Il nuovo menù, arrivato
a salutare l’autunno e ad anticipare l’inverno, pensato da Pasquale Palamaro, chef stellato consulente
dell’Archivio Storico, ha il sapore della valorizzazione delle radici
identitarie e delle tipicità territoriali, anche di quelle dimenticate, ma
anche dei connubi arditi, che non ti aspetti, capaci di far incontrare materie
prime apparentemente contrastanti ed inusitate, ma che solleticano fantasia,
creatività e curiosità, viziano il palato, conquistando il gusto, e regalano
un’esperienza sensoriale unica.
Un esempio? La sapiente
silloge tra porcini, spigola ed olio alla vaniglia.
“Voglio – spiega lo
chef stellato – che le persone si sentano trasportate dal gusto e in loro si
generi la curiosità che il cambiamento porta con sé. Il mio obiettivo è creare
cose nuove, che coniughino piacere ed emozione, e che portino le persone ,
sull’onda della curiosità, a tornare in un posto già vissuto con un’emozione
diversa”.
Un viaggio nei sapori e
nelle tradizioni della cucina borbonica che è anche una sfida, affrontata
assieme a Luca Iannuzzi, con “forte rigore, nel preservare la storia e l’identità
partenopea”.
Pasquale non nasconde
che all’inizio si è dedicato a studiare ed approfondire le caratteristiche
della cucina borbonica, dei piatti maggiormente graditi e consumati, e del
Regno di Napoli, cercando poi di coniugare tradizione e innovazione.
“Mi soffermo sulle
caratteristiche della materia prima e su come abbinarla – continua Palamaro –.
Oggi prima creo il gusto e poi l’estetica del piatto, che è legata alla tecnica.
Una lezione che ho appreso dal grande
tenore Andra Bocelli, che mi porta a pensare il piatto, per poi assaggiarlo, ad occhi chiusi. Un
piatto, quando lo mangi, deve emozionare,
regalando una sensazione di amore e naturalità”.
Insomma: un bel piatto
potrebbe incantare gli occhi, portando l’avventore ad innalzare le aspettative
del palato, ma poi risultare ingannevole
e deludere il gusto.
Tempi duri per chi crea
in cucina, ed ama il cibo e le materie prime, tenendo conto di un percorso
difficile ed a ostacoli tra allergie ed intolleranze alimentari, malattie
metaboliche e patologie sistemiche.
Palamaro, in tal senso,
parla di “senso della tavola”, della responsabilità, gravida di conseguenze, di
non rovinare una serata a chi, per necessità o scelta, non può mangiare
determinati alimenti e condimenti e che, magari, si è fatto coinvolgere dagli
amici, nella speranza di visitare un nuovo locale, a tutta gradevolezza. E’
proprio lui a dover stare bene.
“Il nostro scopo –
evidenzia lo chef – è donare un esperienza unica e ci dispiace se qualcuno è
costretto a rinunciarvi. I nostri piatti, nel momento in cui li pensiamo,
vengono letteralmente messi sotto esame, per farne emergere le criticità. La
ricetta, ad esempio, viene sperimentata senza alcuni elementi, come il lattosio
o l’olio d’oliva”.
Se nonostante gli stress test applicati, che sottraggono
alla ricetta alcuni degli elementi, possibile causa delle principali allergie e
intolleranze, il piatto non fosse comunque compatibile con le esigenze alimentari
speciali del cliente, si può optare per un piatto basic, all’insegna della semplicità.
“Se serviamo uno
spaghetto al pomodoro, ad esempio – ribadisce Palamaro – facciamo in modo che
sia il miglior spaghetto al pomodoro mai gustato dal cliente”.
Se si parla di alimenti
funzionali, che lo siano per caratteristiche intrinseche, signori facciano un passo avanti le spezie, per
sedersi in trono, dato che, per naturalità e proprietà terapeutiche, fanno
davvero bene alla salute, intesa come benessere globale dell’individuo.
“La spezia è l’elemento
integrante della ricetta – spiega Palamaro. In tal senso, io mi rifaccio alla
scuola di Anthony Genovese che è riuscito in un piatto ad usare armoniosamente
ben 5 tipi di spezie”.
Ad ingolosire anche i
palati più esigenti la sua braciola cotta al vapore immersa nel brodo
insaporito con limone e chiodi di garofano, per dare freschezza, come
sottolinea lui stesso.
IL
PERCORSO DI PASQUALE PALAMARO
Ventisei anni passati
in cucina. E’ la sua tenacia, la sua passione e la sua esperienza ad aver
portato Pasquale Palamaro ad essere ciò che è oggi: uno chef stellato, capace
di ideare piatti in grado di stupire, abbinando materie prime di altissima
qualità e sapori delicati o intensi, che
si muovono tra tradizione ed innovazione.
La sua grande occasione
arriva già a 26 anni, nel 2004, quando
approda al Regina Isabella. Tranne alcune brevi parentesi, il Regina
Isabella punta ancora, quasi esclusivamente, su una cucina di tradizione.
