venerdì 28 febbraio 2014

La rivincita di Tommy: la forza di vivere con consapevolezza di sè

Dopo "Il Canto stonato della Sirena", Monica Florio, scrittrice e giornalista partenopea, torna a parlare di temi delicati e spinosi, di dolore e speranza, con il romanzo illustrato "La rivincita di Tommy,  una storia di bullismo omofobico".

Qui l'ottica però è invertita, o meglio è diversa la fase della vita e l'impatto che questa presa di consapevolezza ha su una coscienza ancora in formazione, in cammino verso la maturità. 

In una fase delicata dove il pregiudizio, la discriminazione, la chiusura mentale che scatena la violenza (più psicologica che fisica), frutto  della paura dell'altro da sè, può gravemente ledere la  voglia di vivere e  intaccare l'equilibrio  emotivo di un giovane virgulto (e i  casi di cronaca ne sono testimoni).

"Nelle mie storie - racconta l'autrice -  sono sempre protagoniste le realtà che sono oggetto di emarginazione come l’handicap, l’omosessualità. il disadattamento. Nel 'Canto stonato della Sirena' ho raccontato la condizione di chi, non più giovane, si scopre omosessuale e il timore dei giudizi altrui. 

Nel romanzo illustrato 'La rivincita di Tommy' è in primo piano, invece, l’atteggiamento omofobo della gente".

Il romanzo è  pubblicato dalla casa editrice Medusa nella collana Focus Attualità (9.20 €)

Il libro è uno strumento che invita ad una riflessione profonda generatrice di un reale processo di integrazione che passi attraverso l'accettazione della natura  degli altri e la tolleranza.

Una riflessione su cosa possa nascondere un atteggiamento di estrema rigidità e chiusura. 

Cosa stiamo rifiutando davvero:  l'altro o una parte di noi stessi? 

Cosa  ci fa davvero paura? Che l'incontro autentico con l'altro, spogliato dalle caratteristiche dell'individuo massa e ricondotto ad essere umano, possa far crollare il castello di certezze e  di paletti su cui molti basano le fondamenta della propria vita, del  quotidiano tran tran e del quieto vivere?

Che  quella  normalità, frutto dell'aderenza all'asse normativo vigente e derivante  dell'accanita difesa del  "faccio  così perchè si è sempre fatto", dalla consuetudine  e dalla  familiarità  di  una  visione del mondo, riveli di essere traballante e  di avere piedi d'argilla e una struttura a maglie larghe e poco  solide?

"L’omosessualità - continua Monica -  rappresenta solo un modo di essere, mentre il rifiuto di un orientamento sessuale alternativo denota il disagio di chi è represso".

Perchè un frammento di Tommy c'è  in ognuno di noi. 

Nelle  nostre fragilità,  insicurezze, paure, crisi esistenziali  e  di identità.

Nell'aver bisogno, in certi momenti dell'accettazione della  gente, anche a costo di sacrificare la nostra essenza, della ferita di fronte alla mancanza di amore, nel nascondere, anche a noi   stessi, alcune verità.




Tommy è un tredicenne timido e dall’aspetto asessuato, un adolescente i cui problemi relazionali scaturiscono non tanto dal suo carattere quanto dall’ostilità dell’ambiente, scolastico e familiare, che lo circonda.

Non   dimentichiamo che  il nostro sè, che costituisce  il nucleo della nostra identità, secondo   gli  addetti  ai lavori scaturisce dall'interazione tra  quello che noi pensiamo di noi stessi e quello che  pensano gli altri e che ci comunicano anche attraverso atteggiamenti ed  azioni.

E' il frutto di  una danza, di continue ridefinizioni e aggiustamenti.

Ma se ci dicono che non  è giusto, corretto,  opportuno essere in un certo modo ecco che scatta il tabù ed il relativo senso di  colpa, in grado di far sentire sbagliati  in torto, in difetto.

Nel caso di Tommy si tratta di una danza, ahinoi, sgraziata e  dissonante con persone che non sanno, o non vogliono, chiusi nelle loro gabbie mentali, stare al suo passo.

Diego e Luca, i  due bulletti della classe, che lo vessano quotidianamente e lo umiliano deridenolo davanti a  tutti.

I professori  che fingono di ignorare lo stato  delle  cose  ed in  questo diventano conniventi  e carnefici a  loro  volta, vittime e co-autori al contempo di un ambiente stantio, rigido, chiuso nelle sue logiche, resistente oltremodo al cambiamento.

Poi i genitori soffocati da una campana di vetro di perbenismo.

De Andrà cantava nel suo Cirano "Se c'è come voi dite un Di dell'Infinito... guardatevi nel cuore... l'avete già tradito..."

La madre  preferisce fare  finta di niente ed intima al figlio di non uscire per non far vedere agli altri "la lettera scarlatta" che lo  marchia e lo rende diverso.

Lo condanna, giorno dopo giorno,  ad  una  lenta  ma inesorabile morte  sociale.

Pietro, il padre, rivede nel  figlio i propri fantasmi, le vittime  che lui stesso in gioventù ha vessato, e così invece di tendergli una mano la ritrae, lasciando che Tommy affondi nel baratro della solitudine.

Diceva Pasolini in una lettera ai  genitori "Io sono sempre lo  stesso figlio, con le stesse qualità. Allora perchè non mi amate più?"

Così Tommy decide di salvarsi da solo, costruendo e ricostruendo la sua autostima e la fiducia in se stesso con piccoli ma tenaci passi.

