverso un processo di sapiente amalgama, avvenuto in maniera naturale, senza forzature, scambio e confronto, collettività.

Ne nasce un percorso di costante ricerca di sé, tra occasioni afferrate, in extremis, in ostinata controtendenza, sull’orlo di una presa di consapevolezza e di una dimostrazione del coraggio di essere e diventare se stessi. Di possibilità perse, mancate, sfumate. Di promesse fatte, mantenute, violate. Di ritrovamento e di riconoscimento di se stessi, per poi rispecchiarsi nell’altro, tra somiglianze e differenze, pur nel rispetto della sua imprescindibile ed irriducibile specificità ed alterità.

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