giovedì 16 marzo 2023

Artemisia: al Teatro Tram un secondo fine settimana dedicato alla grande pittrice

 


Lo spettacolo Artemisia andrà in scena al teatro Tram anche questo fine settimana lungo, a partire da stasera, giovedì 16 marzo e fino a domenica 19 marzo. Sulla scena Titti Nuzzolese e Antonio D'Avino con la regia di Mirko Di Martino.

Titti Nuzzolese e Antonio D'Avino danno vita a personaggi intensi, sofferti, vividi, fragili, tormentati e carismatici, che costituiscono il canto e il controcanto l'uno dell'altra.


Per Artemisia non c'ė tenerezza né  riscatto possibile da parte dell'altro da sé. Lei può trovare la forza solo in sé stessa e nella sua sofferta indipendenza.



Infatti, la rappresentazione teatrale propone una riflessione sulla vita di una grande pittrice che non riuscì mai a essere riconosciuta fino in fondo,  secondo le parole del regista, anche come un' artista a tutto tondo. Scontò il fio di vivere in una società dominata dagli uomini e le sue opere ebbero sempre come  principali committenti e destinatari gli stessi uomini. Esponenti di una società maschilista e patriarcale che la giudicò e la manipolò per tutta la vita. Una manipolazione cominciata con il padre Orazio che la considerò sempre alla stregua di una merce di scambio di sua proprietà e ne sminuì il valore, benché il suo talento fosse indiscutibile.


" Artemisia - sottolinea il regista Di Martino - non riuscì a instaurare una nuova temperie artistica al femminile, a cambiare il corso delle cose. Rimase un'eccezione e in quanto tale eccezionale, un fenomeno".


Lei seppe, nonostante i demoni interiori che la tormentavano, trovare una strada di possibile dialogo con questa società, manipolarla a sua volta e affermare il proprio concetto di pittura, la propria  interpretazione di alcune storie chiave delle scritture bibliche.


"Quindi erose lentamente - continua il regista -  questa società dall'interno, non  riuscendo ovviamente a scardinarne i principi fondatori".


I personaggi maschili che la affiancano nello spettacolo, secondo quanto chiarisce il regista, sono frutto della sua stessa proiezione interiore.


La pièce nasce da un lungo lavoro di analisi degli atti del processo, dalla ricerca di articoli e di scritti correlati, che non è stato facile rintracciare.


Capacità analitica, concretizzatasi in un certosino processo di ricerca documentale, e intensità interpretativa, frutto di un lacerante percorso di scavo interiore, si fondono a creare un risultato che indigna, intenerisce, commuove... che non lascia indifferenti e tocca varie corde dell'anima.


" Su alcuni lunghi anni della vita di Artemisia - evidenzia De Martino - è praticamente caduto il silenzio: non si sa nemmeno la data della sua morte, ma solo che avvenne a Napoli".


Sul palco troviamo la pittrice ormai anziana, dilaniata dai suoi incubi, che si alimentano dei ricordi del processo.
Alla fine, lei capisce che è lei e solo lei a poter valutare la sua arte e a decidere della sua stessa vita e di chi vuole essere.


Ma questa consapevolezza profonda, questa piena affermazione di sé, arriva troppo tardi, sul finire  della sua vita.


Infatti la sua ultima opera, la tela bianca cui accenna, non verrà mai dipinta e probabilmente sarebbe stata la sua opera più grandiosa, frutto della sua piena maturità umana e artistica.


Il regista evidenzia come abbia voluto affiancare alla lettura tradizionale delle storie bibliche - che sono dominate dall'elemento maschile, da un Dio che usa la donna come un suo strumento, come un oggetto  - l'interpretazione elaborata da Artemisia che invece vede la donna come una protagonista consapevole di una scelta e di una missione.


Una donna che cerca consapevolmente la solidarietà e l'aiuto delle altre donne, come nel caso della sua versione di Giuditta e Oloferne, in cui l'eroina viene aiutata dalla serva che, invece, nella versione classica rimane al di fuori della tenda.


Una solidarietà femminile che probabilmente la pittrice non sperimentò mai nella sua realtà e nella sua quotidianità. Anzi fu giudicata e condannata  dalle stesse donne, a partire dalla sua balia Tuzia che fu una delle sue maggiori accusatrici e detrattrici nell'ambito del processo.