Pasquale, però, ha voglia di imparare e di diversificare le sue proposte gastronomiche: per questo, con i guadagni estivi, riesce a frequentare 7-8 stage nel periodo invernale. Niente paga, lo fa a titolo gratuito, ma così ha la possibilità di apprendere alcune preziose lezioni all’interno di ristoranti stellati.
Pasquale, però, ha voglia di imparare e di diversificare le sue proposte gastronomiche: per questo, con i guadagni estivi, riesce a frequentare 7-8 stage nel periodo invernale. Niente paga, lo fa a titolo gratuito, ma così ha la possibilità di apprendere alcune preziose lezioni all’interno di ristoranti stellati.
Di queste lezioni fa
tesoro e così, nel 2010, arriva il salto di qualità, con l’idea di fare cucina gourmet al Regina Isabella. Un’idea che
la famiglia Carriero sposa e sostiene. Così allo Sporting ed al Dolce Vita si
affianca il ristorante Indaco.
I risultati, però, nei
primi 3 anni, sono assai modesti, addirittura deludenti: dai 4 ai 6 coperti a
settimana. Tra i 50 ed i 100 in un anno. Pasquale è demotivato ed amareggiato:
pensa che la sua sia stata una scommessa persa, nonostante la passione, la
forza di volontà e le competenze profuse. Sta per gettare la spugna, ma ecco
che arriva una telefonata che cambia le cose e rimescola le carte: gli è stata
conferita la stella Michelin.
Siamo nel 2013: Pasquale Palamaro diventa uno
chef stellato , portando con sé, tra gli astri, anche il ristorante Indaco e riscuotendo, finalmente, a conferma del
fatto che la sua sia un’ide a vincente, un amplissimo consenso di pubblico,
all’insegna del gusto.
Una competenza, una
passione ed una creatività che oggi Pasquale Palamaro mette a disposizione anche
dell’Archivio Storico, di cui è consulente.
La perizia sul versante
beverage & food ha trovato casa in un
luogo suggestivo che Luca Iannuzzi ha letteralmente fatto realizzare da 0, partendo dalle cantine di un palazzo situato nel cuore
del quartiere Vomero. Un’operazione che è valsa al locale il premio Cultura Crea.
“Miriamo – spiega
Iannuzzi - ad offrire l’eccellenza
assoluta, sia per la parte food sia
per i cocktails. Questo grazie ad una ricerca accurata delle materie prime, che
permettano di riprodurre il gusto dell’epoca, attraverso l’utilizzo di una
certa pasta, ad esempio o di una certa verdura, caratteristici anche per la
zona di provenienza”.
Come si può raggiungere
quella che il filosofo Popper avrebbe definito la quadratura del cerchio, tra elevata
qualità e prezzi, tale da permettere di gustare la cucina borbonica, non
precludendosi un’esperienza unica?
Al fine di sostenere
l’economia del locale c’è un accurato
studio del food cost, della
marginalità, sia dei piatti sia dei cocktails, per permettere al locale di
rimanere in vita, garantendo, al contempo, la massima qualità al cliente, senza
che quest’ultimo sia costretto a privarsi di golosità irrinunciabili.
IL TOUR NEL GUSTO PROPOSTO
Si comincia con una
rivisitazione del Campari Spritz, un cocktail chiamato Bicicletta. Lo ha sempre chiamato così, infatti, Salvatore D’Anna,
sin da quando ne ha memoria.
Dopo aver stuzzicato le
papille gustative, le danze del gusto si aprono con un antipasto di cavolo cappuccio brasato nel burro di nocciola, uova
di lompo e capesante scottate. In questo incontro tra mare e monti, la gustosa
salsa nasconde quello che c’è sotto, creando
un raffinato effetto sorpresa, in grado di soddisfare, viziandoli, anche
i palati più esigenti.
Si continua, in un
crescendo di sapori, con i Vermicelli
alla Borbonica, spaghetti all’aglio nero, olio e
peperoncino, su carpaccio di orata e mollica di pane.
E’ poi il momento del
secondo, con la braciola di vitello
ripiene di pizza di scarola, salsa di pinoli tostati e alici di Cetara. Un
intreccio di sapori, tra antico e nuovo, che delizia.
La coccola finale è
rappresentata dal dolce, un eclair
mandorle e lamponi, che ci riporta ai profumi, ai sapori ed alle
consistenze della Francia dei Monzù (il termine è una rivisitazione tutta
partenopea del francese monsieur), un
pasticcino dalla tipica forma allungata, concepito come un intenso dialogo tra
l’involucro glassato, composto da una pasta choux , e l’interno, caratterizzato
da un cuore di crema pasticcera.
Il gusto del dolce è accompagnato
ed esaltato da un drink classico, ideato dal bar manager che non abbandona mai
i menu targati Archivio Storico: un Clover Club, a base di gin, vermouth dry, succo
di limone, sciroppo di lampone ed albume, a richiamare, gemellandosi con esso,
i sapori che caratterizzano l’appetitoso protagonista del fine pasto.
** Foto di Simone La Rocca e di Paola Tufo
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