Imparando a  non vergognarsi di sè, a camminare a testa alta alla luce del sole, a gridare quando gli fanno male per far capire fino in fondo agli altri si possa distruggere un altro essere umano.

In questo processo, dato che  nessuno  può salvarsi completamente da solo, verrà aiutato da due amici: Alessia, suo alterego e completamento, sua coetanea, e Gabriele, molto più grande, che metterà a sua disposizione il bagaglio della sua esperienza.




"Credo che ognuno di noi  -  ribadisce Florio  -  abbia delle difficoltà, comprensibili,  ad accogliere quella parte di sé che può essere fonte di problemi. Per Tommy è la femminilità che si manifesta attraverso la sua dolcezza e femminilità".

Esprimendo  un'opinione più  ampia sul tema e sull'epoca che stiamo vivendo l'autrice sottolinea che il fatto che si parli di omosessualità più spesso che in passato non può essere che positivo benché esista nei confronti dei gay un fastidio che si cela dietro il politicamente corretto. L’omosessualità viene tollerata se non è esibita dal soggetto ma, quando i gay escono allo scoperto, scatta l’omofobia.

In un film molto  bello si  parlava dei "Figli  di  un Dio  Minore" e questo atteggiamento è duro a morire, al di là  di alcune  aperture mentali.

Spesso  si continua a  ragionare come  coloro che sono dalla parte giusta della  barricata e che dall'alto della posizione giusta possono concedere qualcosa a quelli  sbagliati. A patto che non si facciano troppe concessioni.

Non sia mai i "diversi" fossero troppo visibili ed "uguali" nei diritti ed in quello che è concesso loro fare o non fare.

Una volta un saggio disse che troppo spesso a ben vedere si può fare tutto, ed a farlo sono soprattutto i cosiddetti perbenisti, i censotri della morale.

C'è un diktat però: l'importante è che la facciata rimanga integra, che non si sgretoli.... Pena il diventare  reietti.

Spesso capita che chi si è visto negare per troppo tempo il  diritto ad esistere e ad essere se stesso poi lo affermi con forza, con fervore e con  un  griso e venga tacciato  di esibizionismo.

" A differenza di molti intellettuali e scrittori - raconta ancora  Monica -   non sono ostile al Gay Pride, né mi irrita  il pensiero di qualche manifestante truccato in modo vistoso. E’ un momento in cui i gay scendono in piazza e ognuno lo fa a modo suo, eccessivo o misurato che sia. Come sempre si dà molta importanza alle apparenze, dimenticando che le manifestazioni non sono proprio una serata di gala, tutti tirati a lucido e con l’abito migliore. Forse le critiche al Gay Pride, a cui peraltro partecipano oggi tanti eterosessuali, sono un voler prendere ulteriormente le distanze da chi, nel bene e nel male, ha il coraggio  di esprimere il proprio modo di essere in barba alle convenzioni. "
   
Il fuoco più forte della polemica, poi, si accende attorno al tema delle adozioni.

Anche su questo abbiamo chiesto a Monica il suo parere.

"Non sono contraria alle adozioni da parte di coppie omosessuali. D’altra parte, non è che la famiglia tradizionale, tra divorzi e separazioni 'in casa', si sia dimostrata infallibile. Solo il tempo può attestare, a mio avviso, il reale funzionamento delle famiglie atipiche."

Affinchè  ognuno possa vivere, un giorno non lontano, con piena libertà spirituale e sociale, e nel pieno rispetto di se stesso e degli altri, la vita a modo proprio.

Scambio di visioni: imparare a guardare se stessi attraverso la propria storia culturale


Domani, 1 marzo, sarà l'ultimo giorno per visitare la Mostra "Scambio di visioni/Arti e Beni Culturali", allestita presso la Sala delle Terrazze di Castel dell'Ovo ed inaugurata il 18 marzo scorso.

Una sala da cui si domina, in visione aerea, lo specchio d'acqua ed il panorama che circonda Castel dell'Ovo. 

Una città che mostra se stessa, al naturale, trovando un rispecchiamento all'interno di un'esposizione sui suoi beni  culturali ed i suoi scorci (ma l'esposizione rinvia riflessi anche di altri luoghi d'Italia).

Una bussola orientata alla ricerca di visioni alternative, inedite, capaci di andare oltre l'apparenza e, mettendo in discussione ottiche consolidate, disvelare nuovi universi di senso e significato, restituendo anche quella dignità che a volte viene lesa o negata...

PROTAGONISTI INCROCIATI

Protagonisti sono monumenti poco conosciuti, come la chiesa di San Rufo Martire di Piedimonte di Casolla a Caserta, la basilica di San Giuseppe delle Scalze a Montesanto a Napoli o il Cimitero Monumentale di Staglieno a Genova, ma anche le più note Scalinate di Trinità dei Monti a Roma, la Casina Vanvitelliana al lago Fusaro o la basilica di San Francesco di Paola, che domina piazza del Plebiscito.

La mostra “Scambio di Visioni/Arti e beni culturali” racconta le contraddizioni del patrimonio artistico e culturale della Città delle Sirene tanto prezioso quanto poco valorizzato, apprezzato in tutto il mondo eppure oggetto, in molti casi, di degrado e incuria.



Ne nasce un'istantanea di luoghi fisici e dell'anima.