La Nuzzolese instaura  un'ideale continuità con altri personaggi, come per esempio Frida Kahlo, attraverso lo spazio e il tempo.


"Si tratta di donne - evidenzia il regista - il cui spessore artistico è  stato offuscato dalla loro vicenda umana".

Un'identità  femminile che indica per i loro interlocutori maschili,  una diminutio di valore, dove la figura muliebre viene declassata a donnicciola e la sua arte a una "cosa da donne". 

domenica 26 febbraio 2023

Io sono Fedra: al teatro Tram una tragedia di amore e tentativi di riscatto

 In Io sono Fedra di Marina Salvetti, in scena al teatro Tram fino a oggi, domenica 26 febbraio con la regia di Gianmarco Cesario, assistiamo ai conflitti che albergano in ognuno di noi.

Infatti, in tutti i personaggi, come ci racconta il regista, alberga luce e ombra. Nessuno è esente da zone oscure e, proprio per questo, il regista, nella resa scenica, ha fatto grande uso dei chiaroscuri, a indicare un'oscurità che dall'interno esonda e si palesa all'esterno.


La stessa conflittualità intride anche i dialoghi che spesso vengono origliati nell'ombra. Come evidenzia l'attrice Titti Nuzzolese, che dà le fattezze a Fedra, su ogni cosa spira un'aura di sacralità simile a quella che permea i testi originari: l'Ippolito di Euripide e la Fedra di Seneca, oggetto di un'operazione di attualizzazione. Mentre nell'originale avevamo una consacrazione alla dea Diana, ora abbiamo una consacrazione a Dio Padre che in entrambi i casi viene in qualche modo tradito. 

Ippolito, infatti, si trincera dietro una fede dogmatica e si fa scudo con regole rigide che generano facili giudizi. 

Fedra, nonostante la cerchi disperatamente, non arriva mai a sviluppare una reale e sentita fede, ma si rifugia nel seminario per convenienza, per sfuggire al suo passato e affrancarsi da legami pesanti è scomodi. 

Ciononostante  per entrambi il seminario rappresenta un luogo di ritrovata pace e di salvezza possibile.

 Il personaggio di Fedra è protagonista di un conflitto lacerante, erosivo e feroce. Cerca di salvarsi, ma non riesce mai ad affrancarsi veramente dalle sue origini e dal marchio della sua famiglia, abitata da sopruso e violenza. 

Il giudizio più pesante proviene proprio da sé stessa che non si ritiene meritevole, in fondo, di ciò che ha legittimamente conquistato e di un amore puro e disinteressato. E' vittima di bullismo, perché Ippolito Costantini attiva la macchina del fango, andando a sminuire la radice stessa della sua identità, con lo scopo di dare origine a un passaparola di maldicenze, come sottolinea il regista Gianmarco Cesario.



Gli attori in scena (Titti Nuzzolese, Antonio Buonanno, Errico Liguori, Antonello Cossia) danno anima e sangue a personaggi, che si dibattono tra conflitti e umanissime fragilità, in cui i desideri e gli istinti negati si insinuano sotto la pelle e rischiano di deflagrare con violenza.

Ora lasciamo la parola a Titti Nuzzolese, affinché dia voce alla sua Fedra, ai suoi conflitti multipli, ma anche al suo bisogno di riscatto, che rifugge da un'interpretazione della fede estremista, alla ricerca di quella pietas e di quell'empatia che ci può salvare dall'inferno peggiore: quello dei pregiudizi e degli stereotipi, che non ci consentono di vedere il vero volto delle persone che abbiamo di fronte e di percepirne l'essenza.

L'INTERVISTA

D. In cosa Chiara/Fedra rimane fedele al personaggio originario in cosa se ne discosta?

R. Resta sicuramente l’aspetto psicologico, seppure il dramma si svolga in altra epoca e contesto, resta vivo il tormento di una donna che sente di custodire il seme del male e di non riuscire a conviverci e a trovare un equilibrio. 

