mercoledì 6 novembre 2019

Tempo di inclusione a Città della Scienza: per riflettere insieme


A Napoli, lo scorso giovedì, 31 ottobre, dalle 12 alle 13.30 è giunto finalmente il tempo dell’ inclusione (Inclusion Time).

Location Città della Scienza (HUB 2019 – Aula F), tempio odierno della divulgazione scientifica e motore di iniziative educative di grande calibro.

La rassegna, all’interno della quale questa iniziativa è stata inserita, è quella dedicata a Scuola HUB, il Salone della didattica innovativa, una tre giorni promossa dal Ministero dell’Istruzione. Presenti oltre 300 istituti campani.



Includere vuol dire soddisfare positivamente quello che Maslow definisce come bisogno d’appartenenza. Vuol dire fare gruppo, riconoscere le reciproche differenze, valorizzandole, ma anche le somiglianze, le vicinanze spesso misconosciute, quando non ancora temute, laddove vengano impropriamente associate a fragilità, a debolezze e ad una perdita di valore.
Vuol dire attuare concretamente tutti quegli strumenti che permettano di esercitare fattivamente il proprio diritto/dovere di cittadinanza attiva.

Inclusione vuol dire fare ognuno la propria parte, consapevolmente ed attivamente, affinché ogni persona abbia il proprio legittimo posto nel mondo. Fare la propria parte, creando consapevolezza soprattutto a partire dai più giovani. Vuol dire assumersi l’onere e l’onore di un patto formativo, all’insegna dell’educazione alla differenza e della valorizzazione delle specifiche condizioni esistenziali di ogni individuo.

Un’educazione che può e deve sfruttare la potenza e la pervasività messa a disposizione anche dai new media, che possono arrivare davvero ovunque, divenendo vettori di un’immagine differente  delle persone con disabilità e di chiunque viva una condizione di difficoltà che possa generare un doloroso senso di inadeguatezza e di disvalore, creando, progressivamente, il vuoto attorno foriero di isolamento sociale e di un dilaniante sentimento di solitudine.

A parlarne, declinando ognuno uno specifico aspetto, sono intervenuti:

-          Francesco Baldi, coordinatore regionale della Campania del M.I.D (Movimento Disabili Italiani) e dell’Associazione  I ragazzi della Barca di Carta con il suo progetto Rainbow Diversamente Radio.
-          Nicola Toscano, presidente dell’Associazione Mente e Coscienza.
-          Mario Buccigrossi, vicepresidente dell’Associazione Mente e Coscienza.
-          Francesco Preziuso, presidente, tra le sue varie anime, dell’Associazione Sunshines Raggio di Sole Onlus.
-          Alessia De Filippo, organizzatrice dell’evento, coordinatrice del MID sezione Giovani, presidente dell’Associazione Laecheln, Sorridi puoi.
-          Emanuele Giuseppe Adiletta, ideatore del progetto, ex balbuziente, delegato regionale dell’Associazione Crescere Parlando, consigliere dell’Associazione Mente e Coscienza. Per entrambe si occupa della sezione Balbuzie.

Ha moderato l’incontro Tania Sabatino, sociologa giornalista e divulgatrice scientifica.



Il termine inclusione non è un parolone difficile… L’inclusione non è fatta solo e soprattutto da carte, piene di parole astruse,  che vengono compilate da medici, insegnanti o segreterie didattiche.

I veri protagonisti dell’inclusione sono gli interlocutori che ogni essere umano incontra nella propria quotidianità.

Sono i compagni di scuola ed i potenziali amici,  perché sono proprio loro a fare gruppo all’interno e fuori da una classe.

Chi può far parte di un gruppo? Solitamente vogliamo che ne faccia parte chi ci piace, chi ci è simpatico, chi pensiamo sia “figo”.

Ma per scegliere chi ci sia simpatico dovremmo conoscerlo davvero, non fermarci ad un’apparenza, ad un’idea rigida, che magari ci siamo fatti guardando la tv o sentendo parlare qualcun altro, in base ad un superficiale, ma pericoloso, sentito dire. 



E’ necessario e bello guardare l’altro negli occhi, anche se ci sembra, nell’aspetto, molto diverso da noi. E’ necessario parlarci vicendevolmente con rispetto. Il rispetto non è tanto il rivolgersi al proprio interlocutore dandogli del lei, bensì il cercare di capire davvero chi sia l’altro che abbiamo di fronte, entrando in relazione con il suo universo di senso e significato.