Un dialogo tra vari luoghi d'Italia, con le loro specificità territoriali e culturali, con la storia che ognuno custodisce dentro di sè.

Ventisei foto di autori, molti dei quali professionisti (ma anche di appassionati di fotografia che trovano in questo strumento un modo per guardare il mondo in maniera diversa, appuntando l'attenzione sui  particolari), selezionate attraverso l’omonimo concorso fotografico internazionale e scelte da una giuria di esperti, con la direzione artistica della fotoreporter Eliana Esposito.

La giuria: il docente all’Accademia delle Belle Arti Aniello Barone, i docenti dell’Università Federico II Clementina Gily e Giulio Fabricatore, il fotografo Martin Errichiello, la giornalista Ida Palisi.

Ad essere valutata una gran messe di foto: un totale di ben 150 foto visionate, scattate da  31 autori,  provenienti dall’Italia e dell’estero.

Foto che non si limitano a ritrarre frammenti del patrimonio architettonico - storico e architettonico, cui fa da cornice il panorama naturale partenopeo, ma che mette al centro la funzione sociale della fotografia.

Quella di riannodare i fili spezzati della memoria, di trovare risposte a domande inespresse o lasciate cadere nell'oblio, di sollevare il velo  su cose troppo spesso nascoste, di essere promotrice di cambiamento sociale,  come ricorda Alessandra del Giudice, tra i partecipanti al concorso, vincitrice di una menzione sociale per l'autore.

Le foto non sono solo specchio dei luoghi ma anche e soprattutto delle persone che  li abitano e di coloro a cui l'accesso, per precisa volontà o per colpevole incuria, è negato (si pensi in tal senso al valore, o disvalore, architettonico e sociale delle cosiddette barriere architettoniche).

Le foto sono la storia raccontata dall'occhio che su quei luoghi si è posato e consentono di forzare, a volte, lucchetti, chiusure forzate e di spazzare via, dun colpo, strati e strati di polvere accumulata sulle cose e sulla memoria delle stesse.

Storie di relazioni intense e di spiritualità diffuse.



I vincitori

1° classificato - Renato Orsini – Napul’è
2° classificato – Maura Ghiselli - Sacral
3° classificato - Daniele D’Ari - San Gaetano e San Paolo



Menzioni speciali per la scelta delle foto:
Daniele D’Ari - Sant'Elmo
Celine Vignacq - Contessa Scalza banda
Teresa Mangiacapra - Palazzo di storia

Menzioni speciali per l’autore:
Ciro Iacobelli
Alessandra del Giudice
Antonietta Lombardi
Marco Sorrentino

Le foto vincitrici si aggiudicano un premio-mostra.

Infatti, dopo che nella suggestiva sala di Castel dell’Ovo, saranno esposte in altre prestigiose location del capoluogo partenopeo.

Gli autori delle foto, in particolar modo di quelle vincintrici, provengono dalla campania, ma tra i selezionati vi sono rappresentanti nazionali ed internazionali.

Alcuni vengono dal Nord Italia (Genova e Cremona), una fotografa è di Tirana, un’altra ancora è italo-francese.



I promotori

L’iniziativa complessiva è promossa dal gruppo di imprese sociali Gesco, con le associazioni culturali Campo Libero, Megaris e Nakote, la cooperativa sociale Parteneapolis, l’Intercral Campania e la Fondazione Idis/Città della Scienza, e con il patrocinio morale del Comune di Napoli e del Forum Universale delle Culture.

Per maggiori informazioni sui protagonisti della mostra:

giovedì 27 febbraio 2014

La potenza femminile espressa e premiata in una mostra dedicata all'Eterno Femminino

Molte donne vivono a un basso livello di energia. Nel corso dei secoli non è stato permesso loro di "esplodere", nemmeno facendo l'amore, che dire del resto? 

Restano a un livello di energia basso ed è un bene per gli uomini, perché a bassa energia una persona rimane una schiava: obbedisce, esegue i tuoi ordini. L'alta energia è ribelle, disobbediente, o almeno può esserlo. 


Abbiamo "tagliato" le donne alle radici, per farne mogli e madri; abbiamo rubato tutta la loro gioia selvaggia e naturalmente questo si ripercuote sull'uomo: se una donna non è felice, nemmeno l’uomo può esserlo. 


Sono legati l’uno all'altra, per questo l’umanità non ha fatto altro che trascinarsi. (Osho Rajneesh).

Nel corso dei milenni si è assistito ad una progressiva maschilizzazione dei culti con una negazione ed una repressione della forza creatrice femminile.

Se Freud  parlava per le donne di invidia nei confronti del pene, come di un anelito ad una forza mancante, da parte degli uomini da sempre, secondo gli antropologi, vi è una sorta di invidia nei confronti delle donne, mista a paura e devozione, per la capacità di procreare, per l'essere custodi del mistero della vita

Della grandezza del potere femminile parla Goethe nel Faust, definendolo proprio “L’eterno femminino” ad indicare le caratteristiche eterne, immutabili, del fascino muliebre, della femminilità.




E la femminilità, appunto, non risiede in forme procaci o in toni ammiccanti: è qualcosa di impalbabile, è nella forza di uno sguardo e di un sorriso, in un carisma , in un magnetismo in grado di disvelare mondi.

E' l’insieme delle qualità che sono proprie di una donna. L’insieme, quindi, delle qualità che la contraddistinguono nel comportamento dell’animo.