D. L'attualizzazione/trasposizione sposta la proibizione dal tema dell'incesto a quella della consacrazione a Dio. Qual è  il fil rouge

R. Anche nel testo di Euripide è presente forte una sacralità che interviene sui personaggi, ovviamente prima di tutto su Ippolito. In questo caso ci muoviamo in un contesto fortemente cattolico che rappresenta per entrambi i personaggi una rinascita ed anche un modo di dare senso alla propria esistenza. Tuttavia questo Padre, inteso come Dio, viene da entrambi tradito, Fedra non si riconosce fino in fondo nella fede e Ippolito fa della fede uno scudo per le proprie fragilità. Lei si sente una minaccia per il percorso di Ippolito che sente “pulito” rispetto al suo passato. 

D. Quant'è  stato difficile calarsi nei panni di un personaggio che vive conflitti così forti con sé stessa, tra voglia di riscatto e vergogna?

R. Dare verità ad un dolore così distruttivo non è stato facile, ho sentito immediatamente il bisogno di allontanarmi dal ragionamento e lavorare di pancia, cercando sentimenti talvolta violenti affinché diventasse per me plausibile il gesto estremo nella nostra attualità. Devo dire che  il contesto in cui si svolge tutta l’azione scenica mi ha aiutata tantissimo.

D. Alcuni passaggi si muovono tra il pedagogico e il didascalico. Si esplicita che occorre essere pieni di empatia e pietas e che le regole a volte vanno violate non per convenienza o vigliaccheria ma per coraggio e in cerca di salvezza. Secondo te è  stata un'operazione necessaria dati i tempo che viviamo per rendere il messaggio chiaro, univoco, inequivocabile e incisivo?

R. Credo che oggi più che mai si ha necessità di tornare all’essenza.  Soprattutto quando si parla di fede. Troppo spesso ci troviamo ad assistere ad un utilizzo improprio e fanatico della fede, per cui ho trovato molto interessante portare a teatro ragioni e pensieri che parlano di semplicità e ascolto e non di inutili e talvolta pericolosi stereotipi. 

sabato 19 novembre 2022

Bathroom: un dialogo con le proprie paure più profonde al Tram di Port'Alba

Una donna dialoga con sé stessa allo specchio, nell'intimità del suo bagno. E' questo lo scenario dello spettacolo Bathroom, andato in scena al Tram di Port'Alba fino a domenica 13 novembre. 

Un'intensa Valeria Impagliazzo scrive e interpreta il dilemma dei dilemmi, apparentemente scontato nella sua quotidianità. Ma che sa scavare in profondità. 




"Non volevo raccontare una storia lineare, bensì offrire uno spaccato dell'esistenza di questa donna che si trova sola nella notte e fa i conti con le sue ansie quotidiane e le sue paure, tra cui l'abbandono, lo spaesamento e lo sradicamento". 

 Questa è la storia di un di una relazione interrotta, ma anche del desiderio di ritrovare se stesse pur se nella solitudine. 

Non ci sono né vittime ne carnefici anche se la protagonista nei cerca quasi ossessivamente uno, per trovare una ragione alla sua sofferenza. 

Un pensiero ossessivo che ritorna in loop anche quando regna una calma apparente e che irrompe nella quotidianità della protagonista - intenta a farsi la ceretta a passarsi la crema sul corpo - sotto forma di un rumore sospetto, proveniente dall'esterno.




 Un altro segnale proveniente dall'esterno è  rappresentato dal trillo dei messaggi mandati da un'amica, che forse sta vivendo una situazione simile a quella che la protagonista ha appena reciso. 

" Il mio spettacolo, che ha la forma di un monologo - sottolinea l'autrice - è frutto di osservazioni costanti dirette e indirette dalle quali ho dedotto che la nostra generazione si trova al centro di relazioni sbilanciate, generate da una adultità negata e da una profonda immaturità emotiva". 

C'è una donna in scena che racconta la sua storia, ma il messaggio risulta universale, perché la paura dell'abbandono e il senso di sradicamento che ne segue appartengono sia alle donne sia agli uomini. 

A fare da complemento narrativo al monologo ci sono le musiche sonorizzate dal chitarrista e compositore Pasquale Ruocco che rappresentano un vero e proprio tappeto musicale con cui le parole di Valeria sono costantemente in dialogo e in interazione. 

Pasquale Ruocco rappresenta il punto di vista maschile, all'insegna della complementarietà. Da Caliente Caliente a Forte forte forte, passando per Rumore, le canzoni di Raffaella Carrà fanno compagnia e confortano la protagonista, in maniera molto tenera. 

