lunedì 28 ottobre 2019

Menù in versione invernale per l’Archivio Storico: delizia del palato firmata da Pasquale Palamaro


Il nuovo menù, arrivato a salutare l’autunno e ad anticipare l’inverno, pensato da  Pasquale Palamaro, chef stellato consulente dell’Archivio Storico, ha il sapore della valorizzazione delle radici identitarie e delle tipicità territoriali, anche di quelle dimenticate, ma anche dei connubi arditi, che non ti aspetti, capaci di far incontrare materie prime apparentemente contrastanti ed inusitate, ma che solleticano fantasia, creatività e curiosità, viziano il palato, conquistando il gusto, e regalano un’esperienza sensoriale unica.


Un esempio? La sapiente silloge tra porcini, spigola ed olio alla vaniglia.

“Voglio – spiega lo chef stellato – che le persone si sentano trasportate dal gusto e in loro si generi la curiosità che il cambiamento porta con sé. Il mio obiettivo è creare cose nuove, che coniughino piacere ed emozione, e che portino le persone , sull’onda della curiosità, a tornare in un posto già vissuto con un’emozione diversa”.

Un viaggio nei sapori e nelle tradizioni della cucina borbonica che è anche una sfida, affrontata assieme a Luca Iannuzzi, con “forte rigore, nel preservare la storia e l’identità partenopea”.
Pasquale non nasconde che all’inizio si è dedicato a studiare ed approfondire le caratteristiche della cucina borbonica, dei piatti maggiormente graditi e consumati, e del Regno di Napoli, cercando poi di coniugare tradizione e innovazione.


“Mi soffermo sulle caratteristiche della materia prima e su come abbinarla – continua Palamaro –. Oggi prima creo il gusto e poi l’estetica del piatto, che è legata alla tecnica.  Una lezione che ho appreso dal grande tenore Andra Bocelli, che mi porta a pensare il piatto,  per poi assaggiarlo, ad occhi chiusi. Un piatto, quando lo mangi, deve emozionare,  regalando una sensazione di amore e naturalità”.

Insomma: un bel piatto potrebbe incantare gli occhi, portando l’avventore ad innalzare le aspettative del palato, ma poi risultare ingannevole e deludere il gusto. 

Tempi duri per chi crea in cucina, ed ama il cibo e le materie prime, tenendo conto di un percorso difficile ed a ostacoli tra allergie ed intolleranze alimentari, malattie metaboliche e patologie sistemiche.

Palamaro, in tal senso, parla di “senso della tavola”, della responsabilità, gravida di conseguenze, di non rovinare una serata a chi, per necessità o scelta, non può mangiare determinati alimenti e condimenti e che, magari, si è fatto coinvolgere dagli amici, nella speranza di visitare un nuovo locale, a tutta gradevolezza. E’ proprio lui a dover stare bene.




“Il nostro scopo – evidenzia lo chef – è donare un esperienza unica e ci dispiace se qualcuno è costretto a rinunciarvi. I nostri piatti, nel momento in cui li pensiamo, vengono letteralmente messi sotto esame, per farne emergere le criticità. La ricetta, ad esempio, viene sperimentata senza alcuni elementi, come il lattosio o l’olio d’oliva”.

Se nonostante gli stress test applicati, che sottraggono alla ricetta alcuni degli elementi, possibile causa delle principali allergie e intolleranze, il piatto non fosse comunque compatibile con le esigenze alimentari speciali del cliente, si può optare per un piatto basic, all’insegna della semplicità.
“Se serviamo uno spaghetto al pomodoro, ad esempio – ribadisce Palamaro – facciamo in modo che sia il miglior spaghetto al pomodoro mai gustato dal cliente”.

Se si parla di alimenti funzionali, che lo siano per caratteristiche intrinseche, signori  facciano un passo avanti le spezie, per sedersi in trono, dato che, per naturalità e proprietà terapeutiche, fanno davvero bene alla salute, intesa come benessere globale dell’individuo.

“La spezia è l’elemento integrante della ricetta – spiega Palamaro. In tal senso, io mi rifaccio alla scuola di Anthony Genovese che è riuscito in un piatto ad usare armoniosamente ben 5 tipi di spezie”.

Ad ingolosire anche i palati più esigenti la sua braciola cotta al vapore immersa nel brodo insaporito con limone e chiodi di garofano, per dare freschezza, come sottolinea lui stesso.

IL PERCORSO DI PASQUALE PALAMARO

Ventisei anni passati in cucina. E’ la sua tenacia, la sua passione e la sua esperienza ad aver portato Pasquale Palamaro ad essere ciò che è oggi: uno chef stellato, capace di ideare piatti in grado di stupire, abbinando materie prime di altissima qualità e sapori delicati o intensi,  che si muovono tra tradizione ed innovazione.