"La femminilità - come ribadiscono gli esponenti del Centro Culturale Arianna, che a quest'ottica si rifanno - è una condizione intima, uno stato interiore, da leggere fra le righe".

LA GENESI

"Mi sono chiesta - racconta Gina Affinito, vicepresidente del Centro Culturale Arianna e curatrice del premio -  chiesta come si sarebbero espressi gli artisti che da anni già ci seguono, ed i nuovi su questo tema a me tanto caro. Un confronto per me, come artista, come donna. Ne ho parlato con la presidente, Immacolata Maddaloni e da lì è nata l’idea del Premio L’Eterno Femminino”.

La mission del Centro Culturale Arianna, infatti, ogni volta che si organizza un evento artistico è promuovere l’arte in tutti i suoi linguaggi e le varie forme espressive, favorendone lo scambio e l’incontro aperto. 

Vuole inoltre offrire la possibilità a giovani artisti (ognuno può presentare un massimo di 2 opere) di farsi conoscere da collezionisti, curatori e altri professionisti del mondo dell'arte. 

Non a caso è aperto, in maniera trasversale e nell'ottica del confronto e dello scambio di visioni, aperto ad artisti professionisti, emergenti o affermati, studenti o autodidatti di nazionalità  italiana o straniera.

A farla da padroni non sono nomi altisonanti o un curriculum blasonato, ma solo il talento e l'energia vitale espressa.

Le  opere in concorso sono rappresentate da 57 tele e 5 sculture, suddivise in due sezioni (pittura e scultura). Gli artisti sono 39: 31 in concorso e 8 fuori concorso. La posizione del "fuori concorso" è riservata ai soci “storici” ed a chi non ha voluto concorrere in maniera competitiva. 

In esposizione da giovedì 27 febbraio, il vernissage ci sarà sabato 1 marzo alle ore 17.30, mentre il finisagge, giornata in cui la giuria decreterà i vincitori, sarà giovedì 13 marzo, a partire dalle 18.00.


IL PREMIO

Organizzare una manifestazione artistica, secondo quanto rimarcano gli organizzatori,  significa profondere impegno, dedizione, passione.

In questa prima edizione del premio d’arte contemporanea, l’associazione Arianna vuole confrontarsi con realtà artistiche differenti promuovendo l’arte in tutti i suoi linguaggi e le varie forme espressive, e favorendone lo scambio e l’incontro aperto.

"Come 'lavoratrice' nel campo dell’Arte - continua Affinito -  il mio obiettivo è la perfetta aderenza ai fini proposti e la massima riuscita dell’evento. Come artista, e avendo già affrontato il tema, è stato oltremodo piacevole e costruttivo confrontarsi con l’operato di altri artisti".




Come ribadisce la vicepresidente del Centro Culturale Arianna , l'arte in tutte le sue multiformi sfaccettature, con i mille volti che può assumere, è un canale, una strada, una modalità massima d’espressione del proprio pensiero, del proprio messaggio, del proprio animo. 

L'arte è un modo per rientrare in contatto con la propria essenza primordiale, con la priopria parte più autentica. 

Magari con quella più "vessata" e offuscata dalla visione sociale imperante e da una serie di regole rigide, che costituiscono una sorta di "autorità" indiscutibile.

"Ho potuto 'osservare' - spiega ancora  Affinito - come molte donne artiste si siano percepite belle, armoniose, femminili attraverso la presentazione dei loro lavori: tutto questo si avverte a pelle nelle opere presentate al premio. Dagli artisti uomini ho differentemente percepito riflessione, ammonimento, consapevolezza sul tema proposto".

LA LOCATION

L'evento è ospitato nel Complesso di San Severo al Pendino a Napoli.

Il Complesso di San Severo al Pendino è una chiesa monumentale partenopea.

La pregevole navata della struttura ospita concerti, esposizioni temporanee e manifestazioni culturali.
E’ ubicata in pieno centro storico di Napoli, nel cuore della via Duomo 286.

La chiesa fu edificata nel 1575 con l'attiguo ospedale di Santa Maria a Selice.
Nel 1818 la struttura venne utilizzata come prima sede dell'Archivio di Stato. 

Nell’ultimo conflitto (1940-45) il monumento servì da rifugio antiaereo per poi essere definitivamente abbandonato. 

La complessa opera di restauro ad opera della Soprintendenza di Napoli iniziò negli anni ’70 ed il riuso del monumento, nel rispetto delle preesistenze e delle valenze storico-artistiche, realizza un polo culturale che apre l’antica struttura al contesto urbano.

L'interno è impreziosito delle decorazioni del Settecento che s'innestano alla struttura tardocinquecentesca. 

Del Settecento è anche l'altare maggiore in marmi policromi, mentre nel transetto a destra è lo splendido monumento sepolcrale di Giovanni Alfonso Bisvallo, scolpito da Girolamo D'Auria nel 1617 ed originariamente doveva probabilmente ospitare una tela di Luca Giordano.




PARTECIPANTI


Il premio è caratterizzato da un nucleo vitale e pulsante senza il quale non sarebbe stato possibile realizzarlo.

Le anime che lo costituiscono sono gli artisti (31 in concorso ed 8 fuori concorso), i giudici, i partner e tutti coloro che hanno contribuito alla  riuscita della manifestazione.

Paola Paesano - Aurora Baiano - Savì - Antonella Notturno - Andrea Delle Donne - Maria G. 