" Ho quasi una sorta di malattia per Raffaella Carrà - sottolinea la Impagliazzo -. Un'antesignana di alcune tendenze profondamente contemporanee, capace di affrontare temi difficili con femminilità, eleganza e inusuale erotismo. Sulla scena, come evidenzia l'attrice, ha dovuto trovare la sua misura. Lo spettacolo, infatti, mette in scena stati d'animo spesso contraddittori e appare necessario non farsene fagocitare, "mantenendo la barra dritta" e il giusto distanziamento. Un equilibrio molto difficile e faticoso. 




La conclusione segna il passo di un finale aperto, teso tra un legittimo desiderio di essere indipendente nell'autodeterminarsi e una sorta di resa all'idea di non essere ancora pronta a proiettarsi all'esterno, duellando nell'agone di incontri carnali multipli senza senso. Il teatro Tram si conferma uno spazio off che ha accettato la sfida di portare sulla scena temi difficili e delicati, all'insegna della professionalità a 360 gradi, rifuggendo qualunque tipo di dilettantismo. 

Il prossimo appuntamento con Bathroom sarà  il 28 e il 29 gennaio 2023 al teatro Civico 14 di Caserta. Nel frattempo Valeria continua a formare alacremente giovani leve - tra etica e estetica - nel suo laboratorio teatrale di Scafati. 

domenica 6 novembre 2022

E' tutta colpa della luna: una malattia che consuma... un sentimento che può salvare

 Dopo l'ultima intensa serata di rappresentazione dello spettacolo È tutta colpa della Luna, svoltasi stasera, domenica 6 novembre, al teatro Tram di Port'Alba, e un po' di tempo dedicato a  digerire pensieri ed emozioni torno a parlarvene, condividendo con voi l'intervista integrale a Francesco Luogo, che lo ha scritto, diretto e interpretato.



Attraverso una narrazione che procede a strati e la mistione di testi, Francesco Luongo porta in scena un'intensa riflessione sulle conseguenze dell'amore malato e tossico che rivela di essere un non-amore.

Un sentimento oscuro, torbido, che nasce da una ferita e inevitabilmente produce una ferita con esiti orribili e funesti. 

 Con lui - che cura anche la regia dello spettacolo -  sulla scena due intensissime attrici che lo aiutano a parlare di questi amori straziati e strazianti, come vengono definiti con un gioco di parole quanto mai calzante: Chiara Barassi e Sonia Totaro.

 
Protagoniste sono alcune donne del mito e frutto della fantasia, quali Elena di Troia, Lady Macbeth le protagonoste dei versi di Salvatore Di Giacomo o ancora Assunta Spina. A loro si affiancano figure muliebri silenti e anonime. Piccole donne al centro di microstorie ugualmente tragiche e importanti. 

Donne che non hanno avuto il tempo di fuggire e di salvarsi, alla ricerca di un riscatto possibile.
Lo spettacolo si apre ricordando che in tutto l'universo non ci sono due esseri uguali, ma che esiste uno ed un solo essere umano che rappresenta l'anima gemella di un altro. 

 Proprio per questo, è  molto difficile che questi due esseri complementari si incontrino... 

 Poi ci conduce sulle strade sdrucciolevoli percorse da donne che si rivelano avviluppate nelle spire della dipendenza affettiva: si abbeverano alla voce di un uomo e cercano di riconquistarne il favore.
Tutto nasce, come ci ricorda Luongo, dalla lettura estiva di un testo di Schopenhauer L'arte di trattar le donne. Francesco prende a prestito le parole di grandi autori quali Shakespeare, Schopenhauer o Euripide.


La lingua utilizzata, che sia italiano dotto, popolare, dialettale o aulico, è solo uno dei tanti mezzi possibili - tra poesia e prosa - per raccontare l'amore, seppur un sentimento non apportatore di vita, come dovrebbe essere, ma di morte e di oscurità.

 


 


Una domanda affiora alle labbra: "Esiste la strada che conduce alla salvezza e al riscatto?


Ora lasciamo la parola a Francesco Luongo, affinché ci racconti il suo E' tutta colpa della luna

D. Nella rappresentazione si intrecciano storie di donne illustri e ignote a delineare un percorso simile di derisione e negazione fino alla morte. Come le hai scelte?
 