La sua grande occasione arriva già a 26 anni,  nel 2004, quando approda al Regina Isabella. Tranne alcune brevi parentesi, il Regina Isabella punta ancora, quasi esclusivamente, su una cucina di tradizione. 

Pasquale, però, ha voglia di imparare e di diversificare le sue proposte gastronomiche: per questo, con i guadagni estivi, riesce a frequentare 7-8 stage nel periodo invernale. Niente paga, lo fa a titolo gratuito, ma così ha la possibilità di apprendere alcune preziose lezioni all’interno di ristoranti stellati.

Di queste lezioni fa tesoro e così, nel 2010, arriva il salto di qualità, con l’idea di fare cucina gourmet al Regina Isabella. Un’idea che la famiglia Carriero sposa e sostiene. Così allo Sporting ed al Dolce Vita si affianca il ristorante Indaco.

I risultati, però, nei primi 3 anni, sono assai modesti, addirittura deludenti: dai 4 ai 6 coperti a settimana. Tra i 50 ed i 100 in un anno. Pasquale è demotivato ed amareggiato: pensa che la sua sia stata una scommessa persa, nonostante la passione, la forza di volontà e le competenze profuse. Sta per gettare la spugna, ma ecco che arriva una telefonata che cambia le cose e rimescola le carte: gli è stata conferita la stella Michelin. 

Siamo nel 2013: Pasquale Palamaro diventa uno chef stellato , portando con sé, tra gli astri, anche  il ristorante Indaco  e riscuotendo, finalmente, a conferma del fatto che la sua sia un’ide a vincente, un amplissimo consenso di pubblico, all’insegna del gusto.



Una competenza, una passione ed una creatività che oggi Pasquale Palamaro mette a disposizione anche dell’Archivio Storico, di cui è consulente.

La perizia sul versante beverage & food  ha trovato casa in un luogo suggestivo che Luca Iannuzzi ha letteralmente fatto realizzare da  0, partendo  dalle cantine di un palazzo situato nel cuore del quartiere Vomero. Un’operazione che è valsa al locale il premio Cultura Crea.

“Miriamo – spiega Iannuzzi  - ad offrire l’eccellenza assoluta, sia per la parte food sia per i cocktails. Questo grazie ad una ricerca accurata delle materie prime, che permettano di riprodurre il gusto dell’epoca, attraverso l’utilizzo di una certa pasta, ad esempio o di una certa verdura, caratteristici anche per la zona di provenienza”.

Come si può raggiungere quella che il filosofo Popper avrebbe definito la quadratura del cerchio, tra elevata qualità e prezzi, tale da permettere di gustare la cucina borbonica, non precludendosi un’esperienza unica?

Al fine di sostenere l’economia del locale c’è  un accurato studio del food cost, della marginalità, sia dei piatti sia dei cocktails, per permettere al locale di rimanere in vita, garantendo, al contempo, la massima qualità al cliente, senza che quest’ultimo sia costretto a privarsi di golosità irrinunciabili. 


IL TOUR NEL GUSTO PROPOSTO

Si comincia con una rivisitazione del Campari Spritz, un cocktail chiamato Bicicletta. Lo ha sempre chiamato così, infatti, Salvatore D’Anna, sin da quando  ne ha memoria.

Dopo aver stuzzicato le papille gustative, le danze del gusto si aprono con un antipasto di cavolo cappuccio brasato nel burro di nocciola, uova di lompo e capesante scottate. In questo incontro tra mare e monti, la gustosa salsa nasconde quello che c’è sotto, creando  un raffinato effetto sorpresa, in grado di soddisfare, viziandoli, anche i palati più esigenti. 

Si continua, in un crescendo di sapori, con i Vermicelli alla Borbonica, spaghetti all’aglio nero, olio e peperoncino, su carpaccio di orata e mollica di pane.



E’ poi il momento del secondo, con la braciola di vitello ripiene di pizza di scarola, salsa di pinoli tostati e alici di Cetara. Un intreccio di sapori, tra antico e nuovo, che delizia.

La coccola finale è rappresentata dal dolce, un eclair mandorle e lamponi, che ci riporta ai profumi, ai sapori ed alle consistenze della Francia dei Monzù (il termine è una rivisitazione tutta partenopea del francese monsieur), un pasticcino dalla tipica forma allungata, concepito come un intenso dialogo tra l’involucro glassato, composto da una pasta choux , e l’interno, caratterizzato da un cuore di crema pasticcera.



Il gusto del dolce è accompagnato ed esaltato da un drink classico, ideato dal bar manager che non abbandona mai i menu targati Archivio Storico:  un Clover  Club, a base di gin, vermouth dry, succo di limone, sciroppo di lampone ed albume, a richiamare, gemellandosi con esso, i sapori che caratterizzano l’appetitoso protagonista del fine pasto. 

** Foto di Simone La Rocca e di Paola Tufo
 


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