Maddaluno - Gosselin Christelle Vincenzo Piatto - Imma Maddaloni - Paco Falco - Gianni Morra Maria 

A. Scala - Silvia Rea - Francesco De Sanctis - Giuseppina Acquarulo - Rosa Zuppa - Lorenzo Basile

Lia Maglione (Malìa) - Gilda Niola - Carmela Cafara - Rosa Gammella - Mario Caruso - Felice La Sala

Ferdinando Bianco - Giovanni Boccia - Marianna Ragucci Greco Agostino - Antonio Magnotta - Katia 

Anastasi - Mirko Cavone - Angela Impagliazzo - Anna Ciufo - Anna Sepe - Chiara Rojo - Paolo 

D’Alessandro - Paolo Napolitano - Gina Affinito




LA GIURIA

La Giuria del Premio è composta da:

Carlo Roberto Sciascia - Critico d’Arte

Imma Maddaloni - Presidente C.C. Arianna

Maria Mezzina - Critico, giornalista, direttore editoriale

Massimo Doriani - Psicologo, psicoterapeuta

Tania Sabatino - Giornalista e sociologa

La serata del vernissage, che si terrà sabato 1 marzo a partire dalle ore 17.30, prevede:

- Degustazione di Vino a cura dell'Azienda Vinicola “Il Calice” (www.ilcalice.it)


- Intervento a cura di Paola Guarino e Francesca Di Virgilio, psicologhe, psicoterapeute


- Pièce Teatrale a cura di Teresa Perretta “Io&Me (una Donna allo specchio)”


- Documentazione per Immagini a cura di Dario De Sanctis.


La mostra sarà visitabile fino al 13 marzo dal lunedì al sabato dalle 9.00 alle 19.00.


RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento davvero sentito da tutto il Centro Culturale Arianna va

- all'Assessorato Beni Culturali di Napoli

- allo staff del Complesso San Severo al Pendino per l'efficienza, la celerità e l'appoggio nelle varie fasi dell'attuazione del Premio, per la visibilità concessa sul portale del Comune di Napoli, per l'accoglienza e la disponibilità ricevuvuti nella struttura di via Duomo 286.

Un segnale forte che risorgere a partire dalla cutura si può.


Per costruire la speranza: gesti concreti

In questo blog ho scelto di raccontare storie di speranza e coraggio, di forza e determinazione.

Grazie a quel qualcosa in più che caratterizza molti progetti e persone che li animano che operano  nonostante le difficoltà esistenziali e contestuali incontrate sul cammino.

Come molti di voi sapranno anche per gli uffici stampa che seguo ho scelto questo filtro.

Leonardo De Lorenzo, batterista partenopeo, rappresenta un esempio di questo coraggio e di come la musica possa essere veicolo di determinazione ed alleviare le pene dell'animo.

Proprio per questo ha scelto di suonare in luoghi simbolo di quest'ottica.

Non importa la capienza. Importa soprattutto lo spirito, l'atmosfera, la mission, il cuore che batte aL di sotto delle tavole del palco su cui si regge una struttura.

Ecco perchè Leonardo De Lorenzo ha scelto di suonare nella grande festa della musica che è stato il concerto sociale svoltosi venerdì scorso 21 febbraio presso il teatro Puccini di Firenze, promosso ed organizzato dai Mediterranea Group.

Un arcobaleno di note e generi, uniti dalla comune volontà di raccogliere fondi a favore della ricotruzione di Città della Scienza, affinchè possa risorgere ogni giorno di più al pari di un'araba fenice.

Le tesi su quel rogo si sono sprecate. Si è persino parlato di un incendio appiccato a bella posta per incassare i soldi dell'assicurazione.

O c'è chi ha detto che una struttura che sta in una città ormai allo sbando ed è mal gestita in fondo non poteva che fare una fine del genere, emblema del fatto che siamo alla frutta.

Poi si è fatto riferimento, anche in maniera a volte tendenziosa, ai debiti, agli insoluti, allo scontento dei lavoratori. Si è messo più d'una volta il dito nella piaga tra tanti se e ma.

Una cosa è certa però: quelli di Città della Scienza, science center partenopeo di levatura internazionale, non si sono arresi ed hanno cominciato a ricostruire quel luogo e la città di Napoli, e non solo, ha risposto con espressioni e gesti concreti di solidarietà

E questo è uno di quei gesti: limpidi, forti, diretti, allegri, come il cielo di una fredda ma pulita giornata di fine febbraio.




IL BILANCIO

Grande successo, con un teatro pieno ed un pubblico caloroso, per Leonardo De Lorenzo ed il suo Pictures Quintet il 21 febbraio scorso presso il teatro Puccini a Firenze, dove ha suonato, assieme ad altre band, nell'ambito di un concerto sociale promosso dai Mediterranea Group, per raccogliere fondi a favore della ricostruzione di Città della Scienza.

“Accoglienza cordiale, vera, onesta – racconta Leonardo De Lorenzo -  una disponibilità sempre pronta, e se è vero che a Firenze mi sono sentito sempre a casa, questa volta mi sono sentito in famiglia”

Tanti i musicisti che hanno aderito a quest’iniziativa, bravissimi nella loro specificità, dal talento elevato.



Elevati anche gli standard qualitativi assicurati dal gruppo organizzativo, che ha permesso la realizzazione dell’evento. Evento cui sono intervenuti anche molti rappresentanti istituzionali.