R. La scelta dei testi viene semplicemente dai vari studi fatti in passato e messi in scena negli anni. L'idea di missare questi testi in un unicum viene da una lettura estiva de L'arte di trattar le donne di  Schopenhauer . Da lì è partito tutto.  
 
D. Come viene delineata e caratterizzata la figura maschile?
 
R. Le donne e gli uomini  che si raccontano sono sia vittime che carnefici , sono sullo stesso piano. Ovviamente la bilancia cade di più sulla donna , nel senso che troppo spesso risulta essere la vittima.
Vittima di un uomo incatenato nel morso della gelosia piuttosto che della "semplice" pazzia.
Donne e uomini imbrigliati in relazioni tossiche, malate...che inevitabilmente portano ad un finale nella maggior parte dei casi terribile. Nello spettacolo, per quanto riguarda la figura dell'uomo,  ho cercato di mettere in evidenza la sua debolezza, quella debolezza che è incapacità di relazionarsi in modo pulito, debolezza che porta poi ad atti orrendi.
 
D. Medea è  una figura controversa, oggi parzialmente riabilitata. Com'è la tua Medea?
 
R. Su Medea si potrebbe dissertare all'infinito, Medea è il male? Medea agisce solo perchè ferita?
 Nello spettacolo ...lo stralcio su Medea è solo una parte del tutto, come lo è Lady Macbeth piuttosto che Assunta Spina, tante parti che vanno a delineare quello 'spettrogramma' finale che è la  sintesi di E' tutta colpa della luna...
 
D. Quali sono le varie facce dell'amore e del non amore che racconti, tra intensità, dolore e dipendenza?
 

R. E' tutta colpa della luna... è un viaggio tra varie storie che si inseguono , si scontrano e si sovrappongono, è una preghiera aperta sui turbamenti, è una ferita inferta, esposta, narrata....è il racconto di amori malati, straziati e strazianti. Si racconta l'amore o presumibilmente tale il non-amore, viziato e malato che inevitabilmente porta al male, alla ferita.

 
D. Tu intrecci poesia e prosa, linguaggio moderno e arcaico. Napoletano e italiano. Perché? Perseguendo quale effetto? 

R.  Intreccio poesia e prosa, linguaggio moderno e arcaico. Napoletano e italiano.....e inglese, perchè? l'intento è sempre lo stesso,raccontare... l'amore seppur sbagliato , malato, contorto...va oltre la lingua, e di risposta anche la conseguenza, il male, la ferita...superano i semplici idiomi...! E allora perchè non farmi aiutare dalle splendide parole di Schopenauer, Shakespeare...piuttosto che Euripide e Salvatore Di Giacomo?
 
D. Esiste una via di salvezza e riscatto?
 
R. Esiste una via di salvezza? Francesco ti risponde e risponderebbe sempre : Si, certo...deve esserci! Per i testi contenuti nello spettacolo, un pò la risposta la conosciamo.


D. I tuoi e i vostri prossimi progetti?
 
R. Io personalmente comincerò a breve un tour di teatro scuola con la Compagnia Liberaimago e poi vari concerti col mio gruppo "Ra Di Spina" e con Eugenio Bennato.
Chiara Barassi andrà in scena con una sua regia dello spettacolo Killing time il mese prossimo.
Sonia Totaro sarà in giro con concerti, anche lei con Eugenio Bennato.

 

venerdì 21 ottobre 2022

Nevrotika 7-8-9: accettarsi per rinascere

 Com'è una persona nevrotica?

Torna a chiederselo Fabiana Fazio nell'ultimo capitolo della sua trilogia dedicata al disturbo ossessivo-compulsivo. Siamo al capitolo 7-8-9 di Nevrotika , messo in scena al Civico 14 di Caserta.




La persona nevrotica è ingabbiata in pensieri - definiti intrusivi - che si insinuano nel suo cervello senza che lo voglia davvero e ritornano in maniera fissa e ricorrente, fino ad anestetizzare le coscienze, pur di non sentire il dolore che ne è la vera causa. 


Questi pensieri generano delle azioni che il malcapitato si sente spinto a ripetere all'infinito per sfuggire all'ansia nata dallo scenario apocalittico prospettato dall'idea intrusiva. A livello razionale quell'azione sembrerebbe essere la scelta più opportuna per eliminare il pericolo, ma finisce per rinchiudere la persona in una gabbia definita coazione a ripetere, in cui si rincorrono sempre gli stessi gesti.