Solo così sarà possibile capire che siamo più simili di quanto pensavamo, che all’altro piacciono molte cose che piacciono anche a noi . Che l’altro è una specie di porta magica  che ci può condurre, se siamo abbastanza curiosi e non abbiamo paura di conoscere mondi nuovi, in altri modi di vedere e di vivere il mondo.

Che ognuno ha le sue difficoltà, che lo portano a fare con più fatica alcune cose, ma che possiamo aiutarci l’un l’altro e che questo aiuto è una specie di motore a reazione potentissimo, di quelli galattici, che ci aiuta a raggiungere prima e meglio gli obiettivi prefissati.

Alcune persone, giovedì 31, come Alessia De Filippo, hanno mostrato come si possa ripartire e raggiungere grandi risultati nonostante la vita si trasformi, cambiando improvvisamente e bruscamente le geometrie di un’esistenza, e ci trasformi parallelamente. 



Ci ha guidato nel cuore di un papà che vuole insegnare al proprio figlio ad amarsi, spiegandogli che non occorre essere abili ma semplicemente  se stessi, nella propria unicità, valorizzata da chi ci ama profondamente. Lo ha fatto attraverso il ricorso ad un albo illustrato, corredato da poche parole, ma significative: Sei unico di Christophe Mourey e Bruno Tognolini.

 Altre, come Nicola Toscano e Mario Buccigrossi, ci hanno condotto nel modo di approcciarsi alla realtà, aiutandoci a metterci nei loro panni, dei non vedenti e non udenti, guidandoci nel  toccare le cose in maniera differente.

Francesco Baldi ha sottolineato l’importanza di inserire nei palinsesti dei grandi network i temi della valorizzazione della differenza, dell’inclusione, della disabilità. Ed ha parlato di alcune nuove disabilità, nate dall’isolamento sociale e della paura di affrontare il mondo esterno, come quelle legate agli Hikikomori, ragazzi che lasciano la scuola, rinunciano a qualsiasi forma di confronto e di aggregazione e vivono reclusi in una stanza.


Francesco Preziuso ha raccontato la loro esperienza associativa volta a favorire l’aggregazione, la partecipazione sociale ed una costruzione positiva e propositiva della quotidianità, con una forte spinta verso l’autonomia nelle azioni e l’indipendenza nelle scelte, di persone affette dalla sindrome di down di varie età.

Spazio, poi, al ruolo nevralgico svolto dagli ausili tecnologici, da quelli più semplici e di uso quotidiano per chi non vede, a quelli più avanzati, come gli impianti cocleari, che è necessario che il bambino utilizzi in una fase quanto più primigenia possibile, in maniera tale da strutturare in base ed intorno ad esso la sua identità, attraverso un modo specifico di rapportarsi alla realtà.



Emanuele Giuseppe Adiletta ci ha fatto “sentire” dall’interno come alcune prese in giro che spesso facciamo, con leggerezza e magari senza cattiveria, a chi balbetta, perché ci fa ridere e sentire più “fighi”, possano avere un effetto disabilitante, per quella persona e ci ha fatto comprendere come sia inutile spronarlo a stare calmo ed a parlare, perché quell’individuo in quel momento è totalmente bloccato, se potesse parlerebbe, ma non ci riesce e questi incitamenti assumono la funzione di giudizi svalutanti e non fanno altro che aumentare il suo irrigidimento e il suo sentimento di inadeguatezza.

Cosa vuol dire disabilitare un individuo? Succede la stessa cosa che accade ad un pc a cui togliamo alcune funzioni e che, di conseguenza, funziona al di sotto delle possibilità e della potenza con la quale è stato inizialmente programmato. Un pc che è stato programmato per fari grandi cose complesse, ma funziona a regime ridotto, minimo, fino a spegnersi del tutto.




Solo che abbiamo a che fare con una persona e quell’individuo soffre, ci rimane male per le prese in giro, per le parole superficiali che lo colpiscono duramente come pietre , si sente piccolo piccolo, inadeguato, sbagliato, solo e così se ne sta in disparte, non si esprime davvero e non farà mai vedere a chi ha di fronte chi è e cosa sa e può fare, con il risultato come accade spesso, di risultare antipatico. E tante cose belle e importanti da fare insieme andranno perdute per sempre, rendendoci tutti più poveri.

Ognuno di noi è un po’ come Spiderman: ha un grande potere sugli e verso gli altri, oltre che verso se stesso, ma da questo potere derivano grandi responsabilità. A voi, con la guida di chi vive una condizione, trasformandosi in una sorta di co-pilota, imparare ad usare il grande potere dell’inclusione sociale.

** Foto di Valentina Egizio

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