IL NUOVO APPUNTAMENTO

Altra realtà che ha incrociato più volte il cammino di Leonardo De Lorenzo è l'Auditorium Bianca D'Aponte ed adesso tocca a questo gemellaggio venerdì 28 febbraio, alle ore 21.30 (via Nobel 2, Aversa, Ce, www.biancadaponte.it).

Un luogo caro a Leonardo De Lorenzo, che sceglie di tornarvi con il suo Pictures Quintet per una serata speciale all’insegna della musica indipendente e della valorizzazione dei talenti.

Una musica libera ed al di fuori delle logiche “soffocanti” dello show business.





Venerdì 28 febbraio, però, Leonardo De Lorenzo, con la sua formazione in quintetto, esordirà con un progetto sonoro autonomo.

Fa tristezza pensare che a soli 23 anni una giovane vita venga spezzata. Fa tristezza anche se non si ha avuto modo di conoscerla personalmente, di condividere sorrisi di stringere mani.

Fa tristezza perchè è come se fosse stato messo un punto di fine periodo dove proprio non doveva andarci, perche non c'entrava nulla.

Fa tristezza per tutti i sogni, le speranze i progetti che potevano e DOVEVANO  essere trasformati in altrettanti obiettivi.

Fa tristezza per la gioia di vivere di una giovane, che nel caso di Bianca si esprimeva molto anche attraverso lo strumento della musica.

“Sono diversi anni che conosco Gaetano D’aponte e la sua storia – racconta
Leonardo - . È una persona per bene che fa tanto per veicolare la cultura e promuovere la musica in particolare. Ho suonato diverse volte all’auditorium Bianca D’Aponte ma sempre come gregario, mentre con un mio progetto è la prima volta. Sono semplicemente contento di poterlo fare, perché da Gaetano mi sento a casa e potrò incontrare dopo tanto tempo dei vecchi amici”.

Un luogo, dedicato alla memoria ed al talento di Bianca, figlia di Gaetano e musicista di rara sensibilità, e caratterizzato da un’atmosfera calda, familiare ed accogliente, ricavato da una grande sala seminterrata.

E' così che alla tristezza, al dolore, al senso di debito verso il mondo e verso Dio, al vuoto ed alla rabbia possono essere sostituiti sentimenti come la speranza, la tenacia, il coraggio, la caparbietà, la voglia di non arrendersi, la propositività.

Un punto di riferimento per tutti i talenti campani e non solo, dato che qui confluiscono artisti emergenti e non , provenienti da tutta Italia. Un esempio di come da un dolore immenso e dalle macerie del proprio cuore, con coraggio e tenacia, si possa far emergere qualcosa di buono ed apportatore di speranza e rinnovate possibilità, non solo per se stessi ma per tutta la collettività, aprendosi anziché chiudersi al mondo.


 La formazione che accompagnerà Leonardo De Lorenzo sarà il “Pictures Quintet”.

“Con questo quintetto – racconta ancora il batterista -  proponiamo la musica del mio secondo cd “Pictures” e tanta altra mia musica estrapolata da altri miei lavori, oltre a qualche cover di brani famosi”. Sul palco, per esprimere le sonorità proprie del progetto artistico di De Lorenzo, lo storico Ivano Leva al pianoforte, amico da tanti anni e collaboratore insostituibile. Una collaborazione le peculiarità artistiche di entrambi si fondono ed alternano in una perfetta alchimia sonora.

Poi c’è Luciano Bellico, alto sassofonista di grande tecnica e cultura, dal fraseggio elegante.

Ed ancora Federico Luongo, un collega ed amico sempre disponibile e puntuale che suona “spaventosamente bene”!.

Infine Sasà Brancaccio, che dona al gruppo un apporto fondamentale, con il suo sound e con la capacità di amalgamare insieme i vari elementi.

Associato alla location esiste anche un omonimo premio, di cui è direttore artistico Fausto Mesolella,  istituito per dare alle giovani cantautrici, in particolare, che compongono in italiano o in un dialetto italiano “un’opportunità per emergere nel mondo della musica”, mettendo tutte in condizioni di pari opportunità ed offrendo accoglienza gratuita.

Per creare un momento di incontro e di confronto, e fornire loro una vetrina indipendente.



Quindi l’appuntamento di venerdì 28 febbraio contiene in sé un doppio appuntamento.

Con un autore completo (e la sua band in una simbiosi perfetta), fautore di un ritmo avvolgente e raffinato, creato con un sapiente equilibrio nota dopo nota, curato e “sudato” e la storia di riscatto di Terra di Lavoro ma anche con  una storia di dolore trasformata dal’amore in un’occasione di crescita e sviluppo del proprio talento e delle proprie potenzialità.

Contributo di partecipazione: 10 euro

Per maggiori informazioni e prenotazione obbligatoria: Auditorium Bianca D’Aponte
Via Nobel, 2 Aversa (Ce)
Contatti  telefonici:  336 694666 - 335 7665665 - 335 538393


Ed ora qualche assaggio di gustose alchimie in musica:

http://youtu.be/vzTRklbixL4

http://youtu.be/rndcEMaAZIo

http://youtu.be/ksmslQZQhsM


martedì 25 febbraio 2014

Scarti di terra: la realtà appare a chi sa osservare

Dall'ecocucina con gli "scarti" (gambi, baccelli, coste e simili) all'ecomoda che si rinnova riutilizzando e donando una nuova vita  ai vestiti tirati fuori dal baule della nonna, passando per i gioielli, bellissimi  e raffinati, nati da materiali poveri ed apparentemente "inutili", l'ottica è sempre la stessa, all'nsegna delle tre R: riciclo, riutilizzo, riuso.