Fabiana suggerisce, rifacendosi a Watzlawick, di adattarsi al proprio disturbo.
Un passaggio strategico rappresentato in scena dallo sfociare dei diversi comportamenti nevrotici in una danza fluida, energica e gioiosa.

"Non si tratta - spiega Fabiana - di sottrarsi al processo terapeutico, ma di accettarsi in toto e di ammettere di avere un problema".
In questo modo si creano i presupposti per un vero e proprio processo di rinascita, dove sia possibile reincollare i pezzi.




Nevrotika è  un vero e proprio inno al riconoscimento, al rispetto e alla valorizzazione delle proprie legittime fragilità, come sottolinea la stessa autrice, in scena assieme a Valeria Frallicciardi e Giulia Musciacco.



Solo questo riconoscimento, infatti, permette di passare dal rendersi ostinatamente infelici e artefici di una vita impossibile a una consapevolezza salvifica.
L'opera si articola, in un certo qual modo, in monologhi giustapposti, a costituire un finto dialogo che rappresenta una conversazione patologica tra patologie.

Sapiente l'uso dei registri stilistici, con una cifra narrativa prevalente che affida all'ironia, con picchi di comicità, a volte ostinatamente indotta,  il racconto di queste esistenze segnate dal dramma, a sfatare il mito che il riso appartenga solo agli spettacoli comici.
 
Ora rimaniamo in attesa e in ascolto dei prossimi appuntamenti: per ora si sa solo che Fabiana sta lavorando a un nuovo spettacolo che debutterà tra gennaio e febbraio 2023.


In sintesi

NEVROTIKA VOL.7-8-9

una produzione ETCetera Officine Culturali

scritto e diretto da Fabiana Fazio

con Fabiana FazioValeria FrallicciardiGiulia Musciacco

movimenti coreografici Cecilia Lupoli

assistente alla regia Marianna Pastore

disegno luci e allestimento Angela Grimaldi

aiuto scene Barbara Veloce

costumi Alessandra Gaudioso


Ph. Pino De Pascale

domenica 15 maggio 2022

La finta nonna: storia di crecita e emancipazione al femminile

A breve, oggi pomeriggio, domenica 15 maggio alle 19:00, per i bimbi e i loro genitori una prova aperta gratuita al Nostos Teatro.

 La rassegna pensata per i più piccini è Into the Woods.


 

Il Nostos si riconferma spazio nevralgico di cultura e aggregazione per il territorio.

La storia è quella de “La Finta Nonna”, un antenato della più celebre Cappuccetto Rosso” in cui la bambina è capace di salvarsi da sé, rivolgendosi alla comunità.

In questa versione, la bambina inizia il suo viaggio per chiedere il setaccio alla nonna che abita dall’altra parte del bosco. Solo che un’orca crudele ha preso il posto della nonna. In questo viaggio, la bambinaincontrerà alcuni strani personaggi che l’aiuteranno, grazie alla sua generosità, a salvarsi. 

 

In questa versione antica di Cappuccetto Rosso la figura del cacciatore è assente: la bambina è perfettamente in grado di cavarsela da sola, è furba e intelligente e si crea degli alleati lungo la strada (il Fiume Giordano e la Porta Cancello) che la aiuteranno a salvarsi dall’orca.

 

È la storia, quindi, di una bambina che diventa donna, autodeterminandosi e, allo stesso tempo, liberandosi attraverso l’aiuto di una comunità.

 

Il linguaggio scelto è il teatro d’oggetti. La storia de La Finta Nonna è realizzata ricreando la scenografia in miniatura su un tavolo. Gli oggetti sono ripresi da molto vicino, per alterare la percezione della dimensione delle cose.

 

La manipolazione degli ambienti e della protagonista è tutta realizzata a vista, senza nascondere l’artificio teatrale. Il video sarà realizzato in diretta, per dare agli spettatori la possibilità di vedere contemporaneamente il processo – gli attori che muovono, parlano e filmano – e il suo risultato finale.

 

Domenica 15 maggio ore 19.00

𝙄𝙉𝙏𝙊 𝙏𝙃𝙀 𝙒𝙊𝙊𝘿𝙎
𝙇𝙖 𝙛𝙞𝙣𝙩𝙖 𝙣𝙤𝙣𝙣𝙖

di Isabel Albertini, Simona Di Maio E Lorenzo Montanini

progetto vincitore di Residenze Digitali 2021
progetto finalista di Specchi Sonori 2021

                                                                                        età consigliata: dai 6 anni

 

sabato 14 maggio 2022

Napoli Decameron Pasolini: per la seconda settimana al Tram una riflessione sul genio dello scrittore bolognese

 Torna stasera al Tram di Port'Alba, su questo palco accogliente al centro della città di Partenope, la rappresentazione Napoli Decameron Pasolini del regista Mirko Di Martino.

Appuntamento stasera, sabato 14 maggio,  alle 19:00, e domani, domenica 15 maggio, alle 18:00, con uno spettacolo, al suo secondo fine settimana di messa in scena, che chiude la stagione di questo spazio teatrale davvero particolare, con una programmazione "pensante" di tutto rispetto. 
 

 

Intento: restituire a una delle opere pasoliniane più conosciute e più acclamate - ma completamente fraintesa dal pubblico dell'epoca - la sua interpretazione più autentica.
 
Spira su tutto il lavoro un'aria di veemente di protesta contro gli abusi della società dei consumi, contro quel capitalismo che corrode e sporca coscienze e corpi, rendendo, come avrebbe detto il sociologo Bauman, anche le relazioni merce di scambio e di un investimento più o meno proficuo.
 
Mista a questa protesta c'è la rivendicazione di un ritorno a un passato puro, caratterizzato dalla fedeltà ai bisogni primari, più basici e veri, e avulso dalle tentazioni dei bisogni indotti, che rendono "superflua la stessa esistenza", un clima che il regista credette di trovare tra i vicoli e gli anfratti di Napoli, tra i suoi visi e il suo vociare, così veraci e persino sfrontati.

"Pasolini - dice il regista - fa dichiarazioni su Napoli attuali e inattuali. È letteralmente innamorato del popolo napoletano. Un popolo ideale che lui desiderava ardentemente esitesse davvero così come lo immaginava, capace di rimanere puro rispetto alla corruzione operata dalla società dei consumi e dai richiami ingannevoli del potere".
 
La sua ideologia intellettuale lo porta a ricercare, secondo quanto ribadisce il regista, luoghi fisici ed emotivi alternativi al modello occidentale. Egli li trova - o quantomeno si convince di averli trovati - nel sud dell'Italia e del mondo, salvo poi dover ammettere che se il passato cambia tanto velocemente è perché stato oggetto di un'idealizzazione fallace.
 
"Con il Decameron - afferma il regista - Pasolini fa sberleffi degli stereotipi su di lui. Lui, icona del cinema impegnato al culmine della fama e della carriera, abbandona uno stile permeato da una fissità statuaria e sceglie un registro narrativo comico".

Il pubblico sembra apprezzare il risultato, ma lo fraintende del tutto, vedendovi la liberalizzazione della sessualità e lo sdoganamento sullo schermo di scene di sesso esplicite. 

Lo psicologo Reich, autore del libro La funzione dell'orgasmo, in merito avrebbe commentato che non esiste miglior modo di nullificare la sessualità, e la sua funziona creatrice e contestataria, che renderla compulsiva, privando il popolo del suo potere critico e rendendolo prono alle istanze del potere dei regimi.

Sulla scena Nello Provenzano, Angela Bertamino, Miriam Della Corte, Domenico Tufano, che entrano e escono dalla pelle dei personaggi, veri e inventati, prestando la propria voce alle irruzioni di Pasolini in scena - una sorta di deus ex machina - con le sue chiose esplicative a margine.

Parimenti gli attori si muovono con maestria e intensità - a tratti con uno sguardo sorpreso -  sui diversi livelli di una scenografia lignea dalle grandi dimensioni, ideata d Gilda Cerullo, che segna il passaggio non solo tra le diverse scene e i diversi ambienti m anche il cambio dei registri stilistici.

"L'incontro con Napoli - evidenzia Di Martino - fu importante. Qui trovò un'accoglienza calorosa, in un momento difficile in cui aveva bisogno di ritrovare e reinventare se stesso. Non a caso definì questo come uno dei momenti più belli e felici della sua vita".