D'altronde già un genio artistico come il barcellonese Joan Mirò aveva compreso appieno la forza creatrice insita nel riuso dei materiali, nel momento in cui sceglieva di andare in giro per le campagne alla ricerca di materiali naturali che gli comunicassero particolari sensazioni e, al ritorno, li accostava e li assemblava ad oggetti di uso domestico, come ad esempio dei cucchiai, facendo emergere dal loro dialogo, gestalticamente, qualcosa di totalmente nuovo.

Sposa questi presupposti la mostra "Scarti di Terra", inaugurata il 20 febbraio scoroso e visitabile fino a martedì 4 marzo.

La Mostra è organizzata dal Movimento Contaminarte, fondato da Luigi Antonio Tufano, in collaborazione con l'associazione dei "Friarielli Ribelli" ed è ospitata dalla suggestiva Sala delle Carceri a Castel dell'Ovo.




I Friarielli Ribelli si occupano di orti sociali, cioè di quegli orti urbani che da qualche anno si diffondono a macchia d'olio in aree abbandonate della città, restituendo loro una rinnovata dignità, e persino sui balconi.

Inizialmente la collaborazione è nata dall'idea, lanciata dallo stesso Tufano, di realizzare un orto privo di barriere architettoniche ed accessibile a chi stia in sedia a rotelle (il primo in Campania).

Poi, come si suol dire, da cosa nasce cosa è la collaborazione si è allargata, vista la visione comune basata sul  rispetto per la natura,  incarnazione della diversità per eccellenza, e la voglia di valorizzare e preservare la biodiversità in ogni sua forma.

Un'esposizione che vuole mostrare (e dimostrare) come l'apparenza inganni.

"La mostra nasce da una mia idea - racconta il fondatore di Contaminarte -  da anni mi occupo di come l'arte vede la diversità con il movimento Contaminarte da me fondato. La diversità è un concetto liquido tuttavia si distinguono tre macroaree ossia la diversità fisica, sessuale, razziale. Inoltre ho partecipato a vari cortometraggi sulla disabilità. Quindi la mostra è la naturale continuazione di queste attività e spero in futuro di poterne organizzare altre".



Con le venti opere in mostra i 4 artisti (Luigi Antonio Tufano, Massimo Astulfi, Rosario Miele Landolfo, David La Cruz) esprimono, ognuno secondo la propria peculiare visione (il trait d'union consiste nel non averne, nell'essere tutti diversi fra loro), attraverso lo strumento delle arti figurative, che "la diversità va conosciuta, che con essa bisogna confrontarsi. Solo dopo queste fasi si può decidere se approvarla, combatterla o altro".

Eclettiche le dimensioni rappresentate: solo per fare un esempio,  affigurazioni di cervelli e cuori aperti, dissezionati, che celano in sè una chiave o cercano di appropriarsene (forse la chiave si domosterà in grado di disvelare nuovi significati e consentirà di accedere a visioni alternative della realtà e di liberare energie e potenzialità inespresse).

In queste opere ed installazioni i colori si mescolano e si impadtano con elementi naturali come sezioni di tronchi di legno, trucioli che formano una sorta di tappeto, steccati che sorreggono  quelle che a tutti gli effetti incarnano simboli di visioni alternative.

Gli scarti sono un gran  patrimonio, sono una ricchezza e veicolano concretamente l'agire etico del "non spreco".  Il nome dispregiativo ci inganna.

"Credo - continua Tufano -  che tutte le cose viventi abbbiano una loro dignità e che nessuno si possa arrogare il diritto di 'scartare'. Per risolvere il problema rifiuti, d'altronde, bisogna necessariamente ricorrere al riutilizzo delle cose e quindi non vedo perchè non dare una seconda possibilità a quello che provocatoriamente potremmo definire uomo-scarto".

Anche l'utilizzo di materiali opposti, perchè provenienti da un universo artificiale e da uno naturale, sembrano stare ad indicare che la chiave per aprire nuove dimensioni e svelare ulteriore senso e significato sta nel cercare strade alternative e far dialogare mondi apparentemente distanti ed inconciliabili.

Le opere sono poste, volutamente ad altezze e ad angolazioni diverse. E' lo spettatore che, per poterle guardare , deve spostare il prorio baricentro ed il proprio punto d'osservazione, per andare incontro ed aprirsi all'altro da sè.

Così è possibile "trovare il nuovo nel vecchio", operazione di per sè molto complicata.

Un'operazione di cambiamento di prospettiva che in qualche modo dovrebbe avvenire non solo nell'arte ma anche nella vita quotidiana.

Perchè, in fondo, le cose non cambiano mai, cambiamo noi.




domenica 23 febbraio 2014

Giocare una mano con Dio: poker e scacchi a confronto


Il poker e gli scacchi sono due giochi affascinanti che racchiudono in sé interi universi di senso e significato e riproducono comportamenti propri di altri ambiti dell’esistenza umana.

Per questo da sempre scienziati ed altri studiosi sono affascinati dall'osservare come si comportano gli esseri umani giocando, come reagiscono allo stress, come simulano, come sanno nascondere le emozioni e quali mosse scelgono di fare, indagandone il perchè.



Basti pensare, a tal proposito, a frasi cult come quella di Smyslov “Una partita a scacchi è un’opera d’arte fra due menti, che deve bilanciare due scopi talvolta disparati: vincere e produrre bellezza”. 

O, ispirata all’universo pokeristico “Il destino mischia le carte, ma è il giocatore che gioca la partita”. Senza dimenticare i continui rimandi alla capacità di agire d’astuzia, di trovare la strategia e la tattica giusta, di saper giocare d’azzardo e rischiare e, perché no, di bluffare.

Il tavolo verde diviene così metafora delle varie possibilità tra cui scegliere, che consentono, ai giocatori più avvezzi ed audaci, di giocarsi bene la vita e vincere la partita con sé stessi e con il tempo a termine che si ha a disposizione.

Metafora della capacità di osare, di sfidare i propri limiti, di uscire fuori dalle regole codificate ed inventarne di nuove.

Chi dimostra di avere questo talento viene classificato come un "asso".

Poker e scacchi: due universi a confronto. Ecco cosa ci proponiamo oggi per indagarne punti di contatto e differenze.

Infatti, l’analisi delle tattiche utilizzate dai giocatori non solo può farci dedurre informazioni utili alla vita di tutti i giorni ma anche acquisire la cosiddetta “efficacia predittiva”, cioè si può arrivare a predire le mosse dell’avversario e quindi i comportamenti più adeguati da adottare... tanto nel gioco quanto nella vita.

E' il famoso role taking, la capacità di assumere più ruoli e di mettersi nei panni dell'altro di cui ci parlano le teorie sociologiche.



La prima differenza che emerge dal confronto tra i due giochi, secondo gli esperti è che gli scacchi , contrariamente al poker, rappresentano un gioco completamente deterministico, dove nulla avviene per caso e ad ogni azione e causa corrisponde uno specifico effetto. 

L’ ambiente è “totalmente osservabile” (è infatti possibile conoscere la scacchiera , la disposizione dei pezzi e le mosse dell’avversario, senza che vi siano elementi casuali).

Nel gioco del poker, invece, prevale un fattore di incertezza dovuto alla distribuzione delle carte e alle scelte degli avversari. 

Scelte che non sono totalmente prevedibili (ricordiamo che un ruolo strategico è giocato  proprio dal bluff) e che quindi rendono l’ambiente solo parzialmente osservabile.

Anche dal punto dell’intelligenza artificiale gli algoritmi che vengono prodotti per i due giochi sono molto differenti.

Gli agenti intelligenti (siano essi robot, software, anche un semplice motore di ricerca, un programma che gioca a scacchi e simili )per il poker trovano molte più difficoltà ad elaborare il campo d'azione di riferimento, il cosiddetto environment,  perché l’agente deve prendere decisioni ma non ha tutte le variabili a disposizione. 

Ad esempio, non conosce le carte in mano agli avversari: ci sono molte variabili sconosciute con le quale deve confrontarsi.



Sempre secondo gli addetti al settore,  negli scacchi si fa la mossa che si ritiene migliore pensando ad un avversario che gioca la partita perfetta mentre nel poker fare la mossa perfetta renderebbe il giocatore troppo prevedibile (ad esempio strategie come il bluff non esisterebbero, non essendo una mossa razionale) e paradossalmente un agente che debba massimizzare la possibilità di vittoria nell’ambito del poker ha la necessità, in certi momenti della partita, di adottare comportamenti apparentemente irrazionali e quindi difficilmente schematizzabili.

Perché è importante trovare gli algoritmi che mettano nella condizione di prendere decisioni e da questi sviluppare alcuni giochi?

Per ogni gioco così come accade parallelamente, ad esempio, nel settore della formula 1 nell’industria automobilistica, le soluzioni che vengono inizialmente provate solo nell’ambito delle simulazioni poi possono essere in un secondo momento portate in soluzioni commerciali ed in altri campi della vita quotidiana, a livello micro e macro.

Infatti, i giochi hanno una formalizzazione semplice , regole ben definite e condivise da tutti e questo permette a diversi ricercatori di provare nuovi algoritmi e confrontarli, per poi portarli in problemi reali in un secondo momento.

“I giochi – spiegano gli esperti -  sono un banco di prova per gli algoritmi. Si tratta di giochi semplici, o per meglio dire con una forma semplificata, ma che presentano, a ben vedere, tutti i problemi di un mondo reale, inerenti le decisioni, e quindi si parte da lì. Infatti, sarebbe complicato affrontare direttamente alcuni problemi reali nella fase di progettazione degli algoritmi. E’ comunque essenziale sottolineare che un programma è forte tatticamente ma ha grosse lacune nella strategia a lungo termine, un aspetto dove invece l’essere umano è particolarmente abile”.



Nell’ambito dell’elaborazione dei programmi per il poker, entrano in gioco, secondo gli esperti, la teoria delle probabilità ed i segnali aleatori. In ambito scientifico, si definisce aleatorio, cioè casuale, un processo il cui esito non è noto, ma che può essere analizzato ad esempio attraverso l’insieme dei possibili esiti e delle frequenze, cioè del numero di volte  più o meno elevato, con cui tali esiti si possono presentare (analisi statistica e calcolo delle probabilità). 

Inoltre, alla teoria della probabilità è necessario aggiungere nozioni che vanno dalla strategia, alla pseudo-psicologia. (dato che la psicologia umana vera è propria non è ricostruibile attraverso mere macchine).


Ecco a voi signori: il poker